di Emanuele Vandac

Non si trova ancora un accordo tra Francia e Germania sulle decisioni da prendere nel super-summit che si terrà a Bruxelles il prossimo fine settimana. O per lo meno questa è l’impressione che si sono fatti i mercati. L’agenda ufficiale prevede un primo incontro venerdì tra i 17 ministri delle finanze dell’Eurozona, ed una seconda tornata di incontri che includono anche  i rimanenti dieci. Domenica, invece, sono previsti meeting dei leader europei, e 27 e poi a 17.

Nella serata di giovedì, a mercati europei chiusi, un comunicato congiunto dei rappresentanti di Francia e Germania ha spiegato che sarà necessario un secondo incontro, da tenersi al più tardi il mercoledì successivo, per dare piena implementazione alle decisioni prese durante il week end. Una decisione senza precedenti, che tra l’altro sembra sia stata presa dal duumvirato franco-tedesco senza nemmeno consultare i rappresentanti degli altri Paesi.

La gravità del disaccordo tra Francia e Germania è segnalata anche dall’improvviso viaggio di Sarkozy a Francoforte, dove si è recato lo scorso mercoledì dopo aver visitato la moglie in travaglio. Non sembra però che questo incontro programmato abbia appianato le controversie dei due. Uno dei temi più controversi è il ruolo dell’EFSF (European Financial Stability Facility). Sembra ormai chiaro che la dotazione attuale, recentemente portata a 440 miliardi di euro, non sarà sufficiente a farne quel “super-bazooka” contro la speculazione che vorrebbero Oltralpe. Come rendere il fondo patrimonialmente più robusto è tutta un’altra cosa. Sarkozy, spera che EFSF gli tolga le castagne dal fuoco, ovvero sostenga le banche francesi che potrebbero andare incontro a serie difficoltà nel caso passasse la linea dell’haircut (taglio di capelli, ovvero svalutazione) del 50 - 60% sui titoli greci.

Poiché però “nulla si crea e nulla si distrugge” (e se qualcuno dice che in finanza è possibile anche il contrario é meglio non dargli retta) lo ESFS potrebbe affrontare la possibile futura grana francese solo in due modi: con nuove garanzie prestate dagli euro-stati oppure trasformandosi in una super-banca pubblica. Poiché Sarkozy sembra pronto perfino a mandare a fondo il continente pur di non rischiare la tripla A del suo debito sovrano (tema elettoralmente pesante, pare), la strada delle garanzie della République non è praticabile. Da qui nasce la sua idea di trasformazione di ESFS in una vera e propria banca pubblica, che chiederebbe soldi in prestito alla Banca Centrale Europea. E qui naturalmente Sarkò non può che scontrarsi con il tonante “nein” della Cancelliera. Non solo, anche il presidente della BCE, il connazionale Trichet, è contrario: tutto da vedere quale sarà l’atteggiamento di Draghi.

A complicare le cose, c’è la Grecia, con il suo bisogno spasmodico di cash: se entro novembre non verrà sbloccata la seconda tranche di 8 miliardi di aiuti messi a punto da EU e da Fondo Monetario Internazionale, il paese ellenico sarà ormai anche ufficialmente in default. La pressione della Grecia da un lato e le visioni inconciliabili dei due leader europei dall’altro irritano comprensibilmente il Fondo Monetario Internazionale che, a quanto riporta stamani il quotidiano britannico The Independent, ha fatto sapere che la sua approvazione alla seconda tranche arriverà solo al termine del meeting europeo (quello “vero”, non quello inizialmente programmato per questo fine settimana, evidentemente ormai privo di qualsiasi autorevolezza). Il Fondo, infatti, attende risposte dagli europei sul tema delle stime di riduzione del debito greco fatte dai politici europei, bollate come “troppo ottimistiche”dall’organizzazione internazionale.

Ci sono varie “ricette” sul tavolo per uscire dalla crisi, anche se un vero progresso è impossibile a causa dei veti incrociati dei singoli attori: il deprezzamento dei titoli greci incontra il favore della Grecia, che vedrebbe così tagliati i suoi debiti. Ma è fortemente avversato dalle banche e dalla BCE, che, assieme, detengono circa 65 miliardi di euro di obbligazioni “made in Greece”. Tutti i leader, in generale, sono d’accordo sul tema della (necessaria) ricapitalizzazione delle banche europee. Il vero tema è: come? Ricorrendo al mercato o con l’aiuto pubblico (e nel secondo caso, pubblico vuol dire stato sovrano o EFSF?).

I banchieri europei (ovvero i diretti interessati) vedono il ricorso al mercato come il fumo negli occhi. E hanno gioco facile: infatti, qui si parla di mantenere un certo “ratio” (rapporto, frazione) tra attivo e passivo, il quale, per definizione, può essere conseguito anche con livelli diversi di numeratore (attivo) e denominatore (patrimonio).

Se le banche non vogliono rafforzare il patrimonio battendo cassa sui mercati, possono sempre ridurre il loro attivo, senza toccare il patrimonio. Tradotto: possono cominciare a non prestare più denaro alle aziende e ai privati, lavorando nella direzione della crisi e dandole nuove munizioni. Fa sorridere pensare che tutti questi problemi, che si trasformano in un gigantesco e pericolosissimo esercizio a chi tira la coperta da una parte o dall’altra, si risolverebbero semplicemente procedendo convintamente al salvataggio della Grecia. Ma sembra che i leader siano troppo preoccupati di ossequiare dogmi per evitare il disastro.

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