di Mariavittoria Orsolato

Se lo chef pluristellato Gordon Ramsay fosse uno degli ingredienti della sua cucina, sarebbe sicuramente il prezzemolo. Personaggio prima sconosciuto ai più, da quando il digitale terrestre è entrato coattamente nelle nostre case, i suoi modi arroganti e assolutamente unpolite hanno conquistato praticamente tutte le piattaforme e le fette di audience disponibili. Nato in Scozia, ma cresciuto in Inghilterra, fra la shakespeariana Stratford-on-Avon e la sonnolenta Banbury, Gordon Ramsay cominciò a cucinare a 15 anni facendo bottega fra Londra e le Alpi francesi.

Appena 27enne, nel 1993, divenne capo chef di un ristorante senza infamia e senza lode del quartiere londinese di Chelsea. Dopo solo 14 mesi il giovane cuoco si guadagnò la prima stella Michelin e sette anni dopo, la Bibbia dei gastronomi di tutto il mondo assegnò al suo ristorante londinese tre stelle, il massimo riconoscimento possibile.

Da qui in poi la fama dello chef scozzese divenne planetaria: nel giro di 15 anni chef Ramsay ha aperto 25 ristoranti fra Tokyo, Dubai, New York - e ovviamente l’Italia - e ha collezionato ben 12 ambitissime stelle Michelin. Ce n'era abbastanza per fondare una società, la Gordon Ramsay Holdings Limited, e per cominciare una fruttuosa carriera di chef televisivo. Dal canale per le casalinghe disperate, Real Time, a quello che Murdoch è riuscito a strappare ai veti di Berlusconi (l’italianizzato Cielo) fino a Rai5, anche in Italia ci si scanna per accaparrarsi uno dei format dello scontroso cuoco scozzese.

Primo tra tutti Hell’s Kitchen - partorito nel 2004 nella versione britannica e poi traslato negli States, senza cambiare una virgola, nel 2005 - un reality che dovrebbe consistere in sfide di cucina ma che si risolve perennemente in uno svilimento della buona volontà dei concorrenti, com’è ovvio disposti a tutto pur di compiacere il grande chef. Kitchen Nightmares è invece il titolo del programma in cui Gordon Ramsay, neanche fosse Mary Poppins, prova a salvare i ristoranti sull’orlo del fallimento. Che lo faccia insultando sistematicamente i poveri ristoratori/cuochi/camerieri é proprio il senso dello show: Ramsay, infatti, non manca mai di sottolineare la sua autorità in materia culinaria e di business e la frase “Io ho ventun ristoranti e tu non riesci nemmeno a tenerne uno” - utilizzata per rafforzare le sue proposizioni - ha la ricorrenza e la ridondanza di un tormentone di Zelig.

Se questi due programmi, rispettivamente in onda su Cielo e Real Time, sono fondamentalmente dei reality, Gordon Ramsay: diavolo di uno chef (il format in onda sulla raffinatissima Rai5) è invece l’unico vero e proprio programma di cucina in cui è possibile ammirare chef Ramsay all’opera: ogni settimana viene ospitato un personaggio del jet-set e ci sono collegamenti con i telespettatori adoranti che cucinano dal vivo insieme al cuoco scozzese.

Gordon Ramsay si ritrova così ad essere praticamente ubiquo, doppiato con voci differenti ma ugualmente presente su tre canali, in maniera quasi contemporanea. Il segreto del suo successo? Probabilmente il proverbiale caratteraccio, pompato al limite della coprolalia dagli esperti di comunicazione che gli gravitano attorno come gli anelli di Saturno. Definire lo chef Ramsay una persona antipatica è infatti un eufemismo e, a guardar bene, anche la sua cucina - checché ne dicano le grandi guide enogastronomiche - non è proprio così salutare.

Da sempre fermamente anti-vegetariano e favorevole all'utilizzo della carne in cucina, Gordon Ramsay si è attirato le ire di parecchie associazioni animaliste e di vegetariani. Nel 2005, servì del prosciutto a uno sconosciuto vegetariano senza avvisarlo, disse anche alla BBC che una volta aveva mentito a dei clienti vegetariani nascondendogli la presenza di carne di pollo in una delle sue ricette che questi avevano ordinato. Non certo una bella persona quindi, o perlomeno non così meritoria.

Il Belpaese, unico al mondo per le prelibatezze della sua tradizione culinaria, non ha di sicuro bisogno di consigli da parte di tronfi cuochi d’Oltremanica, ma la verve caustica dello sboccato chef  nato a Johnstone 45 anni fa, è un prodotto che certo l’italianissima brama di trash non poteva non accogliere in modo entusiastico. La goffaggine di un Vissani o il buonismo piacione di un Alessandro Borghese - i più noti tra i cuochi che spopolano o hanno spopolato nell’intrattenimento per massaie frustrate e non - non hanno certo l’appeal degli improperi di un Gordon Ramsay.

 

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