di Vincenzo Maddaloni
STETTINO. Sono degli anni Cinquanta o giù di lì i tram che percorrono Aleja Wojska Polskiego (Corso dell’Esercito polacco) a Szczecin, così si chiama in polacco la città - in tedesco suona Stettin e in italiano Stettino - che è il capoluogo della Pomerania occidentale. Certamente il tram è un mezzo di trasporto tra i più longevi, ma quelli delle città dell’Est sono legati in modo indissolubile al ricordo del governo comunista, che rivive ogniqualvolta lo sguardo del visitatore si posa sui percorsi ferrati.
A Stettino per chi vi giunge la prima volta e fresco dei resoconti giornalistici sulle elezioni di ottobre, il cigolio dei vecchi tram diventa per molti versi una sorpresa, poiché mal si concilia con l’immagine della Polonia designata a diventare uno dei “grandi” dell’Unione europea, perché le è riconosciuto un governo saldo e soprattutto una crescita economica che non ha confronti nella Comunità. Essa, infatti, è tornata al 4 per cento, un risultato invidiabile perché, sebbene in flessione rispetto ai ritmi antecedenti al 2008, resta di molto superiore alla media europea (1,7 per cento). Essa è destinata a migliorarsi e quindi a consolidarsi, poiché con la ripresa delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni sono attesi nuovi flussi di capitali che si aggiungeranno ai fondi europei e alle positive ricadute connesse agli Europei di calcio del 2012 che la Polonia ospiterà insieme all’Ucraina.
Si tenga a mente poi che Donald Tusk è il primo capo dell’esecutivo polacco a essere stato riconfermato, dai tempi della caduta del regime comunista nel 1989. Senza dimenticare però il 10,1 per cento dei consensi ricevuti da Janusz Palikot, industriale di spicco e leader del Movimento Palikot che porta avanti istanze come la decisiva separazione tra Stato e Chiesa; la legalizzazione dell’aborto; il riconoscimento delle unioni di persone dello stesso sesso e la legalizzazione della marijuana. Ne fa parte anche Anna Grodzka, la prima deputata transgender della storia polacca. Sicché sono molti a individuare nei risultati di questo voto i tratti di una generazione post-comunista, emancipata dalla tradizione e dal peso del passato, desiderosa di guardare avanti in maniera autonoma e decisamente laica.
Facile da dire, meno facile da concretizzare. Ne è una conferma questa città che per popolazione - più di 400 mila abitanti - è la settima del Paese e il suo porto è il più grande tra quelli polacchi che si affacciano sul mare Baltico. Eppure a Stettino più che altrove, il ricordo del passato governo comunista fa parte del paesaggio come le strade disselciate o rattoppate in modo incredibile. E poi le case fatiscenti; le facciate di molte delle quali sono ancora annerite dagli incendi come se la guerra si fosse conclusa l’altro ieri. I chioschi, come i tram, sono quelli di cinquant’anni fa e davanti alla cattedrale di san Giacomo Maggiore apostolo, in via Papiewza Pawla VI, incombe la grande croce in legno che è lì da trent’anni cioè dai tempi di Solidarnosc.
Essa è la riprova che la secolarizzazione auspicata dal Movimento Palikot, che reclama una netta distinzione fra religione e Stato, è destinata a rimanere un desiderio in un Paese che nella sua stragrande maggioranza si riconosce ancora nelle parole dell’arcivescovo e primate polacco Stefan Wyszyski http://it.wikipedia.org/wiki/Stefan_Wyszy%C5%84ski che ai tempi del comunismo si oppose ad ogni mediazione affermando che i garanti della Chiesa non sono gli accordi cartacei, bensì i fedeli con la loro fede e l’attività religiosa. I quali sono ancora falangi anche in questa città a 150 chilometri da Berlino, che fino al 1945 era tedesca e che i vincitori consegnarono ai polacchi assieme a una parte della Pomerania, spostando il confine sull’Oder-Neisse.
E quindi, «un paese che si estende e si restringe su una pianura senza confini, e si sposta un po’ qua e un po’ là» costringendo «milioni di tedeschi e di polacchi a una forzata emigrazione», finisce col creare « un rapporto non privo di malintesi e di contraddizioni », spiega Roberto Giardina in quell’acuta e corposa raccolta di saggi che s’intitola “L’altra Europa” http://www.ibs.it/code/9788845232848/giardina-roberto/altra-europa-itinerari-insoliti.html.
