Il Comandante Fidel Castro, che mai si era arreso di fronte a nulla e a nessuno, si è arreso poche ore fa al tempo che corre per tutti e lo fa più forte di quanto vorremmo. Aveva compiuto da pochi mesi 90 anni e il raggiungimento di questa età era stato “un colpo di fortuna”, come ebbe a dire lui stesso nell’ultima uscita pubblica all’ultimo congresso del suo partito. Ma in realtà, più che la fortuna era stata l’abilità riconosciuta a proteggersi e proteggere che gli ha consentito di attraversare il 900 ed affacciarsi sul terzo millennio. Era riuscito, infatti, a sopravvivere a centinaia di piani della CIA per ucciderlo, ai complotti orchestrati da Washington e Miami e persino ai problemi di salute, emersi con un delicatissimo intervento chirurgico che nel 2008 lo spinsero a cedere a suo fratello Raul le funzioni esecutive di capo del governo cubano.

 

Ma il ruolo più importante, quello di Comandante en Jefe della Rivoluzione, gli era rimasto attaccato come l’abbraccio collettivo dei cubani e non vi saranno successioni a questo, perché non sono ereditabili il carisma e l’autorevolezza con la quale ha marcato una intera vita al servizio delle idee migliori. E non sono sottoponibili a successioni l’amore e la devozione che il suo popolo gli ha tributato durante 56 anni.

Devozione e rispetto che non sono mai venuti meno, anche quando - all’inizio e poi per buona parte degli anni 90 - la situazione economica dell’isola era vicina al collasso. Perché tra le assolute qualità di Fidel vi era anche quella di saper comunicare con il suo popolo in forma diretta e costante. Il popolo cubano riponeva in lui ogni fiducia e Fidel lo ha spronato a iscriversi alla storia che valeva la pena vivere, ad un destino che era giusto sfidare per cambiarlo.

Eppure, in gioventù, Fidel Castro sembrava destinato solo ad una brillante carriera di avvocato. Figlio di famiglia benestante, doti oratorie non comuni, dovette però ricredersi in fretta circa il destino che l’attendeva. La dittatura di Fulgencio Batista, sanguinolento sergentino di terza fila promosso a capo di un paese molto migliore di lui, bruciava le carni dell’isola. Lo avevano insediato al comando la mafia italo-americana, che di Cuba era signora e padrona, e che aveva reso la perla delle Antille il suo postribolo preferito per i week-end, quando scaricava i suoi avanzi di Florida dopo mezz’ora di volo. Cuba era prostituzione e gioco d’azzardo per gli americani, inferno di repressione e schiavitù per i cubani.

Quel giovane e promettente avvocato dovette quindi assumere su di sé la causa più importante, quella nella quale non si può perdere: la liberazione ed il riscatto del suo popolo. Cammino arduo, difficile e non breve, ma vittorioso. Il 1 gennaio del 1959, mentre il calendario cambiava anno, Cuba cambiava il suo destino e invertiva ogni paradigma. I più poveri divennero i più importanti.

Da allora e per sempre Cuba e Fidel sono due facce dello stessa medaglia. Difficile leggere Cuba senza Fidel, impossibile analizzare Fidel a prescindere dal suo paese. E se Cuba cambiò il destino del giovane avvocato, Fidel ha cambiato Cuba dalle sue fondamenta. Ne ha disegnato il profilo ideologico e culturale, ha definito il suo assetto politico e sociale, ha costruito e difeso la sua immagine internazionale.

Per Cuba, Fidel è stato l’architetto di un sistema socio-politico basato sulla partecipazione popolare, con una sedimentazione profonda del principio socialista nella sua versione latinoamericana. Istruzione, sanità, servizi sociali, cultura e sport garantiti e gratuiti per tutti. Eguaglianza, si eguaglianza: parola ormai desueta, quasi blasfema nel dizionario del pensiero unico, ma che a Cuba vige scolpita, a spiegare il significato di un destino diverso. E poi una battaglia incessante contro l’annessionismo, che è diventata un punto di riferimento ineludibile per la cultura indipendentista ed antimperialista, autentico humus del pensiero progressista latinoamericano.

