di Emanuele Vandac

Mentre i Grandi del mondo, asserragliati nel Palais des Festivals et des Congres di Cannes, si scambiano battute, il Governo italiano dà l’ennesima prova di sé. Quale sede più opportuna per presentare al mondo l’ennesimo Berlusconi-show dal titolo: “Il Governo italiano rispetta i suoi impegni”? Altro che première: il premier italiano deve aver passato un paio d’ore non proprio divertenti, grigliato, in un incontro a tre, da Frau Merkel e Monsieur Sarkozy, già stressati dopo le violenze psicologiche di cui hanno verosimilmente fatto oggetto il povero premier greco Papandreu, che è uscito dal meeting più o meno sostenendo che il referendum era una battuta.

Un esamino in piena regola per l’Italia, cosa che può accadere ad un Paese comprensibilmente messo sotto tutela per l’evidente incapacità ed irresponsabilità di chi lo governa. Alla fine dell’incontro, Sarkozy ha espresso la sua relativa soddisfazione per le misure buttate giù in fretta e furia ieri sera dal governo italiano in un clima di sfascio generalizzato e che, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, avrebbero dovuto rassicurare i partner europei sulla serietà con cui l’Italia tiene fede agli impegni presi con la celebre “lettera agli europei” del 26 ottobre scorso.

Per il presidente francese non è tanto importante quello che è previsto nel pacchetto, quanto la volontà (capacità) di trasformarle in fatti (annoso tema italico, perfino aggravato da quando al timone c’è il Caimano). Prova ne sia il fatto che alla Commissione Europea è stato dato incarico di controllare da vicino l’applicazione pratica delle nuovo pacchetto berlusconiano, cosa che ha fatto presentando al governo italiano una serie di domande cui il premier dovrà rispondere entro il prossimo 11 novembre.

Dalla prospettiva dell’osservatore italiano, invece, la preoccupazione è quella esattamente opposta. A occhio, infatti, gli Italiani, infatti, temono che il governo metta in pratica le sue promesse ai partner europei più che l’avverarsi dello scenario in cui si rivelano l’ennesimo coup de theatre. Dopo la mortificante schermaglia nominalistica sulla forma tecnico-giuridica da utilizzare per mettere in conto agli italiani decenni di gioco delle tre carte, nella serata di ieri si è appreso che il governo si era ridotto a procedere con un maxi emendamento alla legge di Stabilità, anziché per decreto legge, impedito dallo stop del Presidente Napolitano per assenza dei requisiti di necessità ed urgenza. Non vale quasi la pena riferire del consueto teatrino funambolico coronato dall’assalto alla diligenza “Italian way”, con il Ministro Fitto che cerca di destinare ben 8 miliardi di euro a fantomatici “investimenti al Sud”, mentre altri ministri (nordici?) vorrebbero dirottare la somma su non meglio precisate misure “di sviluppo” - in Padania?

Ma la sostanza resta quella già vista: il pacchetto dei miracoli, che ovviamente non può rassicurare nessuno, né in Italia né fuori, punta tutto sulla (s)vendita del patrimonio immobiliare pubblico nazionale e sulla “flessibilizzazione” della forza lavoro. A proposito di diritto del lavoro, ad un certo punto, forse nel tentativo di imbarcare il PD, si è addirittura parlato di un’ipotesi di “contratto unico” sul modello di quello a suo tempo proposto dal giuslavorista PD Pietro Ichino. L’insipienza e la confusione di un governo ormai decotto si comprendono dalla salva di provvedimenti “di riserva” da dare in pasto all’estero “in caso di emergenza”: concordato di massa (l’atteso regalo agli evasori fiscali, da sempre nel cuore del centro-destra italiano), rivalutazione delle rendite catastali (con buona pace dei proprietari dell’unico immobile in cui vivono) e, perfino, un’imposta patrimoniale strutturale (l’unica cosa veramente sensata).

Parrebbe che dalle segrete del museo degli orrori della Repubblica si fosse ad un dato punto esumato il fantasma della tassa una tantum sui conti correnti: per fortuna l’ectoplasma è fuggito, nella soddisfazione generale. Bisogna riconoscere a Berlusconi una pervicacia non comune: pur colpito da almeno sei defezioni tra le file del PDL, con Tremonti nel ruolo di novello Bruto (ormai esplicito nell’indicare nella permanenza di Silvio “il” problema italiano), deriso (più del solito) dagli altri capi di stato, non molla la presa. E diventa un leone, quando si tratti d’imposta patrimoniale, ovvero di misure che tendano a colpire (anche poco) i ricchi; tant’è vero che anche questa volta è riuscito ad farla mettere da parte, quando perfino qualche rappresentante della Lega (partito disposto a tutto pur di non toccare le pensioni di anzianità) si era dimostrato tiepidamente favorevole. Sembra che l’unica speranza del vertice sia l’inedita accoppiata Sarkozy Obama, che, a parte le battute maschie a beneficio della folla, sembrano d’accordo su un (vago) progetto di tassazione delle operazioni finanziarie.

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