di Carlo Musilli

La vera novità sul salvataggio della Grecia è che Eurogruppo e Fondo monetario internazionale non hanno più alibi. Se il via libera ai nuovi aiuti da 44 miliardi non è ancora arrivato, la responsabilità è unicamente dei contrasti fra i creditori. In particolare, il vero scontro va in scena fra la Germania e l'Fmi. Dopo l'ennesima riunione infruttuosa dei ministri finanziari dell'Eurozona (12 ore di trattativa nella notte fra mercoledì e giovedì), ieri la cancelliera Angela Merkel ha aperto uno spiraglio.

Secondo la leader tedesca "c'è la possibilità" che si arrivi a una soluzione finale lunedì, quando l'Eurogruppo si riunirà nuovamente. Parole che hanno fatto bene ai mercati, ma che ancora non hanno risolto nulla. Rimane da dimostrare che Christine Lagarde, numero uno del Fondo, sia disponibile al compromesso immaginato dalla cancelliera.

In una seduta del gruppo parlamentare Cdu-Csu, secondo quanto riferito da uno dei partecipanti, Frau Merkel ha indicato due possibilità per sostenere la Grecia: aumentare di 10 miliardi di euro le disponibilità del fondo salva-Stati Efsf e/o ridurre in modo radicale i tassi che Atene deve pagare sui prestiti già ricevuti.

Il primo obiettivo di Berlino è evitare a tutti i costi un'ulteriore svalutazione dei bond greci, soluzione che invece sarebbe gradita all'Fmi. Dopo la ristrutturazione a inizio anno della quota nei portafogli dei privati, questa volta bisognerebbe intervenire sui titoli ellenici in mano agli gli stati. E il peso si farebbe sentire sui contribuenti.

Allo studio ci sono però anche altre due misure: il riacquisto a prezzi fortemente scontati da parte del governo di Atene di una parte dei propri titoli già in circolazione, e il versamento nelle casse elleniche dei profitti ottenuti dalla Bce con l'acquisto dei bond greci a prezzi stracciati sul mercato secondario.

Qualunque strada prenda la trattativa, il margine di manovra della cancelliera è molto più ridotto di quanto si voglia far credere. Le banche tedesche sono in assoluto le più esposte al debito greco: la Germania è quindi l'ultimo Paese a volere la bancarotta ellenica. Anzi, cercherà di evitarla fino all'ultimo, naturalmente scaricando sulle vittime sacrificali di turno i costi dei reiterati salvataggi.

A questo punto però sembra che al governo di Antonis Samaras non si possa più chiedere niente. Nelle ultime settimane Atene ha soddisfatto le efferate richieste della Troika (Ue, Bce e Fmi), varando una serie di misure autodistruttive. Il Parlamento greco ha approvato una legge di bilancio 2013 che prevede tagli per oltre 9 miliardi di euro, di cui 7,6 miliardi su salari e pensioni.

Pochi giorni prima era stato varato anche il nuovo pacchetto di austerità per i prossimi due anni, composto da tagli di spesa per 13,5 miliardi di euro e da una riforma del mercato del lavoro. Il Tesoro ellenico si è perfino rifinanziato sul mercato, collocando 4 miliardi di bond a scadenza brevissima e tassi stellari che hanno permesso di evitare il fallimento venerdì scorso.

Ma tutto questo a che scopo? Quali prospettive ha davvero il Paese? Dopo il massacro d'austerità imposto dai creditori, i greci non hanno alcuna speranza che la loro economia torni a crescere. Il prodotto interno lordo è calato del 7,2% nel terzo trimestre, dopo il -6,3% registrato fra aprile e giugno. La recessione - che dura da 5 anni - sta quindi accelerando.

Intanto, com'è ovvio, i conti pubblici non migliorano affatto. Anzi, ogni giorno che passa sono sempre più fuori controllo. L'Fmi continua a ripetere che entro il 2020 il debito ellenico deve essere ricondotto a "condizioni di sostenibilità", ovvero sotto il 120% del Pil. Peccato che, secondo le previsioni del governo Samaras, l'anno prossimo l'indebitamento s'impennerà fino al 190%, ben oltre la soglia prevista nel piano siglato da Ue e Fmi (solo pochi mesi fa si parlava del 149%, oggi siamo al 160%).

In condizioni simili il debito greco sarà sostenibile soltanto finché l'Europa e l'Fmi si impegneranno a evitarne l'implosione. Ragionando nel breve e nel medio periodo, è davvero difficile immaginare come Atene possa tornare a rifinanziarsi da sola sui mercati con titoli pluriennali. Nel lungo periodo invece - come diceva Keynes - saremo tutti morti. 

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