di Emanuela Pessina

BERLINO. Una zona euro senza la Grecia: la politica tenta di sdrammatizzare in tutti i modi, ma le voci che paventano lo scenario si fanno sempre più autorevoli. A riaprire il dibattito proprio in questi giorni è stata la redazione online del settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui la Grecia starebbe effettivamente valutando l’abbandono dell’Eurozona per introdurre una moneta propria. Da Atene, il ministro delle Finanze socialista Giorgos Papaconstantinou smentisce subito con decisione, così come il capo dell’Eurogruppo Jean-Claude Junker, per cui l’idea è semplicemente una “sciocchezza”. A catena, parole di rassicurazione arrivano da tutti i maggiori politici europei, eppure le illazioni proseguono.

Ad esempio, il presidente dell’Istituto di previsioni economiche tedesco Ifo Hans-Werner Sinn, ritiene che l’abbandono dell’Eurozona costituirebbe per Atene il “male minore”. In un’intervista al Franfurter Allgemeinen Sonntagszeitung, Sinn ha affermato che la Grecia potrebbe tornare a essere competitiva solo lasciando la zona euro. Certo, l’introduzione di una nuova moneta comporterebbe il rischio di bank run, ha ammesso Sinn, poiché il panico spingerebbe i risparmiatori greci a ritirare i propri soldi dalle banche e a metterli altrove, al sicuro da eventuali insolvenze. Il processo porterebbe quindi gli istituti bancari al fallimento e li costringerebbe a rivolgersi nuovamente all’Europa per riallinearsi.

Se si dà credito alle congetture di Sinn, lo scenario, per quanto cupo, rimane comunque la via d’uscita più favorevole per Atene. Per raggiungere gli obiettivi posti dall’Eurogruppo e rimanere un Paese EU a tutti gli effetti, la Grecia è tenuta a imporre un piano di austerity troppo rigido: per l’economista tedesco, tali restrizioni rischierebbero addirittura di condurre il Paese “sull’orlo della guerra civile”. La cosiddetta “svalutazione interna” del 20-30% in zona euro presuppone un taglio di prezzi e salari di portata insostenibile che spingerebbe i gruppi aziendali del Paese alla bancarotta, afferma Sinn. Gli istituti bancari rischierebbero il fallimento anche in questa situazione, poiché sono le aziende stesse a fallire e a non poter più restituire i loro crediti. Una doppia débacle, quindi, che vedrebbe anche “la morte di massa delle aziende”.

La posizione di Sinn non lascia spazio a interpretazioni e non può che riportare alla mente un altro importante economista tedesco, Axel Weber, ex-presidente della Banca federale tedesca, dimessosi a fine aprile. Prima di cedere il suo posto alla Bundesbank e rinunciare così alla candidatura per la presidenza della Banca centrale europea (Bce), l’ex-banchiere aveva criticato apertamente alcune decisioni della Bce stessa in merito all’acquisto dei bond della Grecia per risolvere l’emergenza crisi. Più in particolare, Weber aveva ipotizzato eventuali uscite temporanee dall’euro per i Paesi in crisi: un’opinione, a quanto pare, che sta trovando sempre più sostenitori fra gli economisti di un certo calibro, sebbene non condivisa dalla politica.

Per il momento, l’unica cosa certa rimangono i fatti, e questi non sembrano promettere nulla di buono. La Grecia deve fare i conti con 327 miliardi di euro di debito pubblico e i cittadini protestano quasi quotidianamente contro il Governo Papandreou e i suoi piani di austerità. Per Bruxelles, Atene avrebbe dovuto ritrovare l’equilibrio economico già dal 2012, ma l’obiettivo appare sempre più irrealizzabile e già si comincia a parlare di un’eventuale ristrutturazione del debito. Nonostante appaiano troppo severe per essere metabolizzate dal Paese, le manovre intraprese dal governo greco sembrano non essere sufficienti a soddisfare le esigenze di Bruxelles.

Unanime l’opinione dei politici europei, che considerano la questione greca da tutta un’altra prospettiva. Una voce per tutte è quella del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble (CDU), il maggiore sostenitore del progetto Europa, assolutamente contrario all’uscita della Grecia dalla zona euro. Secondo fonti vicine al ministro, citate da Der Spiegel, l’introduzione di una nuova moneta comporterebbe una svalutazione del 50% nel Paese, mentre il debito pubblico raggiungerebbe il 200% del Prodotto Interno Lordo: ciò significa, in una parola, bancarotta. E a questo punto il Governo di Atene dovrebbe introdurre misure di contenimento per impedire la fuga di capitali, una linea che non andrebbe d’accordo con il liberalismo europeo. In questo modo, secondo Schaeuble, la Grecia rischia di venire tagliata fuori dal mercato globale per i prossimi anni.

Ai primi posti, nella lista dei timori del ministro tedesco, c’è che l’uscita di un Paese dalla moneta unica rovinerebbe inesorabilmente la fiducia economica dei mercati nella zona euro. Gli investitori dovranno convivere con il timore dell’abbandono futuro di altri Paesi e a dominare le piazze di tutto il mondo sarebbe il fantasma del rischio contagio. In attesa dunque di vedere quali saranno le prossime mosse della Grecia, par di capire la sostanza degli incubi europeisti: l’uscita di Atene sarebbe un fatto grave e, per giunta, rischierebbe di provocare un effetto contagio per tutte le altre economie in crisi. Se l’euro è stato fino ad ora il cemento su cui edificare l’Ue, proprio dalla moneta unica potrebbe venire il primo atto della sua possibile disgregazione.

 

 

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