di Michele Paris

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato questa settimana il raggiungimento di un accordo con il colosso bancario HSBC, in base al quale viene escluso qualsiasi procedimento giudiziario a carico di quest’ultimo in cambio del pagamento di una maxi-multa da quasi due miliardi di dollari. La banca britannica è accusata di avere riciclato centinaia di milioni di dollari per i cartelli latinoamericani del narco-traffico e di avere condotto transazioni finanziarie con paesi sottoposti a sanzioni americane, come Cuba, Iran, Sudan, Libia e Myanmar.

Le prove raccolte dall’indagine negli Stati Uniti sul comportamento di HSBC sono più che abbondanti, come ha confermato l’assistente del ministro della Giustizia, Lanny Breuer, nella presentazione dei termini che hanno risolto la vicenda. Ciononostante, i vertici di HSBC hanno potuto evitare il rinvio a giudizio perché, a detta delle stesse autorità americane, la loro banca è un’istituzione troppo grande e importante per essere sottoposta ad un processo penale. L’incriminazione formale di HSBC potrebbe provocare infatti pericolose scosse per il sistema finanziario internazionale.

Dopo che nessun esponente di spicco delle grandi banche d’affari che hanno provocato la crisi del 2008 è stato finora sfiorato da procedimenti giudiziari, la recente decisione relativa a HSBC conferma dunque che questi istituti hanno totale libertà di operare con metodi criminali per accumulare profitti enormi senza doversi preoccupare delle conseguenze legali.

Essi, in definitiva e per stessa ammissione delle agenzie governative che dovrebbero controllarli e che invece fungono da protettori a tutti gli effetti, sono di fatto al di sopra della legge.

Secondo l’accordo raggiunto con il Dipartimento di Giustizia, HSBC dovrà pagare una penale pari a 1,9 miliardi di dollari, una cifra record per vicende di questo genere ma in realtà minima per la gravità delle accuse e per una compagnia che nel solo 2011 ha registrato profitti per ben 22 miliardi di dollari e che vale complessivamente qualcosa come 2.500 miliardi.

Oltre ad avere disposto la sanzione, il governo americano si è riservato il diritto di aprire un procedimento penale in qualsiasi momento nei prossimi cinque anni, nel caso HSBC dovesse nuovamente violare la legge. Questa minaccia appare tuttavia una mera formalità, tanto che il giorno successivo all’annuncio del patteggiamento le azioni della banca a Wall Street hanno fatto segnare un rialzo di mezzo punto percentuale.

I massimi dirigenti di HSBC hanno anche dovuto ammettere le proprie responsabilità per avere violato il “Bank Secrecy Act” del 1970, la legge americana che impone alle banche di verificare e prevenire operazioni di sospetto riciclaggio, così come di avere contravvenuto alle sanzioni imposte dal governo degli Stati Uniti ai paesi citati in precedenza.

Il dettaglio delle transazioni proibite condotte da HSBC sono state descritte dallo stesso Dipartimento di Giustizia, secondo il quale la banca con sede a Londra tra il 2006 e il 2010 ha contribuito al riciclaggio di quasi 900 milioni di dollari provenienti dal traffico di stupefacenti e da altre attività illegali di organizzazioni come il Cartello di Sinaloa messicano e quello di Norte del Valle colombiano.

Secondo Breuer, “i trafficanti non hanno dovuto faticare molto” per ripulire il loro denaro e spesso effettuavano depositi di centinaia di migliaia di dollari presso le filiali messicane di HSBC “in contanti, in un singolo giorno, su un singolo conto corrente, utilizzando scatole della misura adatta per passare attraverso i vetri degli sportelli”.

Queste transazioni finivano per confondersi tra le numerosissime altre che intercorrono quotidianamente tra le filiali HSBC americane e messicane. A volte, il denaro veniva dai guadagni generati dalla vendita di droga in territorio statunitense ed era successivamente trasportato illegalmente in Messico. Da qui veniva poi depositato presso uno sportello della HSBC per essere infine trasferito, e ripulito, ad un’agenzia della stessa banca oltre il confine settentrionale.

Le attività di HSBC erano già state oggetto nei mesi scorsi di un’indagine di una sotto-commissione del Senato di Washington, in base alla quale era emerso il massiccio riciclaggio di denaro dei narcos messicani. La stessa commissione aveva puntato il dito anche contro l’agenzia federale deputata al controllo delle banche operanti negli USA (“Office of the Comptroller of the Currency”) poiché essa nella sua attività di supervisione degli istituti di credito nel 2010, pur avendo complessivamente identificato come sospetti 17 mila conti corrente e transazioni per 60 mila miliardi di dollari, non aveva nemmeno ritenuto di dover sanzionare HSBC.

Se le dimensioni del traffico di denaro illegale passato attraverso le filiali di HSBC appaiono difficilmente eguagliabili, quest’ultima non è l’unica delle grandi banche del pianeta ad essere stata colta con le mani nel sacco negli ultimi anni, contribuendo a rendere florido un mercato, come quello della droga, per combattere il quale i governi del continente americano spendono miliardi di dollari e che ha un costo ancora più pesante in termini di vite umane e di devastazione sociale.

Un paio di anni fa, ad esempio, la banca americana Wachovia, inglobata da Wells Fargo fin dal 2008, aveva patteggiato il pagamento di 160 milioni di dollari ammettendo di avere riciclato più di 400 milioni provenienti dal narco-traffico dei cartelli messicani. Simili accuse sono state inoltre sollevate almeno anche nei confronti di Credit Suisse, Lloyd Banks, ABN Amro e ING, tutte puntualmente risparmiate da imbarazzati processi grazie ad accordi siglati con il Dipartimento di Giustizia americano in cambio di irrisorie sanzioni.

Il ripetuto emergere di prove che dimostrano come le più importanti banche internazionali si dedichino al riciclaggio di denaro illegale indica che tale attività è tutt’altro che un’eccezione per questi istituti. Anzi, dopo l’esplosione della crisi finanziaria del 2008, il riciclaggio del denaro dei narcos e di altri gruppi criminali sembra essere stato un fattore determinante per la sopravvivenza di molte banche.

A confermarlo era stato anche un rapporto commissionato qualche anno fa dall’allora direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine (UNODC), l’italiano Antonio Maria Costa, secondo il quale “il denaro proveniente dalle attività criminali ha rappresentato l’unico capitale liquido per investimenti a disposizione di molte banche al picco della crisi”, così come “i prestiti interbancari sono stati finanziati dai proventi del traffico di droga”. Secondo Costa, perciò, “alcuni istituti di credito sono stati salvati dal collasso proprio in questo modo”.

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