In Venezuela stiamo assistendo al ritorno delle “guarimbas”, con la violenza, gli omicidi e la distruzione che le accompagnano. Non manca il classico accompagnamento mediatico, con il mainstream occidentale che ne canta le lodi nel tentativo di trasformare il terrorismo in pacifismo e il fascismo in una corrente di democrazia un po' vivace. Quello che sta accadendo in Venezuela però, nonostante i morti e i vandalismi golpisti, non porta con sé il consenso dei settori popolari, né tanto meno dei militari e delle agenzie di sicurezza. È un tentativo di golpe suave, attuato come da istruzioni di Washington, non ha nulla a che vedere con una protesta contro la lentezza delle elezioni.

Il ritardo nella trasmissione dei dati restanti (una parte minore) si deve all’attacco informatico (un DOS- Denial Of Service) lanciato dalla Macedonia del Nord con il preciso intento di bloccare il funzionamento delle trasmissioni di dati al CNE. Questo ha portato a un ritardo nel conteggio totale dei voti, consentendo ai complottisti di accusare il governo di frode. Blinken lancia la crociata, ma dimentica che negli Stati Uniti è successo molto di più e molto di peggio nella vittoria di Biden contro Trump.

 

Il fatto che la legge assegni al CNE trenta giorni di tempo per fornire i risultati sembra un dettaglio formale: da un lato si bruciano le schede elettorali e si verificano attacchi informatici, dall'altro si richiede a Caracas una velocità che non è stata richiesta a Washington o a qualsiasi altra capitale del mondo. Perché? Perché il golpe è una mossa rapida e secca: o si fa subito o non si fa.

La violenza di strada scatenata dal golpe di destra non è una protesta, né tanto meno una proposta. La storia della presunta vittoria dell'opposizione con il 70% (!) dei voti fa ridere il mondo intero, perché se il sistema di conteggio ha avuto problemi come possono avere i dati giusti? Si tratta di un falso sondaggio commissionato dagli Stati Uniti alla Edison Research, che è triplicemente legata alla CIA. Lo scopo era proprio quello di insinuare una vittoria certa della destra da poter poi parlare di brogli ove non fosse mai avvenuta. Ancora più divertente è il riconteggio. È talmente evidente che le due affermazioni sono false che i guarimberos corrono a bruciare i centri di conteggio delle schede, che dovrebbero piuttosto servire a dimostrare la maggioranza annunciata, giusto? Un esempio di autolesionismo?

Non c’è una richiesta di scoprire cosa sia successo, ma piuttosto per negare la sconfitta. Non c'è riconoscimento del risultato del voto, né degli organi preposti alla sua tutela e non c'è legittimazione del processo istituzionale che lo sancisce. Perché non si riconosce la democrazia, ma solo il suo simulacro mediatico a fini di convenienza, ovvero il ritorno della ricchezza del Paese nelle mani della sua borghesia parassitaria. Non si può comunque occultare una certa coerenza: come già Trump e Bolsonaro, anche la criminale Maria Corina Machado di fronte alla sconfitta evoca brogli e scatena la furia di piazza. E’ più forte di loro: la democrazia gli sta stretta perché gli interessi in gioco sono larghi e lunghi.

Ma già nelle precedenti consultazioni, il copione della vittoria di chi ha perso e della sconfitta di chi ha vinto era evidente in tutta la sua comicità. La dimensione terroristica e golpista della destra latinoamericana emerge chiaramente. Gli ordini di Washington continuano, accentuati, a stabilire il rovesciamento dei governi non allineati con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma. Si contano amici e nemici, ma lo schermo parla da solo.

È la solita manifestazione di un modello di adesione alle regole del gioco democratico, che vengono rispettate in caso di vittoria ma rifiutate in caso di sconfitta. Dimostra come le elezioni non siano un modo per dare agli elettori la parola ma solo un'opportunità per togliergliela per un bel pezzo.

