di Mario Braconi 

Il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF) non avrà la configurazione che gli voleva attribuire Nicholas Sarkozy, ovvero quella di una superbanca pubblica con accesso al credito della Banca Centrale Europea. Troppo forte la contrarietà della Cancelliera e dello stesso Trichet al progetto. Tuttavia, si può ben dire che le divergenze tra Merkel e Sarkozy abbiano trovato una composizione attorno alla visione francese, ovvero al rafforzamento del ruolo di EFSF nella risoluzione della crisi, fortemente ridimensionato dal concetto tedesco di “non un euro di più”.

Il vero compromesso riguarda il modo in cui EFSF verrà messo in condizioni di agire. Esclusa la possibilità di finanziarsi presso la BCE, le ipotesi allo studio sono due: utilizzarlo come una sorta di garante di una quota percentuale delle nuove emissioni dell’eurozona; ovvero lasciargli il suo ruolo di cassaforte per le emergenze, attraverso un “veicolo speciale” dove affluirebbero denari dal Fondo Monetario Internazionale e forse anche quelli di paesi esterni all’area europea (Cina, Brasile, India).

A ben vedere, le due soluzioni riescono in qualche modo a sorpassare il rifiuto tedesco ad immettere in EFSF altro denaro dei contribuenti tedeschi. Per utilizzare una coperta divenuta rapidamente troppo corta, come chiedono il buon senso (ma anche gli americani), solo due erano le possibilità: ridurre l’intervento a una percentuale delle necessità (da qui l’idea di garantire solo una quota delle nuove euroemissioni), oppure chiedere aiuto “fuori casa” (ed ecco che arriva il possibile coinvolgimento dei BRIC).

Non che la soluzione abbozzata sia politicamente indolore per la Cancelliera. Alcuni deputati del suo stesso partito politico le hanno infatti chiesto di riferire nei dettagli il contenuto degli interventi abbozzati nel corso del fine settimana: c’è particolare curiosità sul tema dell’ulteriore rafforzamento patrimoniale del fondo. Così la Merkel ha deciso di sottoporsi un’altra volta allo scrutinio del Parlamento, dove dovrà ottenere l’approvazione prima di volare a Bruxelles per mettere il suo sigillo sulle nuove misure “salva stati”. E’ stato proprio il partito della Merkel a pretendere il passaggio parlamentare, anziché l’approvazione in commissione bilancio, dove i voti ci sono. Ancora più grave il fatto che la richiesta di esporre i dettagli del nuovo piano, avanzata dall’opposizione (socialisti e verdi), era stata rispedita al mittente non più tardi di tre giorni fa.

Sembra comunque che la Cancelliera sia convinta di poter portare a casa l’approvazione parlamentare della nuova versione del pacchetto di salvataggio europeo, usando la sua maggioranza, senza dover ricorrere ai voti dell’opposizione. Il tutto considerando che i famosi 15 parlamentari “amici” che hanno cercato di impallinare il precedente pacchetto di fine settembre sull’incremento della contributo a EFSF con ogni probabilità mercoledì faranno il bis.

Resta aperto, in ordine logico, il tema del deprezzamento del valore dei titoli greci. Se non si sarà fatta chiarezza su tale argomento, è del tutto inutile ragionare di quanto debbano essere ricapitalizzate le banche europee. Sostenere che le discussioni sul rafforzamento patrimoniale delle banche siano a buon punto, perché si è raggiunto un accordo sul quantum (circa 100 miliardi  circa) ha pochissimo senso finché non si sia capito con certezza di quanto verranno abbattuti gli attivi delle banche europee, gravati di diverse decine di miliardi di euro di titoli greci nel portafoglio (per non parlare di quelli spagnoli, italiani e portoghesi).

