di Mario Braconi

Mario Monti torna da Bruxelles trionfante, e i mercati premiano con rialzi isterici quella che è stata venduta come una vittoria dei “paesi latini” contro la politica made in Germany, miope, egocentrica ed autolesionista. Questi i fatti: il patto a tre tra Monti, Rajoy e Hollande, assicura un doppio risultato: l’ammorbidimento delle condizioni per attivare il cosiddetto “scudo anti-spread” e la semplificazione del meccanismo di supporto diretto alle banche europee in difficoltà. Al di là delle dichiarazioni di rito, meno importante ed incisiva appare la portata dell’approvazione delle misure per la crescita, che si concretizza nella riallocazione di 120 miliardi di euro di risorse già destinate ad altro uso.

Vediamo quali sono le novità relative al meccanismo protettivo contro l’esplosione degli spread, causato dalla speculazione internazionale. Si tratta del tema nodale della crisi, cui a quanto pare la politica europea non riesce a dare una risposta efficace a causa della demenziale fissazione dei tedeschi per l’inflazione, l’unico vero ostacolo alla trasformazione della BCE in prestatore di ultima istanza sul modello della Federal Reserve americana.

Il fondo europeo EFSF, cui presto succederà lo ESM, potrà continuare ad acquistare titoli del debito pubblico dei paesi attaccati dagli speculatori. Monti era arrivato a Bruxelles con idee ben più bellicose, proponendo un meccanismo automatico di difesa. Secondo questa ipotesi, non appena lo spread (ovvero il differenziale tra il rendimento dei titoli di un paese periferico rispetto a quello delle emissioni del governo tedesco) raggiunga una certa soglia (segreta), gli acquisti massivi sui mercati dovrebbero partire senza ulteriori formalità.

Un’idea potenzialmente in grado di creare problemi alla grande speculazione anti-euro: se fosse passata la proposta di Monti, infatti, gli speculatori avrebbero dovuto vedersela con la potenza di fuoco delle istituzioni europee, oltretutto senza capire fino a quanto spingere le vendite (il livello di spread al quale si accende la miccia sarebbe stato infatti segreto).

Ovviamente la Germania si è opposta alla proposta Monti, anche se alla fine, dopo un’estenuante negoziazione, ha dovuto mollare, almeno formalmente. Oggi per accedere alla misure di supporto, un paese in difficoltà deve passare attraverso le forche caudine di una procedura umiliante. Dopo aver chiesto aiuto, esso viene costretto a firmare con il sangue dei suoi cittadini un “memorandum” di impegni gravosissimi, sull’osservanza dei quali viene chiamato a vigilare l’allegro terzetto costituito da BCE, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale (non a caso indicato sui giornali con il nome collettivo di troika, un termine che evoca il comunismo sovietico). Il tutto mentre i bulletti amici del primo della classe (Olanda e Finlandia) non la smettono di alzare la cresta, pretendendo garanzie reali da paesi allo stremo.

Grazie ad un ben congegnato ricatto sul voto al “pacchetto crescita”, Monti porta a casa un alleggerimento almeno formale delle condizioni a cui il paese sotto attacco può attingere alle risorse comuni: per attivare la procedura sembrerebbe che ora basti una semplice dichiarazione dello stato di difficoltà. Diversamente da quanto accaduto per Grecia, Irlanda e Portogallo, non dovrà impegnarsi, sotto ricatto, a realizzare misure draconiane di austerità.

Benché, in patria, la Merkel e i suoi collaboratori continuino con il loro mantra “nessun aiuto senza impegno al rigore”, l’accordo raggiunto lo scorso fine settimana non parrebbe prevedere alcun tipo di controllo formale ulteriore rispetto a quelli già previsti (ad esempio quello della Commissione).

Monti ha fatto tirare agli Italiani un sospiro di sollievo quando si è vantato ufficialmente di aver rimosso il triste spauracchio del rappresentante del Fondo Monetario Internazionale… Insomma, il premier-banchiere italiano porta a casa una vittoria formale sull’ottuso rigorismo germanico, ed allontana lo spettro delle ingerenze del FMI.

La Merkel, del resto, sa benissimo che, per attivare la procedura anti-spread (anche depotenziata come è ora) sarà ancora necessaria una larga maggioranza in seno al Fondo (sia esso EFSF ovvero ESM). Poiché la Germania è il suo più importante garante, avrà sempre potere di veto sull’approvazione delle misure di soccorso.

Resta comunque irrisolto il tema del carburante da mettere nel serbatoio di questa macchina da guerra (EFSF e ESM) nata per fare a pezzi i nemici dell’euro: 440 miliardi, in effetti, sono pochi, anche perché gli interventi su Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna ne hanno bruciati quasi la metà. Finché la visione politica della Merkel non andrà oltre quella dell’operaio medio Mercedes, poi, non sembra che ci sia spazio politico per aumentare la dotazione dei Fondi.

La vera novità del fine settimana, è la possibilità che i sistemi bancari in difficoltà possano attingere direttamente ai Fondi, anziché passare attraverso ai governi. Oggi la banca a rischio fallimento bussa a denari presso il suo governo, che effettua il salvataggio iniettando cassa. Questo comporta un aumento del debito pubblico, i cui titoli verranno acquistati anche dalla banca salvata. Questa si ritroverà nell’attivo una montagna di titoli di stato il cui valore è molto volatile, cosa che potrebbe causare un avvitamento nella crisi di liquidità.

D’ora in poi, le banche europee in crisi potranno attingere direttamente ai Fondi per superare l’impasse. Restano aperti anche in questo caso i due temi delle risorse (vedi sopra) e delle modalità dell’intervento, che anche in questo caso potrebbe essere condizionato all’adozione di misure di rigore da parte del paese nel quale operano le banche da salvare.

In ogni caso appare interessante la possibilità di arrivare in tempi brevi ad una “unione bancaria europea” a supervisione centralizzata, che a Bruxelles hanno detto di voler vedere realizzata addirittura a gennaio dell’anno venturo. Insomma, Monti si è mosso da burocrate consumato a Bruxelles, e ha saputo vendere come diamanti i pezzi di vetro che ha portato a casa. In effetti, i principali nodi restano irrisolti; oltre alla sconsiderata politica della Merkel, che appare impossibile ridimensionare in modo definitivo, resta la grande amarezza per una politica europea centrata sui problemi delle banche anziché sulle esigenze dei cittadini.

Certo, auspichiamo che si possa davvero costruire in tempi brevi un’Europa in cui tutte le banche sono soggette ad un controllo unitario: si spera che così almeno non dovremo pagare con le nostre tasse gli errori dei loro capi. Tuttavia difficilmente questa riforma potrà controbilanciare il totale fallimento politico dell’Europa, simboleggiato, oltre che dal disastro greco, dai dati sulla disoccupazione nell’area, che segnano un record negativo: sono infatti oltre l’11% i cittadini Area Euro senza lavoro (quasi un quarto della popolazione attiva in Spagna e oltre il 20% in Grecia).

 

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