di Liliana Adamo

Fra accademici blasonati che fanno tanto diplomacy British style e figure aziendali di spicco (il delegato della Nestlè, Peter Brabeck-Letmathe), l’incontro di Re/source 2012 si è concluso la settimana scorsa in quel di Oxford; presenti, tra l’altro, un premio Nobel di sicuro impatto, l’economista Amartya Sen e, per ovviare al social equality, gli habitué dei “circoli minoritari”: il presidente del Ruanda, Paul Kagame, David Nabarro, rappresentante delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare e la nutrizione, Camilla Toulmin per l’Istituto Internazionale Ambiente e Sviluppo. Una “due giorni” di colloqui pubblici, al pari di una “Open University”, giusto per subodorare problematiche grandi come una casa.

E se, dipanandosi nel dibattito, lo scenario diventa veramente cupo, le soluzioni sembrano essere a portata di mano finché c’è ancora il tempo, fungendo da briefing per quei politici sufficientemente consapevoli che il problema esiste e come tale va affrontato.

Sintomatico che proprio la Toulmin, abbia più volte ripetuto di come finanzieri e uomini d’affari presenti al corso oxfordiano, sarebbero tornati a casa con una visione più chiara in merito al loro ruolo e alle responsabilità cui, di solito, non amano incorrere, adducendo alla scusante del libero mercato per il saccheggio sistematico di ambiente e sostenibilità.

La battaglia globale per la parcellazione delle risorse naturali è già iniziata e la conferenza annuale del Re/source sembra averne preso atto: dal cibo all’acqua, dalle risorse energetiche fino all’accaparramento dei metalli preziosi, s’intensifica in proporzione, la guerra intestina fra stati e continenti, nella difesa dei propri modelli e consumi o meramente nella lotta alla sopravvivenza.

Nell’ultimo decennio, il caso del land grabbing, la sottrazione dei terreni, è esploso in tutta la sua gravità. Dal Senegal all’Uganda, dal sud Sudan, all’Indonesia, all’Honduras e Guatemala, multinazionali e investitori senza scrupoli hanno saccheggiato 227 milioni d’ettari, svenduti, locati o concessi in uso, già dal 2001.

Un fenomeno che è destinato ad aumentare, causa, la crescente domanda di cibo, cambiamenti del clima, scarsità d’acqua, incremento nella produzione di biocarburanti che sottrae migliaia d’ettari alla produzione alimentare. Il land grabbing pone in pericolo intere comunità (le più povere); almeno 23.000 persone o forse più, hanno perso case e mezzi di sostentamento, senza che sia concesso loro un parere, un risarcimento, mezzi per un ricorso.

E trovandoci in ambito anglosassone, coincidenza vuole che un esempio clamoroso di land grabbing sia dovuto alla New Forest Company (Nfc), società britannica che produce legname. Ordinanze giudiziarie corredate da testimonianze d’espropri, non hanno sortito alcun effetto; a oggi, la Nfc continua a negare ogni addebito.

Un relatore d’eccellenza, Sir David King, noto ambientalista e capo consigliere scientifico del governo britannico, rileva come l’anomalia inizi a dispensare le sue prime logiche di mercato; in primis, la scalata dei prezzi per prodotti alimentari ed energetici, a seguire, la pressione sulle disponibilità idriche, il furto dei terreni agricoli per l’estrazione di minerali e la produzione di biofossili. “Non si sta facendo abbastanza da evitare questa catastrofe”.

Nondimeno, quella di David King, non sembra un’esortazione alle virtù, perché, sia chiaro, che la legge del contrappasso può abbattersi come una scure su quei paesi che non adotteranno un cambiamento in tempi brevi. Le risorse, se sprecate, hanno oneri elevatissimi in termini propriamente economici, minando la qualità della vita con quel che ne consegue sul piano sociale.

Vandana Shiva, nel suo libro, Le guerre dell’acqua, scrive quanto la sottrazione forzata di risorse alla popolazione sia una forma di terrorismo, terrorismo d'impresa…e a riproporre il concetto di un liberismo cieco e indifferente che corre verso il precipizio trascinandosi dietro tutto il resto, è stato un altro indiano, Amartya Sen, l’ispiratore della “finanza etica”, chi ha osato immaginare una concreta alternativa all'impoverimento delle risorse a beneficio di pochi e a danno di molti.

Amartya Sen, con sincera convinzione, preclude che il libero mercato possa avanzare soluzioni al problema e auspica un intervento dei governi, senz’alcuna distinzione tra paesi poveri e ricchi, per assicurare l’accesso alle basi della vita affinché interessi d’impresa o dei mercati finanziari, non spadroneggino sui bisogni fondamentali dell’umanità.

 

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