E’ stato un autentico faro per i cubani, che lo hanno sempre considerato un padre della patria oltre che un leader politico. Persino coloro che osteggiano il sistema non consentono nessuna mancanza di rispetto alla sua figura. “Si se entera Fidel” - se lo viene a sapere Fidel - è stata per oltre 50 anni una delle frasi di chi si riteneva danneggiato da una qualunque ingiustizia, da inefficienza o indifferenza. Una frase che ben testimonia il grado di affidamento del popolo verso il suo leader. Un affidamento, però, tutt’altro che messianico: é concreto e vigile, attinente all’idea profonda di equità e giustizia, di libertà nella responsabilità con le quali diverse generazioni di cubani sono cresciute.

Cuba è nazione evoluta culturalmente e politicamente; ha nella formazione culturale e scientifica del suo popolo un valore non riscontrabile nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo e nella ricerca della massima equità sociale possibile il punto di partenza e di arrivo di ogni progetto. Per tutto questo, e non solo per questo, un’isola di poche migliaia di chilometri quadrati, con poco più di 12 milioni di abitanti, è divenuta un simbolo per il mondo intero.
Punto di riferimento assoluto per tutta la sinistra del continente americano e non solo, Fidel Castro è stato soprattutto uno statista di valore assoluto. Compagno decisivo di ogni processo di liberazione in ogni parte del mondo e nemico insuperabile di ogni oppressione, ha rappresentato una grandezza di pensiero ed azione politica che lo ha collocato al primo posto tra gli imprescindibili.

Dal Sudafrica all’Angola, dal Mozambico allo Zimbawe, dalla Namibia all’Etiopia, non c’è pezzo di Africa libera che non debba ringraziare l’intervento cubano, che obbligò alla disfatta il regime segregazionista di Pretoria e consentì la liberazione prima e l’elezione poi di Nelson Mandela alla guida della più grande ed importante nazione del continente nero. Per liberare l’Africa Cuba pagò un alto prezzo in vite umane e lo fece senza chiedere nulla in cambio, dando dignità al senso più  profondo dell’internazionalismo e lasciando così una traccia di nobiltà e di altruismo che nessun altro paese al mondo può vantare.

E lo stesso ringraziamento lo sente ogni paese latinoamericano che ha visto le guerriglie liberatrici di un tempo farsi governo. Nessuno di loro ha fatto a meno del contributo decisivo di Fidel e della sua Cuba, in prima fila a difendere le conquiste sottoposte all’offensiva delle controrivoluzioni. Fidel è stato rifugio e asilo della sinistra latinoamericana che cercava riparo e sostegno contro le dittature militari che negli anni ’70 si nutrivano di desaparecidos e massacri insanguinando l’intero continente. Con lui, Cuba è stata molto più di se stessa.

E’ stata punto di riferimento teorico ed organizzativo, sede imprescindibile per l’unità latinoamericana, aiuto decisivo per ripartire e per progettare le lotte di liberazione, sostegno determinante per mantenere in vita le esperienze rivoluzionarie, quelle del Nicaragua Sandinista e del Venezuela Chavista in primo luogo. E’ divenuta simbolo per centinaia di milioni di oppressi e nemico giurato dell’impero, che gli ha riservato una autentica ossessione impotente.

Contro il peggiore dei blocchi economici, applicato ad ogni sfera della vita del Paese e allargato persino all’intera comunità internazionale, Cuba ha resistito e vinto. Ha pagato un prezzo enorme, principalmente consistente nel suo mancato sviluppo ai livelli che gli sono consoni per qualità, ma non ha mai capitolato. In un paese dove da 60 anni non può entrare nemmeno un’aspirina, la qualità della sanità permette di collocare l’isola ai primi posti per speranza di vita e agli ultimi per le mortalità infantili.

E non solo dentro Cuba la sanità voluta da Fidel è un vanto. In tutto il mondo Cuba esporta dottori e vaccini, infermieri e maestri. Mantiene un numero di medici