Israele, criminali senza giustizia

di Mario Lombardo

La decisione di giovedì della Corte Penale Internazionale (CPI) di emettere un mandato di arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant rappresenta in larga misura un atto simbolico che mette però ancora una volta in luce, in maniera clamorosa, responsabilità e complicità dei sostenitori dello stato ebraico nel genocidio in corso. Il premier e l’ex ministro della Difesa israeliani,...
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Libano, dubbi sulla tregua

di Michele Paris

L’inviato speciale di Washington per il Libano, Amos Hochstein, è arrivato mercoledì in Israele per tirare le somme con il primo ministro Netanyahu delle trattative in corso su una possibile tregua sul fronte settentrionale. Gli Stati Uniti e i principali esponenti dello stato libanese hanno espresso un aperto ottimismo nei giorni scorsi, anche se la proposta sul tavolo per far cessare i combattimenti nel paese dei cedri continua a incontrare i dubbi di Hezbollah, essendo fortemente sbilanciata a favore dello stato ebraico. A livello ufficiale, le condizioni per un cessate il fuoco richiamano la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1701, che mise fine alla cosiddetta Seconda Guerra del Libano del 2006. Secondo quest’ultima,...
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di Vincenzo Maddaloni

Non c’è dubbio che piazza Tahrir, al centro della sommossa del Cairo, sia diventata l’osservatorio privilegiato dei comandanti dei reparti antisommossa delle polizie di tutto il mondo. Esso serve a maturare nuove idee per affinare le tecniche di repressione del dissenso che oggi è pilotato con Twitter, Facebook e con i Bloggers. Naturalmente anche nell’Egitto millenario da un gruppo di giovani borsisti sostenuti e finanziati da Washington. Infatti, come confermava qualche giorno fa Voice of America, (Egypt Rocked by Deadly Anti-Government Protests): «Attivisti del movimento Kifaya (Basta), una coalizione di oppositori del governo, e il Movimento giovanile del “Sei aprile” hanno organizzato le proteste su Facebook, Twitter e sul web».

E’ accertato che Washington da una parte sostiene la dittatura di Mubarak, comprese le sue atrocità, dall’altra parte finanzia i suoi oppositori. Movimenti come Kifaya militano dal 2004 e sono i protagonisti di primo piano delle contestazioni di piazza contro il regime di Mubarak. Kifaya è sostenuto da un fantomatico Centro internazionale che studia “i conflitti non-violenti” con sede negli Stati Uniti. Sempre a un sodalizio statunitense, il “Freedom House” è stato affidato il compito di preparare un gruppo di giovani borsisti egiziani all’uso di Facebook, Twitter e dei blog.

Pare che i risultati siano stati ottimi, almeno secondo “Freedom House” medesimo che spiega: «I borsisti di Freedom House hanno acquisito competenze nella mobilitazione civica, leadership e pianificazione strategica e beneficiano delle opportunità del networking, attraverso l’interazione con diversi sostenitori privati, le organizzazioni internazionali e i media con uffici a Washington. Dopo il ritorno in Egitto, essi hanno ricevuto altre sovvenzioni con l’impegno di destinarle a nuove iniziative di propaganda politica impiegando Facebook e gli Sms».

Naturalmente gli effetti della presenza dei giovani borsisti istruiti da Freedom House si sono visti nelle piazze d’Egitto, prima tra tutte in piazza Tahrir, che è diventata il simbolo della rivolta, ma pure una sorta di tragico laboratorio della violenza e della repressione sul quale si appuntano gli occhi degli addetti ai lavori. Anche perché c’è una curiosità diffusa per le invenzioni strategiche repressive dell’“uomo nuovo” del regime di Hosni Moubarak. Il vice-presidente Omar Suleiman (detto Sliman), tenente-generale delle Forze Armate e dal 1993 responsabile del tristemente noto, Gihaz al-Mukhabarat al-Amma, il temutissimo ed onnipresente servizio segreto militare egiziano che controlla nella pratica pure il GID, (The General Intelligence Directorate) la Direzione Generale dell’Intelligence.

Siccome - è storia nota - Omar Suleiman è tenuto in gran considerazione da Israele, Washington e Londra, fonti bene informate rivelano che costui abbia chiesto agli israeliani di fornirgli mezzi e cecchini per individuare e uccidere tutti coloro che in piazza aizzano la folla. Vero o falso che sia i cecchini comunque ci sono e i morti pure. Più di trecento in due settimane di scontri, quasi come in una battaglia del Novecento. Ma non sono i troppi morti che angustiano gli osservatori, piuttosto le nuove metodologie con le quali i dimostranti si muovono. C’è il timore, che è quasi una certezza, di una globalizzazione degli aggiornamenti su come si possono scansare le manganellate o preparare le folle a rispondere con altrettanta efficacia alle cariche della polizia.

Infatti, sir Hugh Orde Stephen da più di qualche giorno è entrato in fibrillazione temendo un possibile contagio “maghrebino” delle piazze inglesi. Egli ha partecipato al quotidiano inglese The Guardian tutta la sua preoccupazione guadagnandosi un titolo a tutta pagina. Il suo è un affanno che conta, essendo sir Hugh Orde Stephen, dal settembre del 2009, il presidente dell'Associazione dei capi di polizia dell’Inghilterra, del Galles e dell’Irlanda del Nord. E’, insomma, una sorta di super prefetto, il capo dei capi, uno che conta per il grado che ricopre e per l’intenso curriculum.

