di Mario Braconi 

Secondo il giornalista americano Neal Gabler, nel mondo delle comunicazioni di massa Rupert Murdoch ha rappresentato per decenni l’equivalente di Mubarak: come un buon dittatore mediorientale, infatti, il magnate australiano ha sempre mascherato la sua ossessione per il potere da comunanza di sentire con “il popolo”, l’uomo della strada. Sotto il pretesto di un’ipocrita ricerca della “verità”, inoltre, in alcune delle sue testate ha creato le condizioni per sbranare pubblicamente non solo i cosiddetti VIP, ma anche i figli del popolo di cui si è autoproclamato paladino.

Non c’è niente che abbia fermato gli adepti di questa forma di giornalismo degenerato e criminale nella loro gara a chi si rotolava di più nel fango; nemmeno le tragedie personali, anzi.

Non si è trattato, infatti, solo di mettere a nudo i vizi privati di persone con grande esposizione mediatica, sia pure utilizzando metodi vietati dalla legge, dalla deontologia e dal buon senso; si doveva arrivare a ficcare il naso nelle vite bruciate di vittime della violenza urbana o della guerra.

E se alcuni sedicenti giornalisti al soldo di Murdoch si sono spinti ad intaccare l’aura sacra di qualche potente, lo hanno fatto per gettare in pasto una storia di dolore e malattia privata, che tale avrebbe dovuto rimanere (la vittima in questo caso fu la famiglia di Gordon Brown, il cui figlio era malato di fibrosi cistica).

Anche di fronte al dilagare dello scandalo, l’atteggiamento di Murdoch è stato quello di uno dei dittatori recentemente destituiti dai “venti di libertà” mediorientali: dapprima, ovviamente, negazione e denuncia, sui media di famiglia, di un “complotto politico” (in Italia ci siamo abituati, nei Paesi anglosassoni un po’ meno). Poi, le prime, tiepide ammissioni, corredate da scuse tardive e pelose.

Infine, la ribellione “di tutte quelle persone soggiogate dal tiranno che cominciano ad annusare la libertà e a capire che è il momento di prendere la palla al balzo”, con le dimissioni di quattro top manager di News of The World (NoTW) e relativa distribuzione di cerini accesi nelle mani dei sottoposti, che invariabilmente si macchiavano di ogni sorta di nefandezza (hackeraggio, ricatto, corruzione) all’insaputa dei loro capi. Davanti alla Commissione parlamentare britannica che li ha grigliati per ore, i Murdoch si sono detti “sconvolti, disgustati e pieni di vergogna”: tutto, insomma, fuorché colpevoli. Del resto, nota Gabler, “per loro il pesce non puzza mai dalla testa, ma dalla coda”.

E’ chiaro che dietro il tema delle intercettazioni vi sia qualcosa di assai più prosaico di un complesso di questioni che attengono alla democrazia, al rispetto della legge e dei principi deontologici: ovvero il tema del controllo finanziario di BSkyB, cui i Murdoch, attualmente soci di minoranza, aspirano da tempo. Murdoch contava molto sull’aiuto dell’attuale alleato premier Cameron per ottenere il via libera all’operazione.

Un trappolone aveva anche messo fuori lo scomodo ministro liberaldemocratico Vince Cable: a due giovani (ed avvenenti?) donne, rivelatesi in realtà reporter del foglio (conservatore) Daily Telegraph in incognito, il vanitoso Cable affidò i suoi pensieri sull’operazione BSkyB, dichiarando di esserle ferocemente avverso (segno che le pratiche giornaliste non proprio encomiabili non erano appannaggio solo di NoTW).

Tanto è bastato perché Cameron trasferisse la responsabilità della decisione al responsabile della Cultura, Media e Sport, Jeremy Hunt, conservatore. Insomma, i Murdoch ce la stavano per fare. Ma l’esplosione dello scandalo NoTW li ha obbligati a mollare l’osso. In realtà, l’amicizia con Murdoch si sta rivelando un pessimo affare per Cameron, costretto a suo tempo ad assumere come responsabile della comunicazione Andy Coulson, ex direttore di NoTW, che diede le dimissioni 2007, guarda caso in seguito alla prima tornata di rivelazioni sulle intercettazioni illegali.

Una prossimità pericolosa per la stessa sopravvivenza politica di Cameron, oggi costretto ad ammettere con i media che, col senno di poi, l’ingaggio dell’enfant prodige di Fleet Street si è rivelato un errore.

Nonostante gli interessi finanziari e politici in gioco, è pur sempre possibile che dal rogo di Murdoch e Cameron almeno i batteri più pericolosi per la democrazia vengano distrutti. E che si possa continuare a riconoscere serenamente il ruolo sociale che la stampa popolare britannica ed americana hanno avuto storicamente nei rispettivi Paesi. Perché, sull’onda emotiva causata dal disvelamento dell’amoralità di alcuni giornalisti di NoTW, è forte la tentazione di screditare l’intera categoria (per così dire) gettando via il bambino assieme all’acqua sporca.

La pensa così anche Ryan Linkof, professore di Storia all’Università della California del Sud: i giornali popolari e scandalistici dei paesi anglosassoni, infatti, non dovrebbero essere considerati come “una fonte esterna di contagio, che sta contaminando lentamente la stampa ‘seria’, quanto piuttosto una estensione, spesso perfino una caricatura, della logica sostanziale del “news reporting”.

I tabloid rispondono al profondo bisogno popolare di vedere al di là dell’apparenza pubblica, cosa che talora può avere uno scopo di rilevanza sociale (ad esempio, furono i tabloid a scoprire la relazione extra coniugale del candidato presidenziale americano John Edwards); ed è nella loro natura farlo in modo esagerato, sfidando spesso regole morali o deontologiche.

Il tutto finché si rimane nei limiti della legge e del rispetto per le persone meritevoli di tutela. Secondo Linkof, l’ampia copertura che la stampa scandalistica dà alle gesta del principe Edoardo e della sua consorte può essere considerato un modo per abbattere le barriere sociali.

Insomma, “nei limiti delle leggi correnti, il giornalismo dei tabloid ha un ruolo importante nella cultura moderna, quello di alleviare alcune tensioni sociali”. E non è il caso di condannare un intero genere giornalistico per gli errori di un manipolo di giornalisti e politici corrotti.

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