di Carlo Musilli

La giostra degli scandali made in Britain non smette di girare. In piena noia agostana, le banche inglesi hanno deciso di stupirci con due nuove puntate della serie "I furbetti della City". La più interessante riguarda una valanga di polizze assicurative irregolari e paradossalmente produrrà effetti positivi sul Pil britannico. La seconda ha visto scendere in campo le autorità di controllo statunitensi per alcune transazioni sospette con l'Iran.

Iniziamo dalle polizze della discordia. La Financial Services Authority (la Consob inglese) ha ordinato ai cinque maggiori istituti di Sua Maestà di restituire i soldi incassati tramite i cosiddetti Ppi (Payment protection insurance). Si tratta di assicurazioni legate a mutui immobiliari e finanziamenti piazzate sul mercato con troppa allegria. Fra i clienti vittime di raggiro, centinaia di migliaia, molti sono stati indotti a sottoscriverle pur non avendo i titoli per, eventualmente, riscuoterle. Altri invece non ne avevano nemmeno fatto richiesta.

Per far fronte ai maxi rimborsi, le banche sono state costrette ad accantonare in tutto 11,34 miliardi di euro (9 miliardi di sterline). Secondo un'inchiesta del Financial Times, erano già stati pagati circa 4,8 miliardi di sterline fra il gennaio 2011 la fine dello scorso maggio. Gli istituti coinvolti sono Lloyds, Hsbc, Rbs, Barclays e Santander Uk. L'ultimo tecnicamente fa capo al colosso spagnolo Santander, ma nel Regno Unito si piazza al terzo posto per i depositi, al secondo per i mutui.

In modo perverso e un po' ironico, questa "paccata" di soldi in arrivo (per dirla con Fornero) avrà un effetto più che benefico sulle tasche degli inglesi. Qualcosa di simile a un taglio delle tasse. In termini di stimolo ai consumi, l'iniezione di liquidità nel sistema sarà più ampia di quella garantita dalle manovre del governo Cameron. La cifra in ballo è talmente alta che l'Office of Budget Responsibility ha ritoccato in positivo dello 0,5% i dati sul reddito disponibile per le famiglie. E la stima è per difetto, visto che prende in considerazione solo 6 dei 9 miliardi accantonati. Una cifra che a sua volta potrebbe salire fino a 15 miliardi, pari all'1% del Pil britannico.

La boccata d'ossigeno arriva con un tempismo davvero formidabile, visto che proprio ieri la Bank of England ha tagliato le previsioni sull'andamento dell'economia. Ora l'Istituto centrale ritiene che quest'anno la crescita del Pil si fermerà vicino allo zero, contro il +0,8% indicato nelle stime precedenti. Nel 2014 invece il tasso dovrebbe viaggiare intorno al +2%, ben al di sotto del +2,67% annunciato a maggio.

Non è finita: nel secondo trimestre del 2012 il Regno Unito ha registrato una flessione dello 0,7%, la più grave degli ultimi tre anni. Insomma, ora che i sudditi della Regina hanno più bisogno di soldi, le loro principali banche saranno costrette ad aprire i forzieri. Poco importa che per arrivare alla meta abbiano scelto la via più ingloriosa.

Ma lo scandalo dei Ppi è solo l'ultimo di una serie che negli ultimi tempi ha travolto i big della City. Ormai è storia la manipolazione del tasso interbancario Libor, che ha coinvolto diversi istituti (non solo inglesi), causando la clamorosa sostituzione dei vertici di Barclays. Sembra ormai archiviato anche il caso di Hsbc, pizzicata a riciclare i miliardi dei narcotrafficanti messicani. In entrambi i casi l'accusa è partita dai regolatori americani, che ancora non sembrano affatto stanchi di denunciare le malefatte british.

L'ultimo anatema è arrivato dal Department financial service di New York, che si è scagliato contro Standard Chartered, la cui attività si svolge prevalentemente in Asia, per aver ignorato il bando contro l'Iran (legato alle sanzioni per il programma nucleare) portando a termine circa 60.000 transazioni per 250 miliardi di dollari. E pare che nel mirino degli Usa ci siano anche altre operazioni dello stesso istituto in Myanmar, Sudan e Libia.

Standard Chartered però si è dimostrata molto meno remissiva delle sue sorelle inglesi, che si sono fulmineamente pentite dei propri peccati. Offesa dall'etichetta di "Banca canaglia", come è stata definita nel rapporto del Dfs, è passata subito al contrattacco, sostenendo che le transazioni non eseguite a norma di legge ammonterebbero a soli 14 milioni di dollari. La trama si complica. Appuntamento alla prossima puntata.    

 

 

 

 

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