di Ilvio Pannullo

L’aiuto che il primo ministro ellenico George Papandreu aveva invocato non è arrivato: la cancelliera Angela Merkel ribadisce la linea dura nei confronti di Atene, linea che ha impedito nell'ultima riunione dell'Eurogruppo e dell'Ecofin, il 15 e 16 marzo, la possibilità che si concretizzasse un piano di aiuti economici per il risanamento della Grecia. Il rigore teutonico si abbatte sull’esecutivo greco, cui tocca ingoiare un boccone che potrebbe, in un futuro non troppo lontano, rivelarsi fatale. Il dado è tratto: nessun aiuto economico alla Grecia unitamente alla minaccia di una possibile esclusione dall'area Euro di tutti quei Paesi che non rispettano ripetutamente i vincoli di bilancio imposti dai trattati.

Per quella che fu la culla della civiltà europea non poteva andare peggio. Il rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale appare ora l’unica alternativa possibile, sempre che all'ultimo momento non si trovi una soluzione europea, magari attraverso la Bce. La situazione greca dovrebbe allarmare non poco quegli stati che si trovano in una situazione economica analoga - i famosi “maiali” europei - il quartetto noto con l’acronimo P.I.I.G.S. e cioè Portogallo, Italia, Irlanda e Spagna. Capire quanto sta accadendo alla Grecia e come tutto questo si sia potuto verificare, è dunque di fondamentale importanza per evitare che si ripetano le stesse dinamiche, ma su paesi - come l’Italia e la Spagna - economicamente molto più pesanti sulla bilancia dell’economia europea.

Già si era detto dei rumori che imputavano alle grandi banche d’affari americane la colpa di aver truccato i conti pubblici all’ombra del Partenone. Adesso che anche la Banca Centrale americana, la Federal Reserve, denuncia le responsabilità di Goldaman Sachs nel taroccare il debito pubblico della Grecia, i rumori sono diventati fatti concretamente dimostrati. In una testimonianza davanti al Parlamento, il 25 febbraio 2010, il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha infatti detto: "Stiamo esaminando una serie di questioni relative alle operazioni di Goldaman Sachs e di altre aziende nel negoziare strumenti derivati con la Grecia". E dire che tra amici raramente ci si dà fastidio.

I fatti risalgono al 2001: la Grecia deve entrare nell'Euro e negozia con la banca d'affari più famosa del mondo, la Goldman Sachs, un contratto derivato, ossia uno strumento finanziario che ridistribuisce nel tempo gli oneri del debito pubblico, il tutto per rendere presentabili i suoi conti pubblici. La Grecia riesce così a rientrare nei parametri europei nascondendo a Bruxelles la reale fragilità delle sue finanze e Goldman intasca una commissione da trecento milioni di Euro. La banca d'affari non smentisce l'operazione, ma il 21 febbraio ha precisato che l'accordo con il governo greco rispettava "i principi fissati dall'Eurostat", il servizio statistico della Commissione europea.

Come sempre tutto viene fatto nel rispetto delle regole. Le stranezze, tuttavia, non finiscono qui: alquanto singolare infatti è la puntualizzazione fatta sul caso dalla Banca d’Italia, che sulla vicenda  de quo ha sentito la necessità di chiarire che il suo attuale presidente, Mario Draghi, vicepresidente di Goldman dal 2002 a 2005, non ha avuto alcun ruolo nell'operazione. Dicevano i latini excusatio non petita accusatio manifesta. Se è vero che in campo economico  la regola generale impone di non credere mai a nulla, fino a quando il nulla non viene ufficialmente smentito, questa precisazione aiuta a rafforzare la preoccupazione di quanti sono convinti che, nel mondo della finanza, la facile intercambiabilità tra ruoli pubblici e privati sia il segno evidente dell'esistenza di una cabina di regia occulta, la cui opera appare del tutto insindacabile e svincolata da qualsivoglia controllo di natura politica.