Eppure è in questo scenario di confine dove culture diverse si confrontano che scoppia tra il dicembre del 1970 e il gennaio del 1971 una rivolta destinata a rimanere nella Storia del movimento operaio di tutto il mondo. Va subito detto che in Polonia le rivolte operaie sono sempre culminate in sanguinosi combattimenti con le forze armate. La peculiarità é dovuta anche al ruolo dei sindacati che, essendo un ingranaggio del meccanismo statale socialista, non erano in grado di contenere l'impeto delle contestazioni operaie.
Infatti l'analisi degli avvenimenti di Stettino e delle altre città del Baltico ha rivelato come tutti i tentativi di pacificazione fatti dai sindacati si fossero dimostrati del tutto inefficaci. Sicché al governo non rimase che mobilitare contro le masse insorte tutte le forze di repressione: polizia, milizia, esercito che massacrarono decine e decine di lavoratori.
Comunque la rivolta di Stettino non va letta soltanto come una ribellione al socialismo di marca staliniana che esaltava fino allo spasimo la proprietà statale, bensì essa rappresenta l’epilogo temuto in ogni conflitto tra la tecnologia delle macchine e la forza-lavoro, che avvenga sia con il capitalismo di Stato che con quello privato poiché, è risaputo anche se non è per forze di cose pubblicizzato, che ogni aumento della produttività si ottiene spremendo di più l'operaio.
Quando Wladislaw Gomulka, dal 1956 segretario del partito comunista e capo indiscusso della Polonia si accorse che poteva battere “la via del progresso economico” soltanto applicando i metodi capitalistici all’epoca (1969) più avanzati, li mise subito in pratica. Gli si rivelerà fatale: http://it.wikipedia.org/wiki/Wladislaw_Gomulka. Infatti, per contenere gli sprechi, egli fu costretto a ricorrere agli stessi criteri di conduzione in uso nei paesi a regime capitalista, a valutare le imprese di Stato in base al dinamismo economico (cioè all'entità del profitto); in una parola a razionalizzare la produzione. Il che vuol dire: differenziazione dei salari, licenziamenti, disoccupazione. Wladislaw Gomulka non poteva agire diversamente perché non c’era e non c’è alternativa, inutile si rivelerebbe nel breve termine anche una soluzione governativa. Sicché da sempre l’operaio sembra condannato a caricarsi di tutto il peso della società. Se così è, allora perché stupirsi se ieri come oggi egli potrebbe con la sua sola forza far implodere ogni sistema?
La rivolta di Stettino rimane la più esplicativa, perché è il luogo nel quale l’esplosione del malcontento si è rivelata in tutta la sua complessità. Il 13 dicembre 1970, poiché la situazione economica della Polonia continuava a peggiorare, il Potere decide un aumento dei prezzi dei generi alimentari. È questo il detonatore che fa scoppiare tutta una serie di scioperi, sommosse e rivolte che sconvolgono il Paese per circa due mesi. La contestazione inizia a Danzica (Gdansk in polacco) il 15 dicembre con le sommosse, i combattimenti nelle strade, i morti. Subito gli scioperi e gli scontri si estendono a tutta la costa baltica e a gran parte della Polonia.
A Stettino l'agitazione comincia il 17 dicembre: il cantiere navale di Adolf Warski entra in sciopero, viene eletto un comitato operaio. Tuttavia, le rivendicazioni (in parte economiche, in parte politiche) sono respinte dalle autorità, le quali si rifiutano di negoziare. Soltanto allora gli operai scendono in strada, iniziando una manifestazione che si trasforma subito in sommossa durante la quale molti di loro sono uccisi dalla polizia. A un certo punto però - per evitare un genocidio - il governo ordina alla polizia di ritirarsi nelle caserme e così gli operai riescono a prevalere ottenendo il controllo della città.
A Stettino, che contava allora 300 mila oltre ai cantieri navali, vi erano numerose aziende industriali. Tuttavia è il comitato di sciopero eletto dagli operai dei cantieri navali che viene designato ad amministrare l’emergenza. Esso s’impegna fin dal giorno dopo della rivolta a un ritorno della normalità. Per raggiungerla, si chiede ai lavoratori del gas e dell’elettricità di sospendere lo sciopero.
Anche i tram riprendono a funzionare con sulle fiancate uno striscione che spiega, «aderiamo all’appello del comitato di sciopero dei cantieri». Riappare il Kurier, il giornale della città, con la cronaca quotidiana degli avvenimenti. Vi si legge che il Comitato riesce ad assicurare l'approvvigionamento, facendosi arrivare - ad esempio - il pane da Zielona Gora, una città che dista 200 chilometri. Inoltre, che si opera in sinergia con gli altri centri della rivolta, soprattutto con Danzica, il più importante dopo Stettino. Insomma, ritorna la speranza.
