di Mariavittoria Orsolato

La scorsa settimana la nuova presidente Rai, Anna Maria Tarantola, ha tenuto il suo discorso d'insediamento dinanzi al Consiglio di Amministrazione. Un discorso encomiabile sulla carta che, nei punti programmatici, rivendica autonomia di manovra rispetto all'ingerenza dei partiti: “Una buona governance che si fondi su una chiara distinzione di ruoli e di responsabilità, senza sovrapposizioni, aree grigie, interferenze”; e si pone in linea con le politiche di austerità imposte dal governo di Mario Monti: “Una situazione economico-finanziaria-patrimoniale in equilibrio e sostenibile nel tempo, che consenta di conseguire anche un nuovo e profittevole posizionamento sul mercato”.

Un discorso d'insediamento colmo di buoni propositi in termini di qualità gestionale e produttiva :“Una gestione aziendale basata sull’autonomia e sul merito, che sappia valorizzare, stimolare e premiare le professionalità e i talenti, attenta ai giovani e alle donne.”; addirittura attento alla valorizzazione della figura femminile nei palinsesti: “Una linea editoriale rispettosa del pluralismo, dell’eticità, della responsabilità, sempre attenta alla finalità pubblica; una linea editoriale che ridia forza e ulteriore significato alla dignità e alla presenza della donna”.

In pratica un'orazione del miglior Gorgia che però, nella riunione svoltasi ieri a viale Mazzini, è stata indirettamente smentita dalle delibere approvate dal cda. Certo la neopresidente, ex numero due di Bankitalia, ha dato seguito al suo proclama e ha deciso di autoridursi lo stipendio– a quanto si apprende, Tarantola percepirà un salario di 366.000 euro lordi, inferiore a quello percepito dal predecessore Paolo Garimberti, che si aggirava sui 450.000 euro netti, ed inferiore ai 400.000 euro che la signora guadagnava nell'olimpo della finanza italiana. E, certo, nelle scorse settimane l'assemblea degli azionisti - composta dal ministero del Tesoro e dalla Siae – ha avuto il buon senso di decidere la riduzione di circa il 30% dei compensi dei componenti del cda, portandoli a 66.000 euro lordi annui, che comunque non sono pochi.

Anna Maria Tarantola ha tenuto a sottolineare che il “nobil gesto” è stato concesso “nonostante l'aggravio di lavoro e di responsabilità connessi con le nuove deleghe conferite al Presidente”, ma a vanificare il suo fair play e parte di quanto affermato appena una settimana fa nel discorso d'insediamento c'ha però pensato il collega Luigi Gubitosi, nuovo direttore generale Rai, che, pur avendo invocato un contratto a tempo determinato affinché sia palese che non ha intenzione di rimanere a viale Mazzini un minuto in più del dovuto, non ha minimamente mollato l'osso sul compenso e ha fissato la sua quota di prestazione a 650.000 euro lordi l'anno, la stessa percepita dall'ex dg Lorenza Lei.

Squilibri di reddito a parte, presidente e direttore generale pare abbiano cominciato a tracciare il piano operativo della Rai disegnata da Monti, al quale ancorare ulteriori interventi di razionalizzazione, con l'intenzione di mantenere in equilibrio efficienza e produttività, tagli e rilancio del prodotto. I primi interventi potrebbero forse essere già definiti nella prossima riunione del cda, prevista per il prossimo 2 agosto. Ma le disgrazie della tv di stato sono ancora tutti sul tavolo - a fine anno è atteso un rosso tra i 60 e i 100 milioni di euro, con un indebitamento intorno ai 300 milioni - e già l'ex dg Lei aveva ipotizzato una nuova manovra correttiva da 50-60 milioni.

Tra le possibili operazioni di cui si è parlato, la cessione degli asset passivi RaiWay, che potrebbe iniettare nelle casse dell'azienda intorno ai 500 milioni; la dismissione parziale del patrimonio immobiliare (da tempo si parla della vendita di Viale Mazzini e via Teulada, ma anche di Palazzo Labia a Venezia); il taglio delle collaborazioni dei pensionati; la riduzione degli attuali 14 canali con eventuali interventi sul personale in esubero; misure per il recupero dell'evasione del canone, che pesa per circa 500 milioni di mancati introiti.

Ad incombere resta poi il nodo delle nomine, che arriverà al pettine solo dopo l'estate. In ballo c'è Rai1, collocazione alla quale punterebbe l'ex dg Lei, ma nel mirino c'è anche Rai2, in crisi di ascolti. In vista delle elezioni del 2013 gli occhi sono puntati anche sul Tg1: il contratto di Alberto Maccari scade a dicembre, ma potrebbe essere sostituito anche prima.

Per la nuova dirigenza di viale Mazzini si aprono dunque sfide non semplici, ma se è vero che la nostra televisione è lo specchio del paese, allora probabilmente anche in Rai le manovre “lacrime e sangue” non sortiranno l'effetto voluto e continueranno ad aumentare lo spread tra la cittadinanza e il servizio pubblico che l'azienda dovrebbe offrigli.

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