Infatti, dalle pagine del Guardian egli non formula dei suggerimenti, lancia degli avvertimenti che hanno il sapore antico dell’ ukaze. L’obiettivo da raggiungere è una lotta spietata contro gli "hacktivists" che eccitano i dissidenti. “Police could use more extreme tactics on protesters, Sir Hugh Orde warns “, titola il Guardian. Naturalmente sir Orde argomenta delle sue piazze, dei suoi dimostranti inglesi, ma la minaccia che lancia, pesante come un macigno, ha una dimensione universale.

In buona sostanza egli spiega che se i dimostranti affinano le loro tecniche di sovversione, la polizia dovrà per forze di cose reagire ancora più pesantemente. Precisa che l'utilizzo di messaggi su Twitter e Facebook per organizzare campagne di protesta in tempo di record, impone «una nuova revisione totale delle regole per mantenere l'ordine pubblico». Sicché, conclude, l’impiego del kettling diventa ineludibile, benché possa interferire sui «diritti dei cittadini».

In Inghilterra si era ricorsi al kettling, parola che deriva da kettle (letteralmente bollitore per il tè) per sedare, nel dicembre scorso, le dimostrazioni a Trafalgar Square degli studenti universitari. Sperimentata già nella Germania Ovest degli anni Ottanta, e poi rispolverata da qualche anno dalla polizia del Nord Europa - inclusa quella italiana, a Napoli nel 2001 - l’intervento kettle è un modo perverso di reprimere senza lasciare segni sulla pelle dei dimostranti.

In pratica, un intero angolo di piazza o un tratto di strada dove si trovano i manifestanti, viene trasformato in una sorta di recinto blindato da una fitta schiera di uomini delle forze dell’ordine armati di scudi. Essi avanzano e stringono la folla in uno spazio che nella migliore delle soluzioni non è più grande di un campo di calcio. Siccome la tattica non si basa sulla sorpresa, bensì sulla limitazione dello spazio, l’obiettivo è impedire il formarsi di spazi vuoti tra le persone, o vie di fuga. Infatti, coloro i quali tentano di forzare subito il blocco sono colpiti dai manganelli e respinti dentro con gli scudi.
 
Il 24 novembre scorso, a Londra, seimila tra studenti e persone della società civile che protestavano contro i tagli all’istruzione e all’innalzamento delle tasse universitarie, si ritrovarono nel “bollitore” della polizia, sigillati per ore, senza più la possibilità di sedersi, riposarsi, riscaldarsi. In piedi e pressati. Non soltanto studenti, ma anche donne e bambini. Il Guardian riporta i dialoghi degli assediati estrapolati da un filmato che è diventato una pagina di cronaca agghiacciante di quella giornata (http://www.guardian.co.uk/uk/2010/dec/22/kettling-video-appalling-police-watchdog?INTCMP=SRCH).

Due mesi più tardi, il 27 gennaio, ecco che appare, sempre sul Guardian, il super poliziotto sir Orde. Egli replica sostenendo che l'uso dei cavalli per caricare i manifestanti non è stato «eccessivo», bensì «proporzionato», «molto utile», e la tattica impiegata «efficace». Questo è potuto accadere, denuncia Orde, sebbene l’ordine pubblico in tutto il Regno Unito sia stato messo a rischio dal rifiuto del governo, «di ristrutturare e modernizzare le forze di polizia, costringendoci a confrontarci con la realtà del ventunesimo secolo con una polizia strutturata per il ventesimo. Una disinteresse che s’è rivelato micidiale», ha concluso Orde.

Non è poi difficile immaginare che sir Hugh Orde sia tra i più attenti osservatori di quanto sta accadendo sulle piazze dell’Egitto che pur sempre rimane per ogni inglese l’ex colonia che consolidò il sogno imperiale della regina Vittoria. E quindi la storia del Paese è seguita con particolare interesse, anche quando le sue forze di polizia anziché adottare la tattica disorganica e imprevedibile della dispersione della folla, ricorrono al kettle, anzi all’iper-kettling, una forma ancora più estrema di contenimento.

Si tenga a mente che sola minaccia di metterla in pratica a Londra ha scatenato in tutto il Regno Unito uno tsunami di polemiche. Nel Maghreb e dintorni, dove si sta giocando la partita geo-strategica globale, gli Stati Uniti stanno cercando di ridisegnare una nuova mappa politica e i diritti civili più elementari o sono del tutto negati o sono calpestati dai regimi corrotti l’iper-kettling è applicato e basta, senza talk show al riguardo.

Dopo tutto la nuova violenza negli scontri che contagia ormai tutte le piazze, rafforza nei paesi ricchi la convinzione sulla necessità di continuare ad investire in difesa e sicurezza pur con la crisi economica che incombe. Anzi, è emerso che alla voce spesa gli aumenti sono sostanziali, grazie soprattutto agli Stati Uniti, il cui cambio d’amministrazione non ha comunque modificato la tendenza. Lo ha scritto il SIPRI che sta per "Stockholm International Peace Research Institute" (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma), dal 1966 un’autorità in materia.

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