di Carlo Musilli

Come gli animali nella fattoria di Orwell, in Europa tutte le banche sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre. E così Bruxelles permette alla Germania di salvare i propri istituti con soldi pubblici, ma quando il caso riguarda l’Italia vede l’ombra degli aiuti di Stato anche nelle operazioni che prevedono l’impiego di soli fondi privati. Il destino di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara dimostra questa regola non scritta.

“Siamo convinti di aver fatto il massimo possibile”, ha detto il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, in un’intervista a La Repubblica. Il problema è che si tratta del “massimo possibile” concesso agli italiani, non a tutti. Via Nazionale, infatti, era pronta a salvare i quattro istituti in crisi attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei depositi: l’operazione non avrebbe comportato “alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche - ha spiegato in audizione alla Camera Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza di Bankitalia - ma è stata impedita dalla preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo”.

In sostanza, Bruxelles considera il Fondo Interbancario alla stregua di un fondo pubblico perché le banche vi contribuiscono per obbligo di legge e perché, in caso di salvataggio, sarebbe il governo a determinare l’impiego delle risorse. Perciò la Commissione ha vietato all’Italia di percorrere questa strada e “a fronte del rapido degenerare delle situazioni aziendali – ha proseguito Barbagallo – l’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia ha attivato, in tempi assai contenuti, i poteri introdotti dal nuovo quadro normativo europeo in materia di gestione delle crisi”. E così facendo ha azzerato il valore delle obbligazioni subordinate emesse dalle banche, causando perdite per complessivi 329,2 milioni di euro a 10.559 investitori.

Questo rigore inflessibile dell’Europa, tuttavia, scompare quando in gioco ci sono gli alfieri europei dell’intransigenza e dell’austerità. Il 19 ottobre scorso la Commissione Ue ha approvato senza alcuna obiezione il piano di salvataggio della HSH Nordbank, che prevede aiuti dallo Stato tedesco sotto forma di garanzie per 3 miliardi di euro. L’istituto, controllato dal Land dello Schleswig-Holstein e dal Comune di Amburgo, dal 2011 aveva già ricevuto aiuti di Stato altre due volte.

Ricapitoliamo: per salvare le banche, Bruxelles ha proibito all’Italia di usare fondi privati, minacciando di aprire una procedura d’infrazione per aiuti di Stato e chiedendo di colpire obbligazionisti o correntisti, mentre alla Germania ha concesso senza battere ciglio di impiegare soldi interamente pubblici. Come si giustifica una simile disparità di trattamento? L’argomentazione dei tecnici europei è semplice: nel caso tedesco si trattava del prosieguo di una serie di salvataggi iniziata prima che le nuove regole sulla risoluzione delle crisi bancarie vedessero la luce. In sostanza, i risparmiatori tedeschi sono stati graziati - al contrario di quelli italiani - perché la loro banca era in crisi da più tempo.

L’assurdità di questa spiegazione è di immediata evidenza, ma vale comunque la pena di ricordare che quello della HSH Nordbank è solo l’ultimo di una serie di salvataggi delle banche tedesche, e anche uno dei meno costosi. Negli anni più neri della crisi - tra il 2008 e il 2012 - la Germania ha speso 259 miliardi di euro per non far affondare i propri istituti (contro i 15 utilizzati dall’Italia).

Ad esempio, Commerzbank ha usufruito di garanzie statali per circa 30 miliardi, oltre ai 18 miliardi di liquidità stanziata dal governo tedesco. Altri crediti e garanzie pubbliche sono stati messi in campo per ripulire i bilanci della Westdeutsche Landesbank, che è stata lasciata fallire solo dopo il trasferimento dei crediti deteriorati in una bad bank garantita dalle casse pubbliche.

E come dimenticare i vari piani di salvataggio della Grecia? Per l’economia reale ellenica sono stati pressoché inutili, in compenso le banche greche hanno avuto il denaro per ripagare gli istituti tedeschi e francesi, che così - dopo aver speculato - hanno scaricato la propria esposizione sulle spalle dei contribuenti europei. Il tutto mentre Berlino dava lezioni sul rispetto delle regole.

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