di Vincenzo Maddaloni

Basta la morte violenta a Gaza di un giovane del nostro tempo come Vittorio Arrigoni perché ritornino in mente gli obiettivi della politica del “Grande Medio Oriente” lanciata dall’amministrazione Bush, e poi ribattezzata “Nuovo Medio Oriente” (New Middle East) dal presidente del CFR (Council on Foreign Relations) Richard Haass nella rivista Foreign Affairs. A noi italiani quegli obiettivi ridiventano d’attualità dopo questa uccisione orrenda, anche se nella realtà planetaria non sono mai venuti meno, se non all’attenzione dei Media. Essi si riassumono in un impegno che così suona: «Dobbiamo costruire un vero e proprio partenariato che leghi Europa e America ai paesi del Vicino e Medio Oriente per lavorare insieme con i paesi e i popoli di tali regioni in un’ottica che permetta di raggiungere obiettivi comuni».

Era stato sottoscritto dal Cancelliere Schroeder e dal Presidente Bush il 27 febbraio 2004, a Washington, in occasione della firma della “Alleanza tedesco-americana per il XXI secolo”. Naturalmente, il presidente Obama s’è impegnato a mantenerlo in vita, poiché tra le priorità assolute c’è quella di integrare Israele nell’architettura politica, economica e militare euro-atlantica. L’intento, infatti, è di far riconoscere allo Stato ebraico il titolo di pilastro del giudaismo in modo di poterlo associare agli altri due pilastri (il giudaismo europeo e americano) e ottenere così un unico punto di riferimento per il mondo intero. La seconda fase, peraltro già in atto, prevede il coinvolgimento nelle conquiste della globalizzazione delle popolazioni del Vicino e Medio Oriente senza l’accondiscendenza delle quali la nuova costruzione geopolitica non potrebbe essere realizzata.

Più si riflette su queste evidenze e più cresce il sospetto che quella sigla “salafita” appiccicata sull’assassinio di Vittorio Arrigoni sia stata usata perché si riversasse sul mondo islamico l’esecrazione che è in perfetta sintonia con quanto prevedono la politiche imperniate sulla destrutturazione dello stato e della civiltà dei paesi musulmani. Accade, perché il Mercato, incalzato dalla crisi finanziaria, ha la certezza di crescere - è opinione diffusa tra gli economisti - soltanto se riesce a stivare il mondo musulmano all’interno della nuova costruzione geopolitica.

Spiega lo storico francese Pierre Hillard (http://www.mecanopolis.org/?p=22597), un esperto come pochi altri, che gli sconvolgimenti in corso nei paesi musulmani, «sono stati incoraggiati perché si vuole sviluppare un nuovo ordine mondiale che é più che un’ideologia. E’ una fede, una mistica. Si tratta di favorire ovunque l’emergere dei blocchi continentali europeo, africano, nordamericano o sudamericano politicamente unificati e poggianti su leggi comuni.

L’insieme di tali blocchi deve costituire l’architettura generale di un governo mondiale che riunisca un’umanità indifferente e nomade. Questa politica prende già forma con la creazione di un’assemblea parlamentare mondiale in seno alle Nazioni Unite sotto la direzione del tedesco Andreas Kummel. Una valuta mondiale deve strutturare l’insieme. Il FMI ha già perorato la causa in favore di una moneta globale (il Bancor) governata da una banca centrale mondiale (Accumulo di Riserve e Stabilità Monetaria Internazionale). Questo implica l’abbandono del dollaro e una riforma completa del sistema finanziario mondiale».

Beninteso, è pure questa una delle tante deformazioni del capitalismo che è nato in Europa, vi si è sviluppato nei secoli e si è esteso al resto del mondo. Anzi, questa estensione è stata proprio una delle forme di sottomissione (leggi colonialismo) di gran parte del mondo all’Occidente che ha prodotto l’America imperiale. Ragion per cui, agli occhi di milioni di musulmani si dipana una realtà a loro in larga parte incomprensibile, poiché nelle loro nazioni le fortune eccessive sono il più delle volte confiscate, quando non vengono utilizzate nelle celebrazioni religiose.

Queste società non lottano contro un capitalismo, un “modello americano” che ignorano, ma per la loro conservazione, per tutelare un equilibrio tra le diverse forze sociali. Anche perché l’Islam non si basa sulla distinzione tra il potere temporale e quello spirituale come accade nella civiltà cristiana che appunto non fonde le due parti. L’Islam è allo stesso tempo una fede e una legge, anche se a volte, il credente l’accetta a denti stretti.

Un esempio tra i tanti è l’Iran dove il “Rinascimento persiano”, quello dei poeti che cantavano l’amore e il vino, dei palazzi fastosi, dei veli e dei cuscini, quello delle miniature con i volti languidi dei cavalieri che tanto eccitavano Byron e poi Chatwin, è agli antipodi del puritanesimo imposto dagli ayatollah. Che comunque viene tollerato, se non accettato, perché manca un'alternativa laica e popolare.

Dopotutto l'Islam è una forma di coscienza umana e sociale, è una civiltà, è una religione come tutte le altre che é stata riconosciuta ufficialmente anche dalla Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II (1962-1965) come una religione autentica che adora il vero Dio e persegue, con la sua morale e la sua legge, il bene.

Tuttavia, il fatto che l’Islam non contempli la distinzione tra il potere temporale e quello spirituale, mal si concilia con lo sviluppo di un nuovo ordine mondiale, che sarebbe amministrato con una valuta mondiale a sua volta controllata da una banca centrale mondiale. Il tutto è ritenuto necessario per poter raggiungere l’unità del consenso sul modo nuovo di pianificare un’esistenza che dovrà essere intrisa di desiderio consumista e di edonismo sfrenato senza i quali, sostengono i promotori, il nuovo ordine non si consoliderebbe. Dunque non soltanto Coca cola e MacDonalds , bensì una “filosofia” vera e propria come formula dell’esistenza dovrebbe etichettare il ventunesimo secolo.

