di Carlo Musilli

Per chiudere in bellezza un 2012 che sembra sceneggiato dai Maya, l'Europa si sta affossando in tutte le buche disponibili. A Bruxelles sono in corso due trattative: la prima su come tagliare nuovamente il debito greco, la seconda sul bilancio Ue 2014-2020. Entrambe sono in stallo a causa degli egoismi politici nazionali e ad ogni nuova riunione l'accordo finale si allontana.

Iniziamo dalla Grecia, che attende altri 44 miliardi di aiuti per evitare il default. Ora che il governo di Antonis Samaras ha finito di massacrare il Paese varando le misure imposte dalla Troika (Ue, Bce e Fmi), per il via libera al prestito manca solo l'accordo fra i creditori internazionali. Martedì scorso la decisione era stata rinviata a un Eurogruppo straordinario convocato per oggi, ma nel fine settimana fonti europee citate dall'Ansa hanno rivelato che bisognerà attendere fino alla riunione del 3 dicembre.

Il problema fondamentale è il mancato accordo fra Germania e Fondo monetario su come rendere sostenibile il debito ellenico nei prossimi anni. Un dilemma senza soluzione, perché la verità è che i conti di Atene non sono e non saranno mai sostenibili: oggi l'indebitamento è al 170% del Pil e l'anno prossimo dovrebbe arrivare al 190%. Con la recessione che continua ad aggravarsi, il Paese è di fatto già fallito. Rimarrà formalmente in vita solo fino a quando i suoi creditori gli passeranno decine di miliardi per allontanare lo spettro della bancarotta, che però continuerà a riproporsi ciclicamente. A queste condizioni è impensabile che la Grecia torni prima o poi a finanziarsi autonomamente sul mercato.

La situazione è chiara a tutti, ma non interessa a nessuno. Men che mai ad Angela Merkel, che al momento ha un unico obiettivo: vincere le elezioni tedesche in calendario per il prossimo settembre.

Una meta che la cancelliera sa di poter raggiungere solo conciliando due interessi contrastanti: da una parte deve rinviare il fallimento di Atene (che sarebbe una rovina per le banche teutoniche, le più esposte in terra ellenica); dall'altra deve evitare una nuova ristrutturazione del debito greco. La ragione è semplice: a inizio anno sono stati svalutati i bond detenuti dagli investitori privati, quindi stavolta bisognerebbe intervenire sui titoli in mano a governi e banche centrali. Una misura impossibile da far accettare ai contribuenti tedeschi.

Per soddisfare le esigenze della Germania, l'eurozona punta quindi su una serie di acrobazie contabili. Pare che i 17 Paesi abbiano trovato un accordo di massima su una serie di misure per tagliare il debito ellenico: riduzione degli interessi che la Grecia deve pagare sui prestiti già incassati e restituzione da parte della Bce dei profitti lucrati sui bond greci in suo possesso. Atene potrebbe usare i soldi così ottenuti per il famoso "buyback", ovvero il riacquisto a prezzo scontato dei suoi titoli di Stato in mano ai privati.

Su questo fronte il contrasto fra Bruxelles e l'Fmi è duplice. Gli interventi appena descritti riporterebbero il debito greco al 120% del Pil (un livello considerato sostenibile) nel 2022, e non nel 2020, come era stato concordato con il Fondo. Oltre a non voler concedere ulteriori proroghe, i tecnici dell'Fmi non credono nemmeno nell'efficacia delle misure ideate dall'eurozona per imposizione tedesca. Spingono invece per la tanto temuta svalutazione.

Intanto, il clima in Europa è reso ancor più pesante dalle trattative sul bilancio Ue. Com'era ampiamente prevedibile, la settimana scorsa il primo vertice si è risolto in un fallimento e l'accordo è stato rinviato a un nuovo summit da organizzare a inizio 2013. Un copione già ampiamente conosciuto dalle cancellerie del continente.

Quando si tratta di stanziare i soldi, funziona sempre così: il Consiglio europeo spara la cifra più alta possibile e inizia la trattativa da suk fra i vari Paesi, divisi fra chi vuole incassare di più e chi vuole spendere di meno. Chiudere un negoziato del genere è una vera impresa, considerando che i 27 membri dell'Ue devono approvare il bilancio all'unanimità.

C'è però da registrare una novità rispetto al passato. Con l'elezione all'Eliseo del socialista François Hollande, l'asse franco-tedesco di è sgretolato. In compenso, se n'è creato uno nuovo fra Berlino e Londra, appoggiato dai soliti sherpa del cosiddetto "asse del nord" (Svezia, Finlandia, Danimarca e Olanda).

A guidare la combriccola è il premier inglese David Cameron, che ha due obiettivi: difendere il vergognoso "sconto" sulla quota da stanziare per il funzionamento dell'Ue (di cui la Gran Bretagna gode dai tempi della Tatcher) e portare a casa un taglio sostanziale del bilancio per far contenti gli euroscettici del suo partito.

La situazione è complicata dal fatto che - dopo il trattato di Lisbona - per la prima volta i conti dovranno ricevere anche il via libera del Parlamento europeo. E Strasburgo non intende approvare un bilancio ritenuto insufficiente a sostenere la crescita e lo sviluppo dell’Ue. Lo scontro che si profila ci dirà se in Europa sia nata una nuova diarchia. Dopo Merkozy, Merkeron. 

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