Ci sono due note importanti da sottolineare: la prima è l'ennesimo triste inginocchiamento di alcuni governi latinoamericani, illusi che leccando gli stivali dello Zio Sam possano avere un accesso privilegiato alla Corte. Si va dalla vergognosa posizione del Porteño psicopatico con tratti licantropici (a cui fortunatamente nessuno presta attenzione) a quella del Noboa proprietario di banane, che in poco tempo ha trasformato un Paese pacifico come l’Ecuador in uno dei luoghi più pericolosi del mondo, visto il tasso di criminalità. A loro si aggiungono i due fantocci della sinistra amata dalla destra, Boric e Arévalo, entrambi traditori del loro elettorato e prestanome delle rispettive forze armate.

Pensano in inglese e parlano in spagnolo per essere considerati partner affidabili di Washington, condizione necessaria (ma non sufficiente) per rimanere al potere. Arevalo in particolare, che ha vinto le elezioni grazie a un controverso conteggio dei voti, si sta dimostrando un piccolo Boric centroamericano. Forse è stato convinto dal suo amico Sergio Ramírez, che i colpi di Stato li invoca settimanalmente.

Si distingue l'atteggiamento servile e indegno di governi come quello panamense, costaricense e dominicano. Per non parlare della golpista peruviana Boluarte, sotto accusa per crimini di varia natura e a capo di un governo illegittimo che pretende la legittimità dagli altri.

Negativa è la posizione di Brasile e Messico, che sembrano ignorare l'impatto delle campagne statunitensi per il cambio di regime e sostengono decontestualizzando con neutralità il riconteggio dei voti, mancando così di rispetto alle istituzioni venezuelane. Non c'è nemmeno l'aritmetica a sostenere le perplessità, ma scandalizza la postura di neutralità tra una istituzione credibile e i golpisti. Lula, in particolare, è più deludente, proprio per aver dimenticato della sua elezione, quando Venezuela, Nicaragua e Cuba lo difesero dalle proteste per frode di Bolsonaro, non dissimili da quelle odierne di Maria Corina Machado.

Tutti sanno, e ancor più coloro che chiudono gli occhi, come coloro che fanno finta di essere imparziali, che in Venezuela si è consumata, come era prevedibile e previsto, un'altra avventura di disperati golpisti latinoamericani. Stanno giocando sporco e senza vergogna. Insomma, lo stesso film dell'orrore che era già apparso sugli schermi venezuelani qualche anno fa si ripete, arricchito ancora di più, in Nicaragua nel 2018. Va in scena uno spettacolo in cui la destra compete solo sul terreno della forza, senza nemmeno l'apparente intenzione di farlo sul piano della proposta politica. L'idea che trionfa - per citare Gramsci - è quella del sovversivismo delle classi dirigenti, ovvero quella della costante ricerca da parte dei poteri forti di un modello autoritario che dalla sua genesi e per tutto il suo sviluppo deve avere nel primato della violenza il suo elemento caratterizzante.

 

Un'altra sconfitta per Washington

L'impatto globale del voto venezuelano mette in seria difficoltà gli obiettivi degli Stati Uniti nella regione. Per questo hanno cercato fino all'ultimo di minare il processo elettorale, cercando con ogni mezzo di evitare una battuta d'arresto politica alle loro ambizioni di riconquista.

L'invocazione di presunti brogli non rappresenta una reale minaccia per il governo (che non è né addormentato né distratto e controlla tutto il Paese), ma serve a realizzare l'ultimo passo del piano di destabilizzazione, fornendo l'elemento necessario affinché gli Stati Uniti non riconoscano il risultato elettorale. Riperpetuando, sconfitta dopo sconfitta, l'ennesima idiozia che si ostinano a chiamare, pomposamente, politica estera. Una sola cosa rimane certa: con il 51,20% dei voti, Nicolás Maduro Moro ha vinto le elezioni presidenziali venezuelane. Una vittoria importante che ora, a urne chiuse e conti fatti,  misura tutto il suo valore oltre che il suo peso.

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