Eppure, soltanto qualche anno fa Kofi Annan, l’ex segretario delle Nazioni unite avvertiva: «In quest’epoca di globalizzazione i valori universali sono divenuti più che mai necessari. Ogni società deve essere unita da valori condivisi affinché i suoi membri siano consapevoli di ciò che possono aspettarsi gli uni dagli altri e sappiano che esistono dei principi fondamentali, capaci di armonizzare in modo incruento le differenze sociali».

Ma certamente non si riferiva al nuovo ordine mondiale disegnato dalle esigenze del mercato e dell’economia. Dopotutto non occorrono studi profondi per capire che l’Islam così com’è strutturato non può rientrare nella configurazione auspicata ed è ben difficile che vi rientri in un prossimo futuro, in mancanza anche di una società civile come noi l’intendiamo che non è mai potuta nascere perché il Corano non la prevede.

Tuttavia gli sponsor del nuovo ordine mondiale non si scoraggiano e siccome la prima tappa che si sono prefissati è disegnare il “Nuovo Medio Oriente”, sono ripartiti alla grande. Lo si è visto in Tunisia e in Egitto e, a sentir loro, con risultati ottimi per il progetto che hanno in mente. Perché, come spiega “Freedom House”  (http://www.altrenotizie.org/esteri/3813-egitto-il-dissenso-nel-bollitore.html) «i borsisti di Freedom House hanno acquisito competenze nella mobilitazione civica, leadership e pianificazione strategica e beneficiano delle opportunità del networking, attraverso l’interazione con diversi sostenitori privati, le organizzazioni internazionali e i media con uffici a Washington. Dopo il ritorno in Egitto, essi hanno ricevuto altre sovvenzioni con l’impegno di destinarle a nuove iniziative di propaganda politica impiegando Facebook e gli Sms».

Sono affermazioni che, diffuse in modo sapiente, hanno in tutto il mondo risvegliato più di qualche speranza sui progressi di natura socio-economica che si vogliono ottenere, e su quali sono le realtà che vanno smosse per ottenerli. Tuttavia ha ragione Giovanni Sartori sul Corriere quando scrive che «chi proclama, in Occidente, che le “rivoluzioni arabe hanno seppellito l'islamismo” parla a vanvera con poca conoscenza di causa».

Si tenga a mente che l’islamismo si è diffuso in modo esponenziale dopo la crisi del socialismo reale e i conseguenti mutamenti degli assetti geopolitici. In un mondo diviso in due blocchi i Paesi musulmani avevano spazi sui quali potevano muoversi e agire purché avessero rispettato gli assetti globali. Non gli è stato più possibile dopo l’implosione dell’Urss. Anzi, la situazione è per loro per molti versi peggiorata perché dopo il crollo dell’ “Impero del male” i nuovi detentori del potere mondiale hanno inventato l’ “Asse del male” per giustificare e consolidare la propria  egemonia.

Infatti, i fondamenti teorici del progetto americano che hanno portato alla guerra all’Iraq sono il risultato del lavoro intellettuale e politico di un piccolo nucleo di neoconservatori. E’ una configurazione che mette insieme il fondamentalismo cristiano di destra, il sionismo americano militante e un militarismo senza limiti, per certi versi seducente nella sua perversione. Avvolta nel mito della bandiera, della famiglia e della Chiesa, la politica interna americana si è proiettata verso l'esterno assumendo la forma di una politica aggressiva, unilaterale e arrogante.

È questo il “ blocco ” che ha guidato l'intervento in Iraq e altrove, giustificando la violenza e smentendo i propri discorsi altruistici. Il presidente Obama non ne ha preso le distanze, la sua politica - lo si è visto anche di recente - non è cambiata perché è difficile da modificare avendo essa una radice indissolubilmente nazionalista e costantemente rivolta all'esterno  che suggella la desecolarizzazione crescente dell'elemento politico e dello Stato in America.

Va pure aggiunto che il Socialismo reale è crollato perché ne era entrato in crisi il programma, e il Capitalismo ha vinto benché non avesse alcun programma da proporre in alternativa. Beninteso, la sua rimane una vittoria epocale, ma senza avere alcuna idea costituente da realizzare, senza nessun progetto per il dopo-muro. Il Capitalismo impera perché sul versante opposto l’ideale socialista, benché vivo, è incapace di raggrumare le forze necessarie per riproporsi come alternativa.

Tuttavia per entrambi gli schieramenti diventa problematico, sebbene sia a loro indispensabile, l’avvicinamento alle realtà musulmane perché entrambi vi inciampano a causa della fusione tra spirituale e temporale propria dell’Islam. Infatti, parlare d’integrazione del mondo musulmano verso i principi del nuovo ordine mondiale significa che ciò può essere realizzato solo modificando radicalmente i loro riferimenti religiosi e, per estensione, politici, economici, sociali e psicologici. Perché possa realizzarsi si devono promuovere le lotte tra i sunniti e gli sciiti, tra i musulmani e i cristiani, fino a portarli a un confronto brutale con il sionismo.

Quello che è accaduto negli ultimi tempi e accade ogni giorno conferma che l’ondata di ribellione ben supportata non si arresta. Anzi s’ingrossa come i potenti auspicano perché le masse sono sempre utili come strumento di supporto a una politica ben definita. Infatti, “Agitare il popolo prima di servirsene”, raccomandava il principe, vescovo, politico Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, detto anche semplicemente Talleyrand. Lui sì che se ne intendeva.

 

 

 

 

 

 

 

 

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