A guidare il delicato processo di negoziazione con le banche c’è Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro italiano. Il quale, secondo il Financial Times, sabato sera avrebbe ricevuto un mandato da Trichet, Sarkozy e da Madame Lagarde, cioè governo francese, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Si tratta di un’importante vittoria per Grilli, il quale da sempre ha sostenuto l’idea di aggiungere alla negoziazione politica propriamente detta, una seconda gamba, basata sul dialogo diretto con le banche (rappresentate dall’Institute of International Finance, associazione globale tra istituzioni finanziarie, che conta ben 450 membri in 70 Paesi, o IIF). In effetti, il compito (non facile) di Grilli è di far digerire alle banche la linea dura tedesca, abbracciata ormai anche da Sarkozy: deprezzamento del valore nominale dei titoli.

Nel corso del primo accordo sul salvataggio della Grecia si era riusciti ad evitare il default di Atene, offrendo in alternativa ai portatori di bond ellenici titoli sostitutivi trentennali. Un buon modo per mascherare l’impossibilità di rimborsare i denari presi in prestito e che comunque crea notevoli problemi a tutte le banche, specialmente a quelle che si finanziano prevalentemente con i conti correnti dei clienti (a vista).

Secondo un calcolo di IIF, la dilazione del rimborso dal capitale per un trentennio equivale ad un taglio del valore nominale del 21% (per l’effetto dell’attualizzazione dei flussi futuri). Un taglio del 21% ha ovviamente provocato parecchi malumori tra le banche. Figuriamoci quanto sia facile il compito di Grilli, il cui briefing è convincerle ad accettare un taglio del valore nominale (presente) del 60%.

In altre parole, chi detiene titoli greci per 100 euro, dovrebbe far finta che essi valgano 40 euro e mettere tra le perdite la differenza. E’ evidente che nessun bilancio di nessuna banca europea esposta verso i titoli greci può “tenere” in questa prospettiva; per questo, qualsiasi dibattito sulla ricapitalizzazione delle banche europee è, allo stato, puramente nominalistico. Tanto più che, sempre secondo IIF, sommando l’effetto di dilazione già portato a casa, la perdita in conto capitale arriverebbe a toccare il 75% - 80% del valore nominale.

Tradotto: i 100 euro nel portafoglio sarebbero così ridotti a circa 20. IIF ha fatto già sapere di non essere in grado di accettare una riduzione del valore attuale dei titoli greci in portafoglio superiore al 40% (il che vuol dire che può accettare al massimo una riduzione del valore corrente di un ulteriore 20%); nel contempo, ha chiesto di portare le garanzie greche (?) dai 35 ai 55 miliardi di euro.

Il problema del cosiddetto haircut (taglio di capelli, immaginifico nome che nasconde il meno piacevole concetto di banconote in fiamme) non è solo che rischia di mandare in bancarotta diverse banche tedesche e francesi (e pure la BCE, che ha rilevato diverse decine di miliardi di titoli praticamente in default). C’è, infatti, da tenere conto di un possibile effetto a catena, che preoccupa molti analisti, più le persone del Fondo Monetario Internazionale che il governo tedesco, per la verità: se la svalutazione dei titoli greci del 100% (o quasi) dovesse essere accettata (o imposta), si potrebbe parlare di un “credit event” ovvero del fallimento dell’emittente Repubblica greca.

Dunque potrebbero trovarsi seriamente nei guai tutte quelle istituzioni che hanno “scritto” credit default swap sulla Grecia; che, cioè, hanno assicurato terzi (sperabilmente portatori di bond greci) sull’evento “fallimento Grecia”, ricevendone un premio contro rimborso del capitale in caso di sinistro. Anche in questo caso l’equilibrio da trovare è molto difficile. Come spiega una persona a conoscenza dei colloqui al Financial Times, “non c’è bisogno di essere paranoici per essere terrorizzati; [gli attori in gioco] devono trovare un punto di equilibrio tale da non generare il default e allo stesso tempo garantire la sostenibilità del debito greco nel medio periodo.” A differenza di quanto si pensava domenica sera, quando la capitolazione della Francia sulla bancarizzazione di EFSF faceva ben sperare, le difficoltà a trovare una soluzione condivisa sono ancora molte, visto che il 26 ottobre non si riuniranno i ministri finanziari europei, come inizialmente previsto.

 

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