di Mario Braconi

Il 15 dicembre, in una clinica oncologica di Houston, è morto Christopher Hitchens: gli sono state fatali le complicanze di un tumore terminale all’esofago. La morte di un uomo libero, allergico alle facili catalogazioni, reso immortale dalle sue eccellenti virtù di polemista, giornalista, scrittore e conferenziere. Christopher, “Hitch” per gli amici (con britannico snobismo, sembra detestasse il popolare “Chris”) era nato a Portsmouth in Gran Bretagna sessantadue anni fa da un Comandante della Marina britannica di solide idee conservatrici e da Yvonne, “una pennellata di colore in questo mondo grigiastro”, morta suicida in Grecia assieme al suo nuovo compagno Timothy Bryan, quando lo scrittore 28 anni.

Hitchens, almeno all’inizio della sua carriera, è stato un socialista internazionalista, e in giovane età viaggiò molto, a sue spese, in paesi che stavano muovendo i primi passi sulla strada della democrazia dopo aver posto fine ad orrende dittature: come ricorda sul Guardian Peter Wilby, andava in Polonia, Portogallo, Cecoslovacchia e Argentina, portando con sé, “solidarietà e pacchi di blue jeans”.

La libertà che Hitch rivendicava per le sue idee politiche valeva anche per le sue scelte sessuali: dopo aver rischiato l’espulsione dalla scuola per omosessualità, ad Oxford finì a letto con una ragazza che lo adorava a tal punto che sue foto adornavano le pareti della sua camera da universitaria: e da allora divenne un convinto eterosessuale, perché, come spiegava “ero diventato brutto a tal punto che nessun uomo al mondo avrebbe fatto sesso con me”.

Gossip sessuali a parte, dopo la laurea, conseguita nel 1970, cominciò a lavorare per la rivista britannica The New Statesman, seguendo la politica internazionale. Anthony Howard, il redattore che assunse Hitchens, lo descrive così a Laurence Arnold di Bloomberg: “Un giornalista veloce come una saetta, che non si presentava mai in redazione prima delle dieci e tre quarti, tenendo nella mano tremante un bicchiere di cartone pieno di zuppa di pomodoro il cui scopo era tentare di gestire il suo dopo-sbronza”. Una decina di anni dopo, Hitchens si trasferì negli Stati Uniti e da lì cominciò una serie di collaborazioni regolari per periodici americani (The Nation e Vanity Fair), oltre a diverse corrispondenze per giornali britannici.

L’odio per la dittatura è sempre stata una costante della visione del mondo di Christopher Hitchens. Una giusta fissazione, che però in alcuni casi l’ha spinto perfino a sostenere delle guerre imperialiste: è successo, senza gravi conseguenze per il suo posizionamento politico nel 1983, quando sostenne la guerra della Thatcher contro l’Argentina. Ed è accaduto, in modo più eclatante alla fine del 2001, quanto Hitch, dopo gli attacchi terroristici agli Stati Uniti, dichiarò di aver abbandonato la sinistra, senza per questo abbracciare posizioni conservatrici in senso stretto (rimase sempre marxista): “Ho fatto una specie di giuramento di rimanere freddamente furioso finché con il fascismo dal volto islamico non saranno stati fatti i conti nel modo più determinato e spietato”.

Ovviamente la scelta drammatica di Hitch non poteva restare senza conseguenze sulla sua ventennale storia di collaborazione con The Nation, che infatti venne bruscamente interrotta nel 2002. Esprimendo il suo disagio nei confronti delle posizioni politiche del periodico che aveva ospitato i suoi scritti per lunghissimi anni, Christopher ebbe a dire: “The Nation sta diventando la voce e la cassa di risonanza di tutti coloro che sono sinceramente convinti che John Ashcroft costituisca una minaccia alla sicurezza del mondo più grave di quella rappresentata da Osama bin Laden”.

