di Carlo Musilli

Ormai la forza dell'abitudine dovrebbe prevalere, ma Jens Weidman, numero uno della Bundesbank, non riesce proprio ad accettare l'ultima sconfitta rimediata nel board della Bce. Secondo il governatore tedesco, il quantitative easing varato giovedì dall'Eurotower, che inietterà nel sistema 60 miliardi al mese da marzo 2015 almeno fino a settembre 2016, "non è un normale strumento di politica monetaria e comporta particolari svantaggi e pericoli all'interno dell'Eurozona".

Rischi peraltro inutili da correre, visto che "ci sono indicazioni secondo le quali il tasso d'inflazione straordinariamente basso è solo un fenomeno temporaneo - ha detto ancora Weidman in un'intervista al Welt am Sonntag -. Ma all'interno del board della Bce la maggioranza era preoccupata che la gente si abituasse ai prezzi stagnanti, poiché ciò può innescare una spirale verso il basso".

Già venerdì il presidente della BuBa si era scagliato contro il Qe: "E' certo che il piano di acquisti andrà a ridurre la pressione su paesi come l'Italia e la Francia - aveva detto -, ma sarebbe pericoloso non proseguire sulla strada delle riforme già avviate". Insinuazioni a cui Ignazio Visco, numero uno della Banca d'Italia, aveva replicato con gelo artico: "No, non penso che sia così".

In effetti, è piuttosto assurdo che il governatore tedesco si permetta di mettere bocca sul lavoro dei governi e dei parlamenti di due Stati sovrani. La potenza finanziaria e politica della Bundesbank è evidente, ma lo scollamento fra la gerarchia formale delle istituzioni e quella reale ha raggiunto vette insostenibili. Qualcuno riesce a immaginare Visco che si mette a bacchettare Angela Merkel e il Bundestag? Fantascienza. Eppure - in teoria - i rapporti istituzionali sono esattamente gli stessi.

Senza contare che la Germania guadagnerà più degli altri Paesi dal Qe. Gli acquisti di bond lanciati dall'Eurotower produrranno infatti "redditi da operazioni monetarie" che saranno messi in comune e redistribuiti fra le banche centrali nazionali in proporzione alle quote detenute nel capitale della Bce. Ciò significa che alla Bundesbank andrà una fetta pari a circa il 25% della torta, mentre alla Banque de France e a Bankitalia spetterà rispettivamente il 20 e il 17%.

Quanto all'andamento dei prezzi, Weidmann continua a sminuire il rischio di deflazione e su questo punto i suoi argomenti sono più solidi. E' vero che sul -0,2% annuo segnato a dicembre nell'Eurozona ha pesato in modo decisivo il crollo del listino energetico (-6,3%), a sua volta legato al recente tonfo del petrolio voluto dall'Opec. E' vero anche che in nessun Paese europeo si è innescata ancora la "spirale" evocata dal governatore tedesco, ovvero quel circolo vizioso per cui - in piena deflazione - i consumatori rinviano gli acquisti sperando che in futuro arriveranno ulteriori ribassi, mentre le aziende non vendono e devono perciò continuare a ridurre i prezzi.

Anche ammettendo tutto questo, però, occorre ricordare a Weidmann che il primo mandato della Banca centrale europea è proprio la tutela della stabilità dei prezzi, e che, senza il Qe, l'inflazione in Eurolandia sarebbe tornata positiva di miseri decimali, ben lontani dal target ufficiale della Bce, ovvero un tasso annuo "inferiore ma vicino al 2%".

Per fortuna, nel Consiglio direttivo dell'Eurotower la maggioranza non era d'accordo con il Presidente della Bundesbank. Non lo era nemmeno quando si votò per le Omt  (strumento mai utilizzato dalla Bce, ma che con il solo effetto-annuncio ha sconfitto  la tempesta speculativa contro l'euro), né quando si trattò di tagliare i tassi, né quando si decise di varare altri strumenti espansivi come le aste Tltro o gli acquisti di Abs e covered bond. Per fortuna, con il Signor Nein e con i suoi seguaci, la maggioranza dei governatori non è d'accordo quasi mai.

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