A Teheran si potrà anche continuare ad urlare “Morte all’America”, ma lo slogan dei fondamentalisti iraniani non cambia la realtà: gli Stati Uniti, nonostante la crisi, continuano a imporre la loro influenza globale. Con Trump di nuovo alla Casa Bianca, l'Iran deve scegliere tra resistenza e compromesso.

Le prime dichiarazioni del nuovo mandatario, rivolte a paesi come Canada, Messico, Danimarca e Panama, dimostrano che Washington si vede obbligata a un’espansione continua per mantenere il proprio dominio. Lo slogan "Make America Great Again" non è altro che un’ammissione del declino americano e l’illusione di poterlo invertire con nuove strategie di controllo e subordinazione degli alleati.

La rielezione di Donald Trump segna il ritorno di una politica americana che non è frutto del caso, ma il risultato della crisi strutturale che attraversa l'economia e la politica degli Stati Uniti. Se inizialmente Trump veniva etichettato come un folle, oggi è evidente che rappresenta una risposta all’erosione del potere americano e alla necessità di riaffermare la supremazia statunitense.

La crisi americana ha radici profonde. Fin dagli anni '70, il tasso di profitto del capitalismo occidentale, prevista da Karl Marx, è in calo. Per compensare, si è puntato su investimenti tecnologici che, pur aumentando la produzione, hanno ridotto i margini di guadagno. A un certo punto, i costi dell’innovazione sono diventati insostenibili e il capitale ha cercato nuove vie: delocalizzazione in paesi con manodopera più economica come la Cina e speculazione finanziaria. Così è nata l’oligarchia "globalista", rappresentata dai Democratici negli USA e dai socialdemocratici in Europa, che ha spostato il focus dall'industria alla finanza, allontanandosi dalla produzione reale.

Tuttavia, questa visione si scontra con un’altra fazione americana, legata al complesso militare-industriale e sostenuta dal Pentagono, che vede nella produzione bellica e nelle commesse statali una via di salvezza. Complesso militare - industriale guidato da Lockheed Martin, Raytheon, Northrop Grumman e dai gruppi di potere a esso legati che spingono per un'economia di guerra o per maggiori tensioni internazionali, così da giustificare un continuo aumento della spesa militare. Con la crisi del settore industriale e un debito pubblico colossale, il riarmo diventa una necessità, e l’ostilità verso Russia e Cina si fa più intensa.

Trump si muove in questo contesto: da un lato, cerca di riportare la produzione negli USA, dall’altro, mira a ostacolare l’accesso di Russia e Cina ai mercati globali, fermare la de-dollarizzazione e garantire nuovi sbocchi all’industria bellica americana.

In Iran, la politica estera continua a oscillare tra debolezza e passività. Prima, con la giustificazione di non dare vantaggi a Trump, si evitavano mosse decisive. Ora, con la sua vittoria, si cerca un compromesso con l’idea che Trump, in quanto uomo d’affari, sia un interlocutore pragmatico. Questa strategia non è nuova: già in passato si è ceduto terreno nella speranza di attenuare le pressioni americane, con risultati discutibili.

Le richieste di Washington all’Iran sono chiare: interrompere le relazioni con Cina e Russia, smantellare l’industria bellica nazionale e comprare armi dagli USA, vendere petrolio in dollari e fornire materie prime all’America, bloccando l’accesso di Mosca e Pechino. Inoltre, deve ostacolare progetti infrastrutturali come il corridoio Nord-Sud e Est-Ovest, che connettono Russia e Cina ai mercati globali, preservando così il dominio unipolare statunitense. Il riferimento è anche alla Nuova Via della Seta, ma non solo. Il Corridoio Nord-Sud e Corridoio Est-Ovest sono due progetti infrastrutturali cruciali che mirano a ridurre la dipendenza dal commercio marittimo controllato dall'Occidente a connettere meglio l'Eurasia.

Più precisamente il Corridoio Nord-Sud collega Russia, Iran e India, passando per il Mar Caspio e l'Iran fino ai porti indiani. Questo consente alla Russia di esportare merci verso l'Asia e viceversa, by passando il Canale Suez, controllato dagli alleati USA. Il Corridoio Est-Ovest, invece, collega la Cina all'Europa passando attraverso Asia Centrale, Iran e Turchia. Questo incide seriamente sul potere strategico degli USA che controllano le principali rotte marittime globali.

Gli Stati Uniti vedono infatti questi corridoi come una minaccia al loro dominio unipolare, perché permettono ai rivali Russia e Cina di commerciare senza passare dalle rotte dominate dalla marina statunitense. Quindi, ostacolare questi progetti significa ritardare o sabotare il consolidamento di un mondo multipolare, in cui Russia, Cina e i loro partner non dipendono più dal sistema finanziario e commerciale dominato dagli USA.

Con l’intenzione aperta di impedire questo processo di sviluppo delle economie globali Washington preme su Teheran e, nonostante l’aspetto umiliante di queste condizioni, all’interno dell’Iran non mancano i sostenitori di un compromesso, specialmente tra i circoli del capitalismo commerciale dipendente dalle esportazioni di materie prime. Il governo, tramite i media di Stato, continua a ripetere che i problemi economici iraniani derivano solo dalle sanzioni, alimentando l’illusione che un accordo con gli Stati Uniti possa risolverli rapidamente.

Eppure, l’Iran ha alternative e le risorse per resistere. Un’alleanza solida con Russia e Cina garantirebbe sicurezza e sviluppo economico, come dimostrato dalla loro resistenza alle pressioni americane. Tuttavia, la politica estera iraniana appare incerta, e il governo sembra più incline all’attendismo che a una strategia decisa.

Intanto, nel sermone della preghiera del venerdì, il Leader Supremo ha ricordato a tutti l'Iran, che di fatto controlla lo Stretto di Hormuz - snodo cruciale per il 30% del traffico petrolifero mondiale - è un avversario da trattare con cautela. Khamenei ha ribadito “se ci minacciano noi minacceremo loro; se mettono in atto la loro minaccia, noi metteremo in atto la nostra. Se attaccano la sicurezza della nostra nazione, noi attaccheremo la loro, senza esitazione”.

Una strategia che ricorda il metodo di Trump: bastone e carota. Ma alla fine, sarà da vedere chi si ritroverà con il bastone in mano e a chi, invece, la carota andrà di traverso. Per ora, ci si accontenta dello slogan "Morte all’America", senza offrire un’alternativa concreta alla pressione di Washington.

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