di Sara Michelucci

Un pezzo di Africa arriva in teatro con lo spettacolo Storie di Kirikù della compagnia Teatro dei colori, per la regia di Gabriele Ciaccia. Luci, suoni, immagini che scorrono sul telo della capanna, fanno di questa rappresentazione il racconto di una cultura che porta con sé valori importanti e che ben si applicano anche alla società occidentale.

Kirikù è un bimbo speciale. La sua voce si sentiva già dal ventre della mamma e appena nasce si dà il nome. È un eroe-bambino che scopre ben presto che il suo villaggio è sotto scacco di una strega che ha fatto seccare la fonte dell’acqua, scomparire gli uomini tra cui c’è anche il suo papà e rubato tutto l’oro agli abitanti.

Kirikù è piccolo, nessuno vuole giocare con lui, ma poi tutti lo cercheranno e festeggeranno le sue gesta con canzoni e danze perché è coraggioso, supererà prove, libererà il villaggio dalle maledizioni. Kirikù è un personaggio che deriva dal mito della danza e che per questo va veloce, un po’ come il vento.

Gli elementi scenici ben si amalgamano con personaggi che rappresentano il bene e il male, il piccolo e il grande, la gioia e il dolore, il giorno e le tenebre. Opposti che si scontrano e fanno nascere il racconto. Il feticcio rappresenta l’oggetto che raccoglie gli elementi della vita naturale, del racconto, oggetto che diventa la porta dei rituali di iniziazione. È davanti al feticcio che si affrontano e si vivono le paure.

Karabà, la strega, non è solo un personaggio malvagio, ma una persona che ha subìto un grave torto, vittima lei stessa di una maledizione, con una spina conficcata nella schiena che, oltre al dolore, le provoca rabbia e cattiveria. Insomma alla strega viene data un’umanità tale da renderla vicina agli altri uomini.

La cosa bella di questo spettacolo, rivolto soprattutto al pubblico dei più piccoli (bambini dai 5 anni in su, ma che è piacevole anche per gli adulti) sta nella capacità di veicolare con semplicità tematiche importanti: è la paura che rende prigionieri, dice il saggio del villaggio, nonno di Kirikù, ma solo l’innocenza e l’intelligenza possono spezzare questo incantesimo. Un tema decisamente attuale, quello della creazione della paura, che richiama fatti e avvenimenti che ogni giorno accompagnano la vita politica, istituzionale e sociale della società contemporanea. La paura schiaccia le coscienze, impedisce al pensiero critico e razionale di avere la meglio su superstizioni e preconcetti.

Kirikù insegna, attraverso le sue gesta e la sua voce, che la paura è qualcosa che impedisce la conoscenza e la risoluzione dei problemi e nonostante la sua piccola età riesce ad avere un contatto diretto con la strega e a salvare il suo villaggio grazie al coraggio.

La storia nasce dall’Africa occidentale e vive delle forme del racconto che, nella tradizione africana, diventa un “lungo tempo del racconto”, in forma additiva si innestano altre storie ed altre origini. Nella tradizione africana, il racconto diventa anche animato, gli spettatori sono intorno ad una “capanna”, da dove nascono tutte le storie. Ed in questo cerchio si danza, si ascolta, si risponde, si partecipa. Bravissimi Valentina Ciaccia, Monica Di Bernardo e bravo Gabriele Ciaccia sul palcoscenico e alla regia.

L’idea del Teatro del Colore è quello di riproporre proprio questo schema del racconto e quindi sul palcoscenico troviamo un musicista, una voce narrante, gli animatori-interpreti che sono quasi dei burattinai, che al posto dei fili utilizzano il proprio corpo per far muovere i personaggi. E non mancano anche riferimenti digitali, come le video proiezioni che ripropongono immagini documentali dell’Africa, della sua popolazione e dei villaggi.

Una contaminazione interessante che offre una lettura ulteriore a quella classica del teatro. Lo spettacolo dona così spunti di riflessione come la nascita e la crescita, le paure e i desideri, la capacità di affrontare le difficoltà e di superarle, il singolo e il gruppo, la differenza tra fantasia e realtà, la conoscenza di altre forme culturali. Il teatro diventa educazione al diverso, al nuovo. Utile strumento non solo artistico, ma di vera e propria formazione per grandi e piccini.

 

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