di Carlo Musilli

Rigidi, efficienti, minacciosi. Ma soprattutto amanti del bluff. Quando aprono bocca davanti a un microfono,  i politicanti tedeschi si riconoscono per il tono inesorabile e definitivo di chi ha ragione a prescindere. Oracoli contemporanei, la loro sentenza risuona a Bruxelles con la sacralità del giudizio immutabile, della parola finale. Tutta scena, naturalmente.

Lo abbiamo capito una volta per tutte venerdì scorso, quando i deputati del Bundestag hanno approvato a larga maggioranza il nuovo pacchetto d'aiuti internazionali in favore della Grecia. In tutto 43,7 miliardi di euro, che saranno sbloccati ufficialmente dall'Eurogruppo il prossimo 13 dicembre e a cui la camera bassa del Parlamento tedesco ha dato il via libera con 473 voti favorevoli, 100 contrari e 11 astenuti.

Di fronte a un risultato del genere viene da pensare che la Germania non abbia mai avuto alcun dubbio sulla strada da seguire per risolvere la crisi greca. Eppure fino a poco tempo fa non sembrava affatto così. Anzi, Atene è stata per lungo tempo al centro di minacce e anatemi che solo con il passare dei mesi hanno rivelato tutto il loro carattere strumentale. Per capire la strategia tedesca in fatto di comunicazione è utile confrontare una serie di dichiarazioni arrivate dal venerabile e temutissimo Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze e principale alfiere del rigore made in Germany.

"Non è pensabile mettere a punto un nuovo programma per la Grecia, ci sono dei limiti agli aiuti che possono essere concessi". Il braccio destro della cancelliera consegnò questa affermazione lapidaria all'agenzia Bloomberg poco più di tre mesi fa, il 18 agosto. All'epoca eravamo nel pieno della trattativa fra la Troika e il governo di Atene, che solo nelle ultime settimane si è piegato alle imposizioni dei creditori, varando l'ennesima infornata di leggi e riforme da macelleria sociale.

Ma non è finita. Nel suo exploit estivo Schaeuble pestò i pugni sul tavolo con tutta la forza possibile, sentenziando che "sarebbe da stupidi" non pensare a un piano d'emergenza per gestire l'eventuale uscita della Grecia dall'euro. Un'ipotesi considerata ancora "tecnicamente possibile", pur rimanendo "una speculazione senza senso la prospettiva di un collasso dell'euro".

E oggi come la pensa il coriaceo ministro? Sembra proprio che l'autunno l'abbia addolcito, riempiendolo addirittura d'angoscia sul futuro della Grecia e della moneta unica. La settimana scorsa, parlando davanti al Bundestag, Schaeuble ha addirittura difeso i nuovi aiuti in favore di Atene (gli stessi che sotto l'ombrellone erano impensabili). Con un certo pathos, il numero uno dei falchi tedeschi ha raccontato ai deputati una storia nuova:  "Senza il nostro sostegno - ha detto - non solo sarebbe in gioco il futuro della Grecia, ma anche il futuro di tutta l'Europa. Rischiamo di innescare un processo alla fine del quale l'intera Eurolandia potrebbe collassare". Ma non era una "speculazione senza senso"?

La prospettiva è cambiata. Adesso per Schaeuble le "speculazioni pericolose" sono quelle su una nuova ristrutturazione del debito greco, perché "se diciamo che i debiti saranno svalutati s'indebolisce di riflesso la spinta ai risparmi". In realtà a indebolirsi sarebbe soprattutto il governo tedesco, che vuole essere riconfermato alle elezioni del prossimo settembre e per questo non ha alcuna intenzione d'inimicarsi i contribuenti.

Dopo quella del marzo scorso sui titoli nei portafogli dei creditori privati, una seconda ristrutturazione dei bond greci colpirebbe inevitabilmente le obbligazioni in mano ai singoli Stati. La perdita non sarebbe più solo un problema contabile delle banche, ma intaccherebbe risorse pubbliche. Una scelta del genere rischierebbe di mandare in pezzi la maggioranza infarcita di euroscettici che sostiene Angela Merkel, allontanando al contempo dalla cancelliera un'ampia e decisiva fetta di elettorato destrorso.

Alle ragioni della politica si aggiungono poi quelle della finanza, visto che le banche tedesche sono ancora fra le più esposte in assoluto al debito ellenico. La Germania ha quindi un enorme interesse a evitare la bancarotta greca, ma per ragioni elettorali il suo governo ha scelto di muoversi nel modo più ambiguo possibile. Il dilemma in effetti è complesso: salvare Atene ristrutturando il debito costerebbe troppo, ma non salvarla costerebbe ancora di più. Berlino ha scelto fin qui la strada del mezzo salvataggio, rinviando al domani le decisioni più spinose.

Ecco perché viene da pensare che la pantomima tedesca sia destinata a ripetersi. Dopo aver escluso a parole i nuovi aiuti poi puntualmente concessi, oggi la Germania si scaglia contro l'ipotesi della ristrutturazione, pur sapendo che prima o poi sarà inevitabile. L'incoerenza è la regola del gioco e la posta in palio sono le elezioni.

 

 

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