di Mario Braconi 

Non bastavano i contrasti tra i premier dei due Paesi più importanti dell’Unione Monetaria sul modo in cui l’Europa debba affrontare la crisi indotta dalla speculazione anti-euro; né l’incertezza e la preoccupazione generate dalla crisi di Dexia, una banca con un’esposizione al rischio credito pari al 170% del PIL greco. A quanto pare, alla finanza pubblica europea e alla sua deprimente politica non poteva mancare il tocco surrealista, assicurato in questo caso dal governo di coalizione slovacco, che alla fine ha mantenuto la sua folle minaccia di non approvare il pacchetto di intervento finalizzato a rafforzare la European Financial Stability Facility (EFSF).

Già, perché mentre il Continente è in fiamme, il governo di un paese con una popolazione di cinque milioni di abitanti, che ha adottato l’euro il primo gennaio del 2009 e attualmente contribuisce al Fondo di stabilità finanziaria con una quota inferiore all’1% si sta comportando da bambino viziato. E ciò a dispetto del fatto che, secondo un sondaggio citato da Reuters, poco meno della metà degli slovacchi si sia detta favorevole al piano anti-crisi e il 36% contraria.

L’assurda situazione di stallo è causata dalle norme europee, secondo cui le modifiche al Fondo, per essere valide, devono essere ratificate da 17 degli Stati che adottano l’euro: i governi di sedici Paesi hanno approvato le disposizioni di ratifica, e ora manca solo Slovacchia. Una regola certamente ispirata dalla più pura delle aspirazioni democratiche, ma che, applicata senza riguardo al peso demografico ed economico di ogni singolo Paese, è solo un pericolosissimo impaccio.

Va dato atto alla premier Iveta Radicova di essersi molto spesa tanto sul fronte esterno che internamente per tentare di rassicurare i partner europei da un lato e per convincere il suo governo ad approvare il pacchetto dall’altro. Il voto di fiducia, però, è servito solo a far cadere il suo governo. Infatti, su 124 deputati presenti in aula, solo 55 si sono espressi a favore della ratifica (per l’approvazione sarebbero stati necessari 76 voti), mentre nove sono stati i deputati che hanno votato contro.

Molti gli assenti e i “non registrati per il voto”, tra cui diversi appartenti a SaS (Libertà e Solidarietà), il partito liberal/libertarian euroscettico fondato nel 2009 e presieduto dall’economista ed imprenditore Richard Sulik. Fino a ieri, il SaS è stato uno dei quattro partiti della coalizione di governo di centro destra presieduto dalla Radicova (gli altri sono L’unione cristiana e democratica slovacca, il Movimento Democratico Cristiano ed il partito etnico ungherese).

Sulik non ha fatto mai mistero della sua contrarietà al provvedimento, che considera un’iniqua redistribuzione di denaro pubblico al settore privato. Dimostrando una miopia e una ristrettezza di visioni non comune e un’aperta indifferenza alla gravità della crisi che sta attraversando l’Unione monetaria, Sulik ha dichiarato candidamente: “La Slovacchia non ha la responsabilità di salvare il mondo (...). Lasciamo che le Borse crollino, e le azioni scendano di prezzo. Vorrà dire che saranno meno care e che la gente vorrà comprarle. Si chiama libero mercato, domanda e offerta”.

Biascicando il suo mantra libertarian ai media europei, Sulik avrà anche avuto il suo quarto d’ora di notorietà, ma ora è isolato grazie al buon senso degli altri membri del Parlamento slovacco. Il ministro delle finanze, Ivan Miklos, ha infatti dichiarato che “in un modo o nell’altro” il provvedimento verrà approvato. Si lavorerà nella direzione suggerita dalla premier alla conferenza stampa organizzata subito dopo il voto, nel corso della quale pare che abbia a stento trattenuto le lacrime: i tre partiti residui della coalizione cercheranno un accordo con Smer, il partito di centro sinistra dell’opposizione, al fine di arrivare all’approvazione entro la fine della settimana. A quanto risulta a Reuters, esisterebbe già un patto che prevede un rimpasto o le dimissioni del governo in carica (per l’ordinaria amministrazione) come contropartita del voto favorevole del partito di centro sinistra capeggiato dall’ex primo ministro Robert Fico.

Una volta incassato in un modo o nell’altro l’ok della Slovacchia, l’Europa dovrà affrontare problemi meno grotteschi, ma altrettanto preoccupanti: prima tra tutti, la questione dell’insufficienza delle misure tanto faticosamente ratificate.

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