di Sara Michelucci

L’emigrazione vista attraverso gli occhi e le parole di un bambino di 9 anni, Nino, clandestino nella Svizzera di fine anni Cinquanta. I suoi genitori sono emigrati da un paesino della Puglia per lavorare e lo hanno portato con loro, anche se non potevano. Infatti ai cosiddetti “lavoratori stagionali”, era vietato portare in territorio svizzero i loro famigliari, ma come si fa a stare lontano dai propri figli? È quello che si chiede e ci chiede Mario Perrotta, con lo spettacolo teatrale, La Turnàta, ‘secondo atto’ dopo quello di un anno fa, Italiani Cìncali, al teatro Secci di Terni.

Se nel primo raccontava gli emigranti italiani nelle miniere del Belgio, in questo secondo appuntamento Perrotta si concentra sulla Svizzera e sulla mancanza quasi totale di diritti civili per gli italiani che vi andavano a lavorare. “Se sei emigrante la prima cosa che ti devi imparare è che nna enùta è solo nna enùta, mentre la turnàta è per sempre”, spiega Perrotta prima di iniziare lo spettacolo.

“Due termini - continua - per indicare la stessa cosa: il ritorno. Ma la differenza è fondamentale. Me l’hanno spiegata con parole semplici, ma inequivocabili. Nna enùta (una venuta) è nna fesseria, il tempo di guardarsi attorno veloci, senza mettere a fuoco i luoghi e le facce, per ripartire subito e dimenticare…La turnàta, invece, è altra cosa...vuol dire che hai raggiunto l’obiettivo, ti sei sistemato, puoi mettere a fuoco, ricordare le facce e i luoghi perché ora stai per tornarci, definitivamente.  Ancora una volta loro parlano e io ascolto, registro cassette su cassette, raccolgo materiali, lettere, annoto sensazioni. Ma, soprattutto, cerco di tenere a mente gli sguardi, sono quelli che mi raccontano più di ogni parola, sono gli sguardi ciò che dovrò portare con me quando racconterò la loro storia. E ognuno ha il suo di sguardo, frutto di vicende personali e familiari, frutto delle diverse esperienze lavorative, del livello di integrazione raggiunto all’estero. Anche il luogo scelto per emigrare sembra avere un peso: c’è un sguardo da Belgio, uno da Germania, uno da Svizzera, ma, soprattutto, c’è uno sguardo da enùta e uno da turnàta. Chi è rimasto e chi è tornato. Due categorie distinte e di facile comprensione”.

L’avventura di Nino e dei suoi parenti inizia quando il nonno, che da anni lavora in Svizzera, muore. I genitori del bambino, allora, decidono di riportarlo in Salento. E così inizia il loro viaggio.

Un tragitto fatto di paura e speranza di non essere scoperti. Ma anche di eccitazione, perché finalmente si può rivedere la propria terra natia, i colori della Puglia e gli odori di una terra tanto bella, ma con mille difficoltà. Fatto di canzoni popolari che ricordano il Bel Paese e di racconti che segnano un’epoca e un periodo, dove l’infrangersi del sogno comunista, e quindi di un’uguaglianza di classe, la fa da sottofondo.

E così, con una Giulia 1300, la famiglia accompagnata dall’amico Tano, sindacalista che in Svizzera si è sempre battuto per i diritti dei lavoratori, parte per l’Italia. C’è la frontiera da superare, così Nino, che viaggia da clandestino, è costretto a nascondersi nel portabagagli, vincendo la paura del buio e dell’asfissia. Poi si arrivare sino a Bologna dove finisce l’autostrada e finalmente in Salento dove, a finire, è invece l’asfalto.

Arrivare a casa, finalmente, per mostrare ai ‘compagni’ che tutto è andato per il meglio e che ti sei sistemato. Anche se non è così, perché in realtà non ci si è affatto sistemati, ma si è solo stati sfruttati. Ma per i genitori di Nino, come per lui, tornare significa riconquistare una libertà perduta negli anni lontano dal proprio paese.


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