di Emanuele Vandac

Il Vaticano entra nel dibattito sulla crisi finanziaria globale e lo fa con un suo articolato rapporto, presentato ieri mattina in sala stampa vaticana dal cardinale Peter Turkson e dal monsignor Mario Toso, presidente e segretario del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace (titolo: “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di una autorità pubblica a competenza universale”).

Il sistema finanziario è malato, questa la premessa da cui si articola il ragionamento della Santa Sede: dopo la parentesi caratterizzata dagli accordi di Bretton Woods (1944 - 1971), in cui la politica impose al mercato alcuni principi cardine (ruolo centrale del dollaro americano, convertibilità in oro, ancoraggio del tasso di cambio delle principali divise mondiali), sembra proprio che gli animal spirits del libero mercato stiano facendo una gran fatica a mantenere stabilmente in equilibrio i mercati globali.

Secondo il Vaticano, il nuovo ordine sorto dopo la fine di Bretton Woods (1971) è dominato dall’abuso di posizioni dominanti travestite da libero mercato; non solo, la furia speculativa e la sostanziale assenza di regole ha spacciato la “stabilità del sistema monetario globale”, vista come un “bene pubblico universale”. E’ interessante notare come la Chiesa cattolica riconosca all’equilibrio sui mercati finanziari un ruolo non troppo dissimile a quello di altri beni materiali e non, quali il cibo e l’acqua, la libertà e la giustizia.

Si tratta di un riconoscimento importante ed apprezzabile, specie se si considera come la speculazione globale sia in grado di influire (negativamente) sul destino di milioni di cittadini greci, italiani, spagnoli o portoghesi, in gran parte incolpevoli degli eccessi e degli errori dei loro governanti. E come la speculazione sui mercati delle commodities, operando in modo non troppo dissimile da una catastrofe naturale, abbia reso più costoso il cibo, consegnando milioni di uomini donne e bambini alla malnutrizione quando non alla morte per inedia. E’ evidente che la stabilità di un sistema economico fortemente sbilanciato sul versante della finanza non possa essere affidato completamente al libero mercato.

In questo senso, il documento presentato ieri costituisce l’elaborazione di concetti già espressi dal Papa nella sua Enciclica Caritas in Veritas. In quella missiva, inviata il 29 giugno del 2009, Ratzinger chiariva che la Chiesa non ha mai considerato l’agire economico in sé e per sé “antisociale”. E tuttavia metteva in guardia dal rischio che il mercato possa essere orientato in senso negativo per la società, “non perché questa sia la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso.” Non è dunque lo strumento ad essere sottoposto a scrutinio, quanto l’“uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale”.

Qui, ovviamente il discorso si fa più attinente allo specifico del magistero della Chiesa e, dunque, meno politicamente fruibile. Eppure, già in Caritas in Veritas, il Papa sosteneva che “l'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica.”Si tratta dunque di ridare alla politica il suo ruolo di guida sul mercato, in modo da consentire la correzione delle storture provocate da interpretazioni estremistiche del liberismo, quali finanziarizzazione patologica e deficit di democrazia e di rappresentatività all’interno dei “club” dove si prendono decisioni che toccano milioni di persone.

La Chiesa sembra avere le idee chiare su chi dovrebbe farsi carico di questo fardello: una nuova autorità mondiale, figlia di un “accordo libero e condiviso” tra i vari stati, idealmente collocata nell’ambito delle Nazioni Unite. Ad una diagnosi condivisibile si associa dunque una ricetta non troppo convincente: è infatti evidente come venga eluso il tema, centrale, della leadership all’interno del futuro super-organismo di controllo della finanza.

In effetti, anche quello nato nel 1944 a Bretton Woods era un sistema che rispondeva alle esigenze delle nazioni militarmente ed economicamente più forti, e che infatti si è dissolto precisamente quando la nazione militarmente ed economicamente più forte ha deciso che esso non era più sostenibile per suoi motivi interni (i quali per inciso, avevano a che fare con una guerra troppo dispendiosa e non proprio di successo).

In ogni caso è vero che in un mondo fortemente interconnesso, il coordinamento tra gli stati costituisce fattore chiave di successo e la sua mancanza un disastro, come sta dimostrando in questi giorni il teatrino di Francia e Germania in seno all’Eurozona. Tuttavia, prima ancora di speculare su superorganismi sovranazionali, sarebbe più urgente che i singoli stati disciplinassero correttamente i mercati finanziari, impedendone gli eccessi. In questo senso, non sono forse tanto efficaci le tassazioni delle transazioni finanziarie, su cui pure anche il documento vaticano si esercita, quanto piuttosto una misura semplice, che equipari gli strumenti derivati ai farmaci: finché non si comprenda pienamente il loro senso e la loro utilità (nel caso di specie, anche sociale) dovrebbero semplicemente essere vietati dalla legge.

E non da un solo Paese, ma da tutti, per evitare distorsioni. In ogni caso, è quantomeno ironico che uno stato come il Vaticano, che oggi parteggia per un aumentato ruolo delle istituzioni, possieda una banca come lo IOR, che ha impiegato ben 53 anni costellati di episodi non edificanti prima di accettare di essere soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia.

 

 

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