Ma questi sono problemi di ieri, anche l'interesse della Federal Reserve per la tenuta dei conti greci nasconde una preoccupazione più importante e drammaticamente attuale: il default dello Stato. Soltanto nei prossimi tre mesi Atene dovrà infatti rifinanziare qualcosa come 25 miliardi di Euro e non è affatto detto che troverà investitori interessati a scommettere sulla credibilità delle sue istituzioni. Dopo qualche giorno di tregua, infatti, da ieri i mercati finanziari hanno ricominciato a mettere sotto pressione i titoli di Stato greci. La task force di Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale, che ha da poco concluso la sua missione ad Atene, è arrivata alla conclusione che le misure di austerità previste dal governo greco non sono sufficienti: la richiesta perentoria delle istituzioni economiche internazionali è stata quella di trovare altri 4,8 miliardi di Euro.

Non sarà tuttavia facile visto che la Grecia ha già preso impegni giudicati dai mercati quasi impossibili da rispettare: secondo il piano proposto dal primo ministro socialista, George Papandreu, il feroce risanamento imposto al paese dovrebbe portare il rapporto tra deficit e Pil dal 13% attuale al 3% in soli tre anni. Un’impresa degna di Mago Merlino. Delle due l'una: o il piano si rivelerà credibile e sarà attuato con brutale rigore, oppure si rivelerà la mera descrizione di un sogno irrealizzabile ma comunque da realizzare. Autore del miracolo - a voler essere ottimisti - dovrebbe essere un paese caratterizzato da una corruzione endemica e da un'immane evasione fiscale, oramai funzionale alla stessa fisiologia del sistema economico greco.

In entrambi i casi le conseguenze per il popolo ellenico saranno disastrose, con tagli ai servizi pubblici che andranno a colpire la larghissima maggioranza dei quei cittadini appartenenti alla classe media, colpevoli soltanto di non aver potuto evadere la fiscalità generale accumulando indebitamente ricchezze che avrebbero potuto, in questo momento di difficoltà, garantirgli una possibilità di sopravvivenza.

La macelleria sociale di prossima attuazione è già nell'aria. Si susseguono ininterrottamente scioperi generali che hanno come unica conseguenza quella di aggravare la capacità produttiva di un paese oramai già in ginocchio. Tutti i segnali che provengono dalla società civile palesano ciò che agli analisti economici è evidente già da tempo: l'eventuale risanamento causerà inevitabilmente fortissime tensioni sociali e una recessione economica che potrebbero destabilizzare il governo. Anche per questa ragione alcune agenzie di rating cominciano a pensare di tagliare il giudizio di affidabilità del debito greco: qualora questo dovesse accadere, potrebbe diventare l'innesco della fase finale della crisi finanziaria.

Pierre Cailleteau, responsabile per i rating sovrani di Moody’s, in merito a questa possibilità ha detto: "Se in pochi mesi si dovesse vedere uno scostamento significativo rispetto al piano, allora è abbastanza probabile che dovremo aggiustare il rating  di conseguenza" e già oggi il giudizio sui titoli greci non è dei migliori, soltanto A2. Il tutto mentre Standard&Poor’s e Fitch, le altre due più importanti agenzie di rating, sono già più pessimiste e lo classificano come BBB+.

Intanto la borsa di Atene continua a perdere e dalla fine di febbraio registra chiaramente una tendenza ribassista. In questo scenario l'Euro vale quanto l'anello più debole della sua catena, appunto la Grecia, e diventa sempre più debole sia verso il dollaro che verso lo yen giapponese. Ad avvantaggiarsi di una maggiore competitività della divisa europea è quella stessa Germania cui la Grecia chiede una mano per risollevarsi dalle sue difficoltà economiche. La locomotiva tedesca guidata da Angela Merkel vede, infatti, le merci prodotte sul suo territorio diventare sempre più competitive sui mercati internazionali proporzionalmente all'indebolimento dell’Euro. Insomma per la Grecia e per i “maiali” europei tira aria di macello.

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