di Ilvio Pannullo

Un pericoloso assalto si é abbattuto sulla Grecia. Come riferito da Wall Street Italia ci sarebbe la banca americana Goldman Sachs dietro al rialzo dei CDS (Credit Default Swaps) ellenici, secondo un rumor che circola nel pre-borsa delle sale trading di Manhattan. Il gioco al massacro dei broker ha l'obiettivo, a soli fini di profitto, di colpire il paese al momento più debole dei P.I.I.G.S. (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) ed eventualmente scardinare l'euro.

E' il gioco letale dei CDS - quello per intenderci che ha scarnificato il colosso delle assicurazioni AIG, poi salvato dal fallimento da un fiume di dollari pagati dal contribuente americano - ed è quello che hanno ripreso a fare le banche d'affari dopo i mega salvataggi del 2009. L’unica differenza, purtroppo drammaticamente rilevante, è che ora il rischio si è trasferito dalle ciclopiche entità finanziarie private agli stati sovrani. Il che complica di molto le cose, perché se per evitare il fallimento dei colossi “troppo grandi per fallire” gli stati e le autorità centrali hanno dovuto compiere manovre a dir poco straordinarie, adesso a ballare sono gli stati stessi e con loro, ovviamente, i loro cittadini.

Che ci fosse la necessità di un "annuncio" per non far saltare Grecia ed euro era evidente da vari giorni - nonostante le smentite ufficiali - ma il mercato certamente si aspetta al più presto tutti i dettagli sulle modalità del salvataggio: garanzie, prestiti, utilizzo o meno del Fondo Monetario Internazionale, insomma chiarezza e cifre sul tavolo. I dettagli saranno rivelati all'Econfin di lunedì, dicono a Bruxelles. In attesa delle necessarie decisioni politiche il piano di intervento per salvare la Grecia appare nell’immediato fiacco e confuso. Cosa pericolosissima vista l’entità della speculazione e lo scenario che questa potrebbe aprire per l’intera eurozona.

La Grecia é sotto attacco perché ha un deficit pari al 13% del Pil, ben aldilà del 3% fissato come parametro di riferimento dal Trattato di Maastricht. Il debito pubblico è invece pari al 125% del Pil (il rapporto italiano debito/Pil si ferma poco prima, al 118%), mentre le griglie europee parlano di un limite massimo del 60%. Se ci si ferma agli indicatori economici, appare evidente la contraddizione. Delle due una: o si rivedono tutti gli schemi e le regole comunitarie riguardanti l’Unione Economica Monetaria, aggiornandoli ai recenti mutamenti avvenuti in seguito alla crisi americana, oppure l’Unione Europea - in prima fila i paesi continentali, su tutti Francia e Germania - si dovrà far carico del salvataggio di quei paesi "deboli" del Club Med, oggi viziati e "drogati" dal loro finto benessere.

Dal fronte opposto il premier greco, il socialista Giorgio Papandreou, già grida al complotto. Parla di una "vasto attacco speculativo contro l'Euro" che sarebbe partito dall’ "anello debole". Cioè la Grecia.  Rimane comunque consapevole del pericolo perché quello che sta succedendo è la conseguenza della sfiducia dei mercati, ormai consolidata, e quindi si è già impegnato, fin dal 2010, a tagliare il deficit pubblico del 4%.

Dal canto loro Germania e Francia, maggiormente coinvolte per l'esposizione delle proprie banche ad Atene, hanno mantenuto la leadership assoluta durante i frenetici negoziati. E' evidente l'intento della Cancelliera Merkel e del Presidente Sarkozy di voler dare l'impressione ai propri cittadini che non sarà utilizzato denaro dei contribuenti per risolvere questa "tragedia greca". La piazza - il pubblico - sono caldi ovunque non per irrazionalità o anarchismo ma per i morsi della crisi economica. I cittadini sono assolutamente insofferenti ormai per le tattiche globali di banche e banchieri, supportate da salvataggi strumentali al mantenimento del potere (lo status quo e' messo a repentaglio da nuovi equilibri) grazie a enormi quantità di denaro pubblico sperperate ad uso e consumo di elite politiche, mentre l'economia personale di ciascuno, di ogni famiglia europea, soffre ancora in modo vistoso per crisi e recessione.

