di Mariavittoria Orsolato

A volte ritornano, ma non lui: Michele Santoro c’è e ha tutta l’intenzione di rimanere. Nonostante sia stato allontanato dalla Rai e respinto da La7, il giornalista salernitano non ha voluto rinunciare alla possibilità di essere uno dei più quotai attori dell’informazione e ieri ha debuttato con il suo Servizio Pubblico su una multipiattaforma fatta di tv, radio e ovviamente web. Un esperimento televisivo che non ha eguali ma che per la sua realizzazione ha ricalcato il modello de Il Fatto Quotidiano, ovvero pubbliche sottoscrizioni a garanzia di un’informazione libera da ogni condizionamento e al riparo dalla censura. Ma la pubblicità c’è comunque.

Partito in diretta concorrenza all’illustre ex Corrado Formigli, Servizio Pubblico annuncia che non sarà una brutta copia di Annozero ma un programma che, seppur mantenendo immutata la squadra, proverà a creare un nuovo modo di informare, a partire dal medium. Dopo il successo di Raiperunanotte e Tuttiinpiedi!, Santoro ha individuato nella crossmedialità la chiave vincente per raggiungere e accattivare anche quel pubblico che solitamente diffida del tubo catodico e per trasmettere il suo programma ha optato per la multipiattaforma. Il programma è infatti visibile sul digitale terrestre attraverso una cordata di emittenti regionali che si snodano lungo la penisola, sul satellite grazie a Sky Tg24 e sulla rete viene trasmesso in streaming sui portali del Fatto Quotidiano, Repubblica e Corriere della Sera.

Una specie di “guerrilla broadcasting” attraverso cui l’ormai definitivamente ex giornalista Rai si augura di contrastare l’obnubilamento propinatoci dai canali mainstream: «ogni giovedì - ha spiegato Santoro durante la conferenza stampa di presentazione - sarà una giornata di sciopero contro la tv che va in onda e che ci fa schifo (…) sarà uno schiaffo al potere che ha voluto una tv realizzata a sua immagine e somiglianza».

Il titolo della prima puntata, “Scassare la casta”, suona quasi come un manifesto e già dal logo presente sul sito ufficiale - una copia del famoso cave canem di Pompei - Santoro punta a sottolineare la sua mission di cane da guardia del potere costituito. Una cifra stilistica che vuole anche e soprattutto agire - come ha ribadito il giornalista - da naturale anello di congiunzione «tra le tante piazze in movimento e il Palazzo fermo nella sua autoreferenzialità». Non a caso, per descrivere la sua nuova impresa, Santoro utilizza l’immagine di una tv che sale sulla gru per farsi sentire, evocativa dei diritti negati e dell’estrema e disperata protesta che in molti lo scorso anno hanno adottato per dare visibilità alla propria battaglia.

Un programma che vuole affrancarsi dal format del talk di approfondimento per provare seriamente ad entrare in contatto diretto con gli spettatori - Giulia Innocenzi si occupa di sondare le opinioni del popolo del web in tempo reale, attraverso i social media - e a costruire con loro una narrazione scevra dal manicheismo imposto dalle regole della perenne par condicio e dello sterile bipolarismo in cui ci siamo impantanati.

Nelle due ore e mezza di programma l’impronta narrativa di Santoro è assolutamente percepibile ma ha il raro pregio di risultare molto più sopportabile all’orecchio e ai nervi rispetto all’ascolto di Annozero: libero dalle imposizioni del contraddittorio, il dibattito tra gli ospiti - l'altro ieri Della Valle e De Magistris, più Lavitola in collegamento dalla latitanza in Sud America - incalzati dai giornalisti in studio è risultato pienamente godibile e soprattutto comprensibile. E anche gli interventi dei cittadini, appollaiati su alte impalcature e con funzione intermittente come in Annozero, hanno la possibilità di essere esaustivi e scevri dall’astio che naturalmente i rappresentanti delle istituzioni si attirano con il loro atteggiamento sprezzante.

Che Santoro riesca a farcela anche stavolta ce lo potrà dire solo il tempo. Per ora i numeri stanno dalla sua parte. Prima di tutto quelli delle sottoscrizioni che è riuscito a strappare (in poco più di un mese sono state più di 93.000) poi quelli della raccolta pubblicitaria - solo dalle tv locali arriveranno 110.000 euro a puntata - e infine quelli di costi di produzione, davvero contenuti per un format come questo. Servizio Pubblico ha infatti un budget totale di 7 milioni di euro, circa 250.000 a puntata più i costi della gestione tv del sito, e dato l’alto numero di adesioni la società editrice del programma, la Zero Studios, non esclude che il cosiddetto “popolo di Santoro” possa entrare a far parte del capitale: come ha spiegato l’ad, Cinzia Monteverdi, «siamo disponibili ad includere l'associazione che ha raccolto le donazioni nell'azionariato e non si esclude in futuro l'ipotesi di una fondazione».

I maliziosi indicano questo successo come l’evidenza del fatto che il cosiddetto “partito di Santoro” esiste e che Servizio Pubblico non è altro che il prodotto narcisistico di un giornalista che ambisce a fare il capopopolo. E’ presto per dirlo. Santo Santoro non è ancora stato del tutto canonizzato ed è bene aspettare di vedere nelle prossime settimane che piega prenderà la nuova creatura. Nel frattempo facciamo un atto di fede verso la semantica del titolo del programma, sperando che quello della squadra del fu Annozero sia veramente un contributo utile ai cittadini di questo spaesatissimo Paese.

 

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