di Carlo Musilli

Se punti tutto sul rosso e la pallina della roulette cade sul nero, perdi. Finisce così, non hai diritto ad alcun rimborso. Ma se il croupier, pagato dal casinò, ti ha indotto a rischiare spiegandoti male le regole del gioco, allora il discorso cambia. E’ più o meno in questi termini che si pone il dilemma etico-giuridico nato dopo il salvataggio di Pop Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti.

La procedura attivata per risolvere le crisi dei quattro istituti ha causato gravi perdite a molti piccoli risparmiatori. Dalla sera alla mattina queste persone hanno visto sparire tutti i soldi investiti nelle obbligazioni subordinate della propria banca, titoli ad alto rendimento e quindi ad alto rischio. Chi di loro ha diritto a essere risarcito, almeno in parte, con fondi pubblici?

Rispondere a questa domanda è difficile, perché non tutti i risparmiatori coinvolti sono uguali. E’ probabile che molti non fossero nelle condizioni di comprendere l’entità del rischio cui si esponevano quando hanno comprato i bond: davanti a decine di pagine scritte in linguaggio tecnico, di solito, si firma quello che c’è da firmare, fidandosi dei consigli (interessati) che arrivano dall’altra parte della scrivania.

Ma anche ammettendo la malafede delle banche (che andrà dimostrata in tribunale), il quadro non può essere completo. A molte altre persone, infatti, non sarebbe giusto concedere alcun indennizzo. Si pensi a chi, pur avendo gli strumenti per capire il pericolo associato all’investimento, ha scelto di non informarsi per superficialità o per pigrizia. Oppure agli investitori mossi da semplice fame speculativa, visto che i bond subordinati garantivano tassi d’interesse fino al 6-7 per cento.

Il problema è che, sotto il profilo giuridico, risulta complicato stabilire quali vittime siano innocenti e in quali casi siano state raggirate dalle banche. A questo punto, perciò, bisogna fare una scelta e il criterio della condizione economica generale sembra sensato: se dobbiamo selezionare qualcuno da aiutare, è giusto cominciare da chi dopo la perdita dell’investimento si ritrova con le difficoltà materiali più gravi.

Alcuni risparmiatori, poi, sostengono di aver chiesto indietro il denaro dopo aver ricevuto una comunicazione relativa all’aumento del rischio dell’investimento (ma prima che fosse necessario il salvataggio), e di aver ricevuto un rifiuto da parte delle banche ala loro richiesta di uscire. Se ciò fosse vero e dimostrabile, probabilmente gli investitori avrebbero diritto a un indennizzo completo.

Insomma, non esiste una soluzione valida per tutti: è necessario valutare caso per caso. Al governo e al Parlamento, però, si richiede anche qualcosa di più, ovvero nuove norme per impedire che situazioni come questa si ripetano in futuro (magari con banche più grandi).

In primo luogo, come sostiene da tempo la Banca d’Italia, bisognerebbe proibire la vendita alle persone fisiche di strumenti finanziari ad altissimo rischio come i bond subordinati in questione, che andrebbero riservati ai soli investitori istituzionali, certamente più attrezzati nella valutazione dei pro e dei contro legati a ogni investimento.

Alle banche, inoltre, non dovrebbe essere consentito di smerciare autonomamente le proprie emissioni, perché così facendo operano in evidente conflitto d’interessi. Se un impiegato (per mantenere il posto) deve piazzare i titoli della stessa banca per cui lavora, ha un tornaconto personale sulle transazioni ed è incentivato a non agire nell’interesse esclusivo del cliente. 

In alcuni casi particolari, infine, si può immaginare di prevedere l’obbligo di doppia firma sui moduli di sottoscrizione degli investimenti, in modo da tutelare ulteriormente il risparmiatore dal rischio di raggiro. Perché quando punti alla roulette devi sapere cosa stai facendo.

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