Durerà un mese e non di più il governo della città da parte dei lavoratori, del tutto impreparati al compito poiché non avevano previsto che sarebbero giunti a tanto. Più che di governo è meglio parlare di autogestione, la quale si muove in sintonia con l'autogestione della lotta, il che significa assemblee di base, elezione dei rappresentanti, i quali elaborano atti e proposte per regolare la vita nella città che di volta in volta sono sottoposte al voto delle assemblee di base. Il meccanismo è complesso, fin troppo. Nel frattempo proprio per aver causato moltissime morti nella repressione sul Baltico Wladislaw Gomulka viene costretto a dimettersi. Gli succede un uomo di molto più giovane, Edward Gierek, che nel dicembre del 1970 appunto assume la guida del partito con l’impegno di riportare la pace nel Paese http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_Gierek.
Non si conosce la data nella quale l’esperienza del movimento operaio di Stettino si conclude, sicuramente col passare del tempo le autorità "legali" riprendono a poco a poco il controllo del potere, e dunque del comitato di sciopero se ne perde la memoria. Così almeno si raccontò e si continuò nel tempo a ripetere la medesima versione, con il fine non ultimo che su quei fatti scendesse un silenzio tombale.
Perché con le giornate di Stettino del dicembre del 1970 e del gennaio 1971 si dimostra - per la prima volta al mondo - che la classe operaia sa gestirsi da sola, e che quindi può fare a meno del Partito comunista (oppure di quelli non comunisti) e di tutti i suoi burocrati.
E’ questo l'aspetto sovversivo vero di quegli avvenimenti. La nuova, terribile risposta contro il malgoverno di qualsiasi connotazione possa essere. Se ne rese conto per primo il Partito comunista, che subito s’impegnò a far sparire ogni ricordo di quel mese di potere operaio. Ma se ne resero ben conto pure in Occidente che potevano essere soggetti alla medesima minaccia. Infatti, non soltanto i giornali dell’Est pubblicarono poco o nulla sugli avvenimenti del Baltico, ma neppure quelli dell’Ovest ne scrissero più di tanto, né spiegarono i motivi veri di quella rivolta.
Beninteso, in quegli anni non c’era Internet, ma le notizie assieme alle fotografie riuscivano comunque a filtrare. Il fatto è che su quegli eventi fiorisce una sorta di omertà, una sorta d’intesa non ufficializzata tra Est e Ovest, che si salda intorno al timore che il “contagio dell’autogoverno operaio” possa estendersi all’intero mondo del lavoro. Infatti - rammento - che gli scioperi del dicembre 1970 non venivano ricordati se non per cenni dieci anni dopo, quando la rivolta di Solidarnosc si sparse in tutta la Polonia con la benedizione della Chiesa, l’incoraggiamento dell’Europa dell’Ovest e il sostegno dell’America di Ronald Regan che era stato eletto proprio in quell’anno. Infine la rivolta di Stettino non sarà evocata per confortare le folle nemmeno quando, il 13 dicembre, il generale Jaruzelski instaura nel Paese la legge marziale.
Trent’anni esatti dopo la proclamazione dello stato d’assedio, la Polonia continua a far cronaca, ma in un contesto - per sua fortuna - diverso. Infatti, con l’arrivo di Tusk al governo nel 2007 il Paese contribuisce al rilancio della Ostpolitik europea. Sotto la sua presidenza, nel settembre scorso, si è svolto a Varsavia il summit del Partenariato orientale per mettere a punto una strategia consona ai paesi ancora instabili come Ucraina o Belarus.
Infine, il duplice riavvicinamento - a Washington e Mosca - orchestrato con meticolosa cura da Tusk riverserà cospicui benefici sul Paese e con esso sull’Europa. Stando così le cose si capisce perché tutto il resto diventi per le cronache marginale e quindi non meritevole di approfondimento. Il degrado di Stettino? Non è colpa del governo, ma della distanza - seicento chilometri e passa - della città dalla capitale, Varsavia.
Detto così, è come se gli aiuti dello Stato dovessero arrivare col treno. Nessuno, o quasi nessuno che indichi come una delle cause possibili di tanto degrado il fatto che, nonostante siano passati sessantacinque anni, la città è ancora “troppo” tedesca e così viene volutamente trascurata.
Tuttavia, affermare questo vorrebbe dire esprimere un giudizio politico, alimentare una discussione, sollecitare un approfondimento, e di questi tempi pare non ce ne sia la voglia. Figurarsi strappare un’opinione su quell’inverno di quarant’anni fa, o meglio stimolare un confronto tra quella crisi e questa attuale che coinvolge le nazioni del mondo che più conta. La risposta è il nulla, o quasi. Come se la rivolta di Stettino non fosse mai accaduta, o nemmeno cominciata.