di Mario Braconi

Qualcosa deve essere scattato nella testolina di Rupert Murdoch lo scorso venerdì, mentre partecipava al Consumer Electronics Show di Los Angeles; è successo proprio durante la presentazione di Google TV, il servizio del gigante di Mountain View che, grazie ad un piccolo aggeggio elettronico, consente di vedere contenuti internet direttamente sul televisore del salotto.

Mentre lo speaker di Google spiegava il modo in cui si può andare a caccia di film e serie TV su Google TV, il vecchio tycoon ha chiesto quale esito darebbe la ricerca di un film di grande cassetta su Google TV (c’è chi dice che il titolo proposto fosse “Mission Impossible 4, Ghost Protocol”, chi invece, forse ironicamente, “I Pirati dei Caraibi”). “Lo stesso che si avrebbe con una normale query sul motore di ricerca”, è stata la risposta. Murdoch incalza l'interlocutore: “Google suggerirebbe anche link a siti che contengono materiale piratato?”. La risposta è stata la peggiore che si potesse immaginare: “Certamente, a meno che i siti non siano stati rimossi dai risultati di ricerca [in seguito ad un ordine dell’autorità giudiziaria]”.

Sembra che a quel punto il disappunto di Murdoch sia stato evidente. Non solo: la sua rabbia e frustrazione hanno continuato a defluire attraverso Twitter, dove si è espresso con la delicatezza e la diplomazia che contraddistinguono da sempre il personaggio: “Google è il re della pirateria, trasmette streaming gratuito di film e fa i soldi con la pubblicità: non c’è da meravigliarsi del fatto che investa milioni in attività di lobby”.

Non che sia troppo da stupirsi: da sempre i rapporti tra Google e il Citizen Caine dei nostri giorni sono tesi. Nel 2009, per dire, Murdoch dichiarò: “L’intero modello Google è basato sulla slealtà digitale. Tutto quello che fanno è il risultato di slealtà nei confronti dei creatori [di contenuti].” La polemica, allora, era causata dal fatto che Google, al pari di alcuni importanti siti che fungono anche da aggregatori (come The Drudge Report e The Huffington Post), genera una quantità formidabile di contatti sui siti di news, che però non producono entrate finanziarie per i destinatari. Un po' come avere un predicatore formidabile che riempie la chiesa, ma che non fa guadagnare un centesimo al prevosto... E’ questo il delitto più grande, almeno dal punto di vista del nostro formidabile Paperon de’ Paperoni degli antipodi, il quale non ha caso controlla due grandi giornali (il britannico The Times e l’americano Wall Street Journal), ai cui articoli online di accede solamente dopo aver sganciato dei soldi.

Ovviamente, la natura della relazione tra editori tradizionali e Google è complessa ed ambivalente: Murdoch potrà anche mangiarsi il fegato perché Mountain View non gli consente di spremere ogni dollaro / euro / sterlina possibile dai suoi potenziali clienti (anzi, magari gliene prende qualche centesimo). Eppure è difficile snobbare un attore così potente, ubiquo (“atmosferico”, scrive Anthony Wing Kosner su Forbes). Non a caso, sbollita la rabbia, il cinguettio successivo appare meno emotivo: “Google è una bella società che fa un mucchio di cose interessanti. Ho solo una lamentela, però importante”.

Come osserva Kosner, internet ha dimostrato il fallimento del modello economico basato su “comando e controllo”, che peraltro traspare con chiarezza dalle assurde proposte di legge contro la pirateria online attualmente allo studio presso le due camere del Congresso USA. La cosa ironica, però, è che “molti di coloro che sostengono lo Stop Online Piracy Act sono fieri sostenitori dei mercati totalmente liberi, almeno finché non siano a rischio i loro interessi particolari”.

Ed effettivamente Murdoch è tra i più convinti sostenitori dei due progetti di legge in corso di esame al Senato alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America (noti come PIPA e SOPA): si tratta di bozze (mal) scritte sotto la dettatura delle major, che, oltre a dimostrare un'invincibile ignoranza dei meccanismi dell'economia digitale (non risolvono infatti la questione della pirateria online), rappresentano una concreta minaccia alle libertà civili negli USA e nel mondo.

Secondo quanto risulta allo Huffington Post (non certo tenero con il magnate australiano, che con buone ragioni considera una reale minaccia alla libertà e alla democrazia globali) l’anziano tycoon avrebbe fatto attività di lobbying per sostenere entrambi i progetti di legge; di più, avrebbe perfino incontrato personalmente Mitch McConnell il Minority Leader repubblicano al Senato, estensore di un indirizzo di buon senso, con cui ha chiesto alla maggioranza al Senato di “riconsiderare la sua decisione di andare avanti con questa proposta di legge”, a causa della sua problematicità.

Nel frattempo, lo scorso giovedì la filiale britannica della News Corp ha dato il via ad una prima serie di rimborsi alle vittime della sorveglianza illegale subita per anni per mani di giornalisti delle testate popolari che facevano capo al gruppo di Murdoch (The Sun e News Of The World, che ha chiuso lo scorso luglio proprio a causa dello scandalo). Se il denaro ha cominciato a defluire dai forzieri di Rupert il significato è uno solo: come spiega un comunicato della stessa News Corp, “la società ammette che i manager e dirigenti della NGN (che controllava News of The World, oltre che al blasonato The Times ndr) erano a conoscenza degli illeciti commessi dai loro sottoposti e che essi hanno tentato di nasconderli ingannando deliberatamente gli investigatori e distruggendo prove”.

Le richieste d’indennizzo già pervenute sono per il momento una sessantina, ma fonti della polizia parlano di un numero di potenziali vittime vicino alle 6.000 unità. Si tratta di una vicenda sordida, costellata di episodi davvero esecrabili: intercettazioni illegali di telefonini in uso a vittime e/o parenti di vittime di assassini pedofili, e/o di soldati tornati in patria in posizione orizzontale dentro una busta di plastica; cancellazione di messaggi in segreteria al fine di permettere nuove registrazioni da rubare, corruzione di ufficiali di polizia, pedinamento fisico di personaggi celebri (e dei loro figli minorenni) perfino fuori dai confini del Regno.

Il tutto per fornire carburante rigorosamente umano all’oscena macchina di quella stampa che non può essere definita che con le immortali parole del poeta latino Catullo: “cacata carta”. Sarà anche carta igienica quella che gonfia di bigliettoni le tasche di Murdoch, ma il vecchio finora gli è stato affezionato. Per dirne una, l’amicizia non troppo disinteressata di Murdoch con l’attuale premier conservatore Cameron ha finito per mettere quest'ultimo seriamente in imbarazzo, al momento in cui si è dovuto prendere come spin-doctor Andy Coulson, ex capo-redattore di News Of The World, enfant prodige, visino da primo della classe e temperamento da teppista in gessato grigio.

Almeno a quanto risulta dai processi, il capo della comunicazione dei Conservatori e poi perfino del Primo Ministro è stato il vero deus ex machina dell’infame macchina di News Of The World. Coulson, almeno ha ammesso le sue colpe, ha perso tutto e si è fatto anche un breve passaggio nelle galere del Regno. Rupert, invece, è imperterrito e gli avanza tempo per dire che Google è “un'azienda di ipocriti”.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy