di Carlo Musilli

Non solo subprime e Libor. Dopo gli scandali di portata globale su mutui immobiliari e tassi interbancari, la grande finanza dimostra di non essere affatto schizzinosa. Quando c'è da sporcarsi le mani con una bell'imbroglio sui derivati, vanno bene anche le realtà meno estese. Perfino gli enti locali italiani. Il Tribunale penale di Milano ha condannato in primo grado per truffa ai danni del Comune tre giganti dei mercati mondiali più una loro sorellina minore: Deutsche Bank, Ubs, JP Morgan e l'outsider Depfa Bank.

Ogni istituto sarà costretto a pagare un milione di euro. Disposta anche la confisca di 88 milioni di euro in tutto, ovvero il presunto profitto dei reati. Nove manager sono stati condannati a pene comprese fra i sei e gli otto mesi, mentre altri quattro sono stati assolti. Tutte le richieste della Procura sono state accolte.

Il procuratore aggiunto Alfredo Robledo parla di "sentenza storica, perché è stato riconosciuto il principio fondamentale che ci deve essere trasparenza da parte delle banche nel contrattare con la pubblica amministrazione. Gli istituti hanno raggirato il Comune di Milano”, mettendo in atto "un'aggressione alla comunità" per via “dell'opacità assoluta dell'operazione".

Se consideriamo il patrimonio di banche di quel livello, la multa stabilita dal giudice italiano Oscar Magi equivale agli spicci per la merenda. Ma la sentenza ha valore in sé, perché dimostra per l'ennesima volta una tara di fondo dell'economia contemporanea: da anni viviamo una crisi recessiva nata dalla speculazione finanziaria, eppure mancano ancora delle regole minimamente convincenti per questo genere d'operazioni.

In effetti, quando si parla di derivati, il problema di fondo è sempre lo stesso: l'asimmetria informativa. Chi vende questi prodotti finanziari particolarmente complessi gioca sul fatto che gli acquirenti non sono in grado di valutare autonomamente il rischio e le potenzialità dell'investimento. Devono fidarsi, poveri loro.

In teoria sarebbe compito delle agenzie di rating fare chiarezza sulla reale natura degli strumenti in circolazione sul mercato, ma come diversi casi hanno dimostrato (su tutti la bomba dei mutui subprime) spesso queste aziende di presunti super-esperti si sono rivelate complici dei truffatori. E questo per un conflitto d'interessi originario e mai sanato: le agenzie di rating vengono pagate da chi emette i titoli, ovvero da chi dovrebbe finire sotto il microscopio dell'analisi finanziaria.

Il caso milanese ha più o meno la stessa struttura. Il giudice ha ritenuto che le quattro banche abbiano fornito all’amministrazione comunale informazioni scorrette sui contratti stipulati. In particolare, nel mirino della magistratura è finito uno swap (uno strumento che appartiene alla famiglia dei derivati) stipulato nel 2005 su un bond da 1,68 miliardi di euro con scadenza nel 2035.

Durante le indagini, alle quattro banche erano stati sequestrati 108 milioni di euro, ma il provvedimento era stato ritirato nel marzo scorso. Una decisione arrivata grazie all'accordo raggiunto fra gli istituti e il Comune di Milano: nel giro di alcuni anni, 400 milioni affluiranno nelle casse dell'amministrazione, che in cambio ha rinunciato a costituirsi parte civile. Non ci ha rinunciato invece l'Adusbef, associazione dei consumatori e unica parte civile nel processo, che riceverà 50 milioni a titolo di risarcimento.

Dal canto loro, le banche condannate continuano ad affermare la propria innocenza. "Deutsche Bank rimane convinta di aver agito correttamente, come pure i suoi dipendenti - si legge in una nota-. La Banca intende quindi ricorrere in appello confidando in una risoluzione positiva del processo''. Sulla stessa linea Ubs, che "esprime disappunto" e "ritiene che la propria condotta e quella dei propri dipendenti siano state del tutto conformi alla legge". Non ci sta nemmeno JP Morgan a fare mea culpa. Chissà allora a cosa sono serviti quei 400 milioni.

 

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