Il quadro generale non offre infatti spunti per essere seriamente ottimisti: molti stati si sono indebitati per combattere la disoccupazione e la crisi economica; quelli che avevano le finanze pubbliche più fragili ora si trovano nella condizione di dover gestire un debito pubblico sempre più pesante e che diventa sempre più costoso, visto che gli investitori reclamano rendimenti crescenti per continuare a finanziarlo. La regola è sempre la stessa: maggiore è il rischio dell’insolvenza, maggiore deve essere l’interesse che lo Stato garantisce a chi si assume il rischio comprando i titoli del suo debito. Diciamo l'ovvio: sarà impossibile ottenere dalla Grecia e dagli altri stati P.I.I.G.S. il rientro nei parametri di Maastricht entro tempi rispettabili. Per questo l'euro vale oggi tanto quanto valgono i fondamentali del più tenue anello della catena, in questo momento la Grecia.

Ogni catena infatti si spezza sul suo anello debole anche se gli altri anelli sono fatti di titanio indistruttibile. In altre parole, da sola la Grecia non ce la può fare senza l’aiuto dei due colossi europei. L’alternativa prevede un’uscita pilotata della Grecia dall’Euro e un ritorno alla Dracma, cosa che trasformerebbe Atene in una Buenos Aires europea. Quello che accadrà però nessuno può ancora dirlo con certezza, perché dalle istituzioni europee ancora non si è sentita una parola chiara e questo é francamente inaccettabile.

Il risultato di tutto questo è l’indebolimento dell'euro nei confronti del dollaro, scambiato ormai a 1,37. E questo non dispiace ai paesi che affidano la propria ripresa alle esportazioni (come la Germania) perché un euro più debole rende le merci apprezzate in quella valuta più competitive. Per questo molti operatori finanziari scommettono che, se le cose dovessero mettersi davvero male, l'Europa e la BCE non si muoveranno per salvare i paesi in crisi di credibilità. Tradotto significa che non compreranno i titoli del loro debito pubblico.

Semplificando, il ragionamento è questo: più diventa costoso il debito per gli Stati, maggiori dovranno essere i tagli di spesa o gli aumenti delle tasse necessari per far fronte ai costi crescenti. E se lo Stato deve trovare risorse per pagare gli interessi o rimborsare il debito, pesca dalle tasche dei cittadini, o con nuove imposte o riducendo i trasferimenti. L'inevitabile effetto collaterale che si ottiene è quello di osservare la riduzione della domanda, il crollo dei consumi. La ripresina appena arrivata si esaurirebbe in un attimo e si ritornerebbe in una fase di recessione. Con un'aggravante rispetto a quella da cui siamo appena usciti: le banche centrali non possono più tagliare i tassi d’interesse perché lo hanno già fatto (quelli americani sono a zero, quelli europei all'1%) e gli Stati non possono più varare piani straordinari di spesa, visto che è proprio agli eccessi di spesa che stanno cercando di porre rimedio. Le borse, che anticipano gli eventi o comunque cercano di farlo, scontano quindi già la prospettiva della recessione e gli operatori vendono invece di comprare.

Il problema è che se la Grecia è già sotto il fuoco degli speculatori - insieme al Portogallo e alla Spagna che sono state le prime vittime, con tassi sul debito che crescono a vista d'occhio - l'Italia sta entrando nel mirino. La politica del sole in tasca ostentata dal governo non convince i mercati che il nostro paese sia meglio di Spagna e Portogallo. Gli investitori internazionali stanno passando al setaccio i conti dell'Italia e non ci metteranno molto a scoprire che nelle proiezioni dei prossimi tre anni il governo ha peccato di ottimismo e c'è un buco di almeno 15 miliardi all'anno.

Già da ora si possono immaginare i comizi e le invettive che la Lega, il PDL, Tremonti e tutta l’allegra compagnia lanceranno contro la speculazione internazionale, contro quei cattivoni che non compreranno più i titoli di Stato italiani a bassi tassi di rendimento. Solo allora questo governo dovrà affrontare la sfida più difficile: quella di guidare l'Italia con un debito pubblico mostruoso, in una nuova Unione Europea, dove ognuno è giudicato per quello che è e non per quale moneta usa. L'esecutivo dovrà mantenere la coesione sociale nonostante i tagli alla spesa, dovrà recuperare l'evasione fiscale con durezza, dovrà dimenticarsi le grandi opere, oltre alle consulenze e prebende varie ai grandi gruppi di’interesse. Che però sono al governo…

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