di Carlo Musilli

Nessuno deve pensare che sia così semplice. E’ questo il punto. Tutti sanno che la bancarotta della Grecia sarebbe un autogol continentale e quasi tutti si rendono conto che la medicina della Troika è avvelenata (nel 2009-2014 la disoccupazione è salita dal 16 a 25% e il debito dal 125 a 175,5% del Pil, che a sua volta è crollato del 25%). Ma il dilemma al centro del valzer d'incontri fra le autorità europee e il governo targato Syriza è innanzitutto una questione di metodo. Agli occhi di Bruxelles, se Tsipras & Co. vincessero la partita dettando le condizioni, creerebbero un precedente inaccettabile.

Dal giorno dopo, qualsiasi forza europea anti-austerità vincesse le elezioni potrebbe ragionevolmente pretendere di stracciare gli accordi siglati con i creditori (magari perché a firmare l'intesa era stato il governo precedente) e di riscrivere un nuovo patto come meglio crede. Lo spettro sullo sfondo è quello di Podemos, partito spagnolo di sinistra alternativa dato per favorito alle politiche del prossimo novembre.

Per stroncare sul nascere questa possibilità, l'Europa ha già Syriza nel mirino. Bruxelles sembra disposta a riscadenzare il debito di Atene, ma gli altri progetti del nuovo governo ellenico saranno ostacolati con ogni forza. E non solo perché ritenuti troppo costosi, ma anche per lanciare un messaggio al resto dell'Eurozona (Spagna in testa): nessun governo può scrivere da solo le proprie regole, nemmeno se ha vinto le elezioni promettendo di recuperare la sovranità perduta.

In realtà, a Roma come a Parigi non dispiacerebbe un (parziale) successo di Tsipras, l'unica ariete che può incrinare i bastioni del rigore alla tedesca, ma se italiani e francesi si esponessero troppo a sostegno della battaglia di Atene darebbero adito a sospetti sul futuro dei rispettivi conti pubblici. Per cui si tirano indietro: "Gli diamo una mano, ma non gli diamo ragione", sintetizzava Matteo Renzi con i suoi dopo l'incontro di martedì con il neopremier greco.

In questo scenario, mercoledì sera la Bce ha comunicato che, a partire dall'11 febbraio, non accetterà più i titoli di Stato greci come garanzia presentabile dalle banche elleniche per finanziarsi presso la stessa Eurotower. Non si tratta però di una sanzione vera e propria, quanto della sospensione di un privilegio: fino a oggi i titoli di Atene sono stati ammessi come collaterali in deroga alla norma, visto che ormai da anni sono considerati spazzatura e non rispettano perciò il requisito di un rating investment grade. L'eccezione alla regola era stata approvata alla luce degli accordi fra la Grecia e la Troika, ma ora che quel memorandum è stato rinnegato dal governo greco non ci sono più le condizioni per proseguire con la deroga.

Intanto, però, la Bce ha aumentato di 9,5 miliardi di euro il tetto ai finanziamenti di emergenza per gli istituti ellenici, portando il totale a 59,5. Questo canale di liquidità alternativo, che era già attivo, si chiama Emergency Liquidity Assistance (Ela) e permette all’Eurotower di fornire alla Banca centrale greca finanziamenti per gli istituti in crisi. L'aumento del tetto si riferisce proprio all'importo che la Banca nazionale greca può erogare in base allo schema Ela, ma è bene ricordare che il Consiglio della Bce può chiudere completamente anche questo rubinetto in una qualsiasi delle sue riunioni bisettimanali (la prossima è il 18 febbraio).

Al di là dei conti, lo stop dell’Eurotower ai finanziamenti in cambio di titoli greci ha un valore smaccatamente politico. Non a caso, il giorno scelto per la sospensione del credito è lo stesso in cui l'Eurogruppo si riunirà d'urgenza, alla vigilia del prossimo Consiglio Ue. In attesa di questi appuntamenti, Draghi ha voluto spingere le parti a trovare un compromesso e con la mossa sui collaterali ha peggiorato la posizione negoziale dei greci, per convincerli a non tirare troppo la corda.

Da parte sua, Atene vorrebbe un accordo ponte da qui alla fine di maggio, in modo da riscrivere i patti nei prossimi mesi senza il timore della bancarotta. A fine mese, infatti, la Grecia rimarrà a secco di denaro per la scadenza di alcuni prestiti, e poiché non accetterà gran parte dell'ultima tranche di aiuti della Troika (che comporterebbe nuove misure di austerità), ma al tempo stesso non otterrà nemmeno il sostanzioso aiuto che chiedeva alla Bce (non solo il credito alle banche, ma anche l'autorizzazione a emettere titoli a breve termine e la restituzione di 1,9 miliardi d'interessi su vecchi bond ellenici), dovrà trovare vie alternative per pagare stipendi e pensioni. A meno che Syriza non si riduca a più miti consigli: in quel caso i forzieri della Bce si aprirebbero nuovamente.

Tsipras ha parlato di "ricatto", ma nessun capo di Stato o di governo europeo gli ha dato ragione. E con queste premesse i greci siederanno al tavolo delle trattative per cancellare i vecchi accordi, che, come spiega il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, “antepongono la questione del pagamento dei debiti alla riparazione dell'economia. E questo significa che la Grecia non potrà mai riprendersi”.

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