di Liliana Adamo

Nel lessico tecnico la tendenza è in ribasso, a tal punto negativa che anche le parole di un impassive AD (Paolo Scaroni, Eni), enfatizzano il paradosso tutto italiano: ”Cosa mai vista a memoria d’uomo…”. In sintesi: euro debole più accise, uguale miscela esplosiva per i prezzi dei carburanti alla pompa; il super sconto Eni ha concesso una tregua ma, secondo Scaroni, in questo contingente “i prezzi non potranno che salire”, pertanto (oseremmo dire: finalmente), calano i consumi. Nei primi sei mesi dell’anno si registra in Italia una debacle per petrolio e derivati pari al 9%. Non male, anche se il prezzo del petrolio, indiscriminatamente, continua a salire.

Veniamo ai numeri. Nel mese di luglio, i consumi petroliferi di casa nostra accumulano 5,8 milioni di tonnellate circa, riducendo il consumo del 5,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno; la benzina cala del 6,7%, il gasolio autotrazione del 5% e così via. L’Unione petrolifera tira le somme e, a conti fatti, si evidenzia la discesa del già citato 9%, consolidando il trend negativo degli ultimi anni. Altri dati interessanti ce li propina l’agenzia internazionale, JodiOil: il mese clou del calo è stato gennaio, all’inasprirsi della crisi crolla la Borsa come anche la domanda di greggio (6% rispetto all’anno scorso e ben l’11 rispetto al mese precedente); in graduatoria ci superano soltanto Spagna e Indonesia.

Nessun rancore se non fosse per quei titoloni allarmistici: “L'Italia fuori dalla classifica dei Big 15 del mondo…”. Ormai siamo fuori da parecchie classifiche, qualcuno si preoccupa per l’estromissione dai Big nel consumo del greggio? Al solito, l’elenco internazionale non rimuove una virgola, fra i paesi consumatori, sempre in testa gli Stati Uniti (18,1 milioni di barili al giorno), seguiti dalla Cina (che va ben oltre i 9 milioni) e il Giappone (5,2); maggiori produttori, Russia (oltre 10 milioni di b/g), Arabia Saudita (9,87), Stati Uniti (5,75).

Quanto costa agli italiani il caro petrolio? La benzina verde supera la quota di 2 euro al litro, massimo storico per la rete ordinaria (fuori dall’autostrada); punte in Italia centrale, particolarmente in Toscana. Il diesel raggiunge un onere pari a 1,843/litro al sud. Ovviamente, il rialzo è dovuto (in parte) alla crescita delle quotazioni internazionali e se negli ultimi giorni di agosto il petrolio ha chiuso a 97 dollari circa al barile, volendo rispondere al quiz basilare il caro benzina ci costa più di 768 euro annui. Una cifra, spiega Federconsumatori, che una famiglia spende in media per 50 giorni di spesa alimentare, cui va aggiunto l’aggravio d’ulteriori 340 euro come costi indiretti per l’impatto, pensiamo ad esempio, al trasporto merci.

Al caro petrolio non c’è politica di contenimento che tenga. Se la Francia ha eliminato le accise, il governo Monti le ha aumentate; poi, per il bene degli italiani in ferie e senza ottenere alcun risultato, ha tentato un accordo porgendo le solite avances all’Unione Petrolifera. A questo punto urge riportare la secca replica di Marco D’Aloisi, dirigente dell’Up: “I rincari sono ampiamente giustificati e crediamo che non ci sia spazio per ridurre il costo alla pompa. Finché siamo in un regime di libero mercato, il costo della benzina segue l'andamento del mercato”.

Davvero si pensa che sia così comodo e soprattutto, inevitabile? In realtà il libero mercato rappresenta il groppo di una più ingarbugliata matassa. Massimo Nicolazzi, (Il petrolio è welfare), scrive: “Se aumenta il prezzo del barile, non è facile stabilire chi ci guadagna. Si sa invece con certezza chi ci perde…”. Con il petrolio (e non solo nelle società occidentali), si sdebita tutto, inclusa la stabilità politica.

Diversi report di natura finanziaria (Institute of International Finance o Citigroup), confermerebbero questa tesi: nel 2011 il consuntivo saudita per restare a galla ha avuto bisogno di un prezzo che non scendesse sotto gli 88 dollari e, molto probabilmente, a breve ce ne vorranno 110. Per mantenere in piedi il programma elettorale di Putin il petrolio non può costare meno di 150. E dunque, i costi non legati necessariamente al libero mercato e alla produzione, diventano necessità sociali del realizzatore, con cui paga sanità e pensioni. Ciò che Nicolazzi definisce “la dialettica del prezzo del petrolio” o, più realisticamente, “un problema che ha un suo equilibrio”, compendia una sola questione: se il prezzo non cresce, non pago le pensioni, se aumenta a dismisura, finisco che vendo di meno e in un’ottica di lungimiranza, non abbastanza.

L’attuale congiuntura è sintomatica: nell’anno in corso lo Stato italiano incasserà dalla tassazione circa 25 miliardi di euro; aggiungendo l’Iva, calcolata anche sulle accise (tassazione dentro la tassazione…), si avvicinerà verosimilmente ai 35. Ci si finanzia il 5% della spesa pubblica corrente al netto degli interessi.

 

 

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