Dopo un lungo e complicato intervento chirurgico, il primo ministro slovacco Robert Fico è sopravvissuto al tentato assassinio di mercoledì avvenuto in una località a un paio d’ore di auto da Bratislava. Il gravissimo episodio ha tutti i connotati di un’operazione politica ed è da collegare allo scontro sull’Ucraina che si sta consumando tra i vertici UE e gran parte dei leader dei paesi membri da un lato e, dall’altro, quei governi di orientamento nazionalista che chiedono una soluzione diplomatica alla guerra, come appunto quello guidato da Fico e quello ungherese di Viktor Orban.

Non è ancora chiaro se il responsabile dell’attentato abbia agito soltanto di sua iniziativa, ma identità e orientamento politico risultano estremamente chiari e dimostrano a sufficienza quale sia il clima che ha contribuito agli eventi di mercoledì.

 

Il 71enne scrittore e poeta Juraj Cintula è un sostenitore del partito di opposizione europeista “Slovacchia Progressista” e dopo l’arresto ha spiegato alle forze di sicurezza che avrebbe agito contro Fico perché “in disaccordo” con le politiche del suo governo. Secondo il ministro dell’Interno slovacco, Matus Sutaj Estok, l’attentatore aveva deciso di agire dopo le recenti elezioni presidenziali, che hanno registrato il successo dell’alleato del premier, Peter Pellegrini.

Politici e media di tutti gli orientamenti hanno ricondotto il tentato assassinio all’atmosfera politica infuocata di questi ultimi tempi, con la contrapposizione sempre più dura tra la fazione “liberal” atlantista e filo-ucraina e quella più pragmatica o, nella caratterizzazione occidentale, “putiniana”. Fico rientra appunto in questa seconda categoria e, fin dal suo ritorno al governo dopo le elezioni dell’ottobre scorso, ha rappresentato una spina nel fianco per l’Europa.

Già in campagna elettorale, Fico e il suo partito socialdemocratico (SMER-SD) avevano promesso un disimpegno dall’Ucraina, cioè una svolta molto netta rispetto all’esecutivo uscente, il quale era stato, tra l’altro, fino a quel momento l’unico assieme a quello polacco a inviare aerei da guerra al regime di Zelensky. Il primo ministro slovacco aveva poi espresso una ferma opposizione al continuo trasferimento di armi all’Ucraina, così come all’ingresso di questo paese nella NATO.

Altro problema per l’Occidente sono state le ripetute dichiarazioni di Fico sulla realtà della guerra russo-ucraina, spiegata correttamente come il risultato delle provocazioni di un regime dominato dalla componente neo-nazista. Fico, infine, così come Orban, aveva più volte denunciato le sanzioni europee contro la Russia, diventate di fatto un boomerang con effetti rovinosi sull’economia del suo paese e dell’intera UE.

Non a caso, il suo governo era stato oggetto da subito di critiche e minacce da parte di Bruxelles. Media e politici europei hanno fatto a gara nel definire Fico un autocrate con simpatie putiniane, impegnato a distruggere la democrazia e lo stato di diritto in Slovacchia. Nel mirino dell’Europa erano così finite le riforme della giustizia e del settore televisivo avanzate dal suo governo, così come una legge sulla limitazione delle “interferenze straniere” nella politica e nella società slovacca, sulla linea della campagna in corso contro il governo georgiano.

La caratterizzazione di leader come Fico e Orban da parte dei governi e della stampa “mainstream” europea ha indubbiamente contribuito ad accendere gli animi nell’opinione pubblica più ricettiva della propaganda ufficiale, trasformandoli in veri e propri autocrati o aspiranti dittatori, da combattere in nome della democrazia nonostante i successi elettorali che li hanno portati alla guida dei rispettivi governi.

Anche se eventuali legami a più alto livello dell’attentatore sono ancora da indagare, assieme probabilmente alle falle del servizio di sicurezza del premier, non c’è dubbio che l’azione di mercoledì abbia a che fare anche con la crescente disperazione occidentale per l’andamento del conflitto e le prospettive tutt’altro che rosee per i partiti che appoggiano l’Ucraina nelle prossime elezioni europee. Più precisamente, il tentativo di liquidare Fico, al di là delle concrete responsabilità materiali, è il tentativo di liquidare quegli elementi estranei all’unità europea nella crociata anti-russa in atto, chiaramente destinata al fallimento o provocare il disastro totale del vecchio continente.

Appare quasi superfluo ricordare che simili metodi sono perfettamente nelle corde di CIA, MI6 o servizi segreti ucraini, solo per limitarsi agli ultimi due anni già ampiamente attivi in assassini di rivali politici, soprattutto russi, nonché nella distruzione di infrastrutture cruciali dal punto di vista strategico. La responsabilità politica del tentato assassinio di Robert Fico è dunque chiara e traspare in queste ore dalle modalità con cui la stampa occidentale sta raccontando l’accaduto, così come l’angolazione da cui viene descritto il curriculum e le posizioni del primo ministro slovacco.

Tra le righe di analisi, commenti e servizi televisivi è inevitabile percepire un sottile tentativo di giustificare l’attentato per via dell’atteggiamento di Fico, delle decisioni del suo governo in relazione alla guerra russo-ucraina e delle sue simpatie per il Cremlino. Sempre in questa direzione vanno anche gli articoli che ripercorrono la carriera politica di Fico, quasi tutti con un approccio totalmente negativo e spesso molto dettagliati nel ricostruire scandali o presunti tali, mentre omettono di citare come le posizioni contro la guerra e a favore della riconciliazione con Mosca raccolgano ampi consensi tra gli elettori.

In attesa di conoscere maggiori dettagli della vicenda e delle condizioni di Fico, è probabile che l’attentato di mercoledì finisca per ritorcersi contro gli interessi politici che Juraj Cintula intendeva salvaguardare dalla “deriva” populista del governo di Bratislava. Resta il fatto che l’episodio di mercoledì segna una grave escalation delle tensioni politiche e sociali in Europa, che minacciano di inasprirsi ulteriormente in parallelo al tracollo definitivo del progetto ucraino promosso da Washington e Bruxelles.

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