Comincia così il periodo più imbarazzante della biografia del grande polemista e giornalista naturalizzato americano, in cui compaiono gite a pesca con Paul Wolfowitz ed inviti alla Casa Bianca, culminato con la dichiarazione di voto a favore di Bush (2004). Comprensibile lo shock dei suoi ex amici dell’intellighenzia sinistrorsa anglosassone (tra cui Michael Moore) i quali non vollero più averci a che fare. Celebre in particolare l’anatema dello scrittore Gore Vidal, che ritirò la sua investitura di Hitchens quale suo “erede e delfino”, al punto che sulla copertina del suo libro autobiografico Hitch-22, la grafica mostrava una croce vergata con una finta nota a penna rossa sulle parole di Vidal, con l’annotazione “NO C.H.”, dove le due lettere stanno ovviamente per Christopher Hitchens.

Sempre per onestà intellettuale, occorre anche precisare come la sua temporanea adesione al “pensiero” neoconservatore non sia stata né completa, né pacifica: un amante della libertà come Hitch, infatti, non poteva tollerare lo scempio dei diritti (quelli dei cittadini, quelli dei prigioneri) perpetrato a cuor leggero dall’amministrazione Bush. Per questa ragione, Hitchens fu tra gli intellettuali che, assieme alla "American Civil Liberties Union" e ad altre ONG, presentò una denuncia contro le attività di spionaggio segreto messe in atto senza garanzie dall’amministrazione Bush nei confronti dei cittadini.

Al fine di poter garantire a sé stesso e ai suoi lettori il diritto di conoscere approfonditamente le cose di cui parlavano, decise perfino di sottoporsi volontariamente alla forma di tortura nota come waterboarding, largamente impiegata dai militari americani per ammorbidire terroristi, reali o meno. A dispetto delle 15.000 sigarette fumate ogni anno e dei consigli degli esperti della Difesa, che gli avevano spiegato a chiare lettere che il waterboarding era roba da Berretti Verdi, mica un passatempo per “scribacchini panciuti e rantolanti” di sessantanove anni come lui, a maggio del 2008 Hitch si sottopose alla terribile pratica, riferendone in modo diffuso su Vanity Fair.

Le sue conclusioni furono chiarissime: nessun dubbio che si trattasse di una effettiva tortura. Inoltre, annotava Christopher, se gli americani la consentono e l’approvano, non c’è ragione per cui degli stranieri non possano fare altrettanto su cittadini americani. Inoltre, le informazioni estorte in quel modo potrebbero benissimo essere false; per dire ci sono stati uomini che, grazie ad una sessione di waterboarding, hanno “confessato” di essere ermafroditi… Ed infine, il waterboarding è un modo di aprire una porta che poi non può più essere richiusa; se non funziona, perché non passare alle tenaglie e agli elettrodi per convincere un sospettato?

Al di là degli eccessi e degli errori politici, che peraltro Christopher Hitchens non rinnegò mai, rimanendo peraltro marxista a dispetto delle sue scelte “eretiche”, la vera eredità di Hitchens è stato il suo profondo odio per le religioni organizzate. Tra i suoi scritti più interessanti sono infatti “La posizione della missionaria” e “Dio non è grande”. Nel primo si scagliava con la violenza tipica del suo stile contro la mistica della sofferenza propugnata da Madre Teresa di Calcutta, sottolineando la sua ipocrisia (si faceva curare in cliniche per ricchi mentre “aiutava” i suoi malati a stare “più vicini al suo Dio” non risparmiando loro alcuna sofferenza) e i suoi legami con le più disgustose dittature.

Nel secondo scritto, con l’eloquente sottotitolo “Come la religione avvelena ogni cosa”, il polemista inglese documenta il suo fervente ateismo, facendo leva su argomenti presi dalla sua esperienza personale e dallo studio dei testi sacri delle principali religioni monoteiste (anche se ha qualcosa da dire anche del buddismo e dell’induismo). La coerenza dell’uomo è stata esemplare, al punto che nemmeno la morte imminente (nel 2008 gli era stata diagnosticata la malattia che lo ha ucciso) lo ha mai convinto ad una conversione sul letto di morte (“se leggete che è accaduto qualcosa di simile”, scrisse beffardamente, “sappiate che è stato causato da demenza, medicine o malattia”).

Quando un gruppo di credenti organizzò una giornata per la preghiera collettiva per la sua salute, con il suo solito wit britannico declinò educatamente la profferta, chiedendo ai benintenzionati devoti, che aveva sempre combattuto a colpi di penna, di astenersi da quella pratica, “sempre che non li aiutasse a stare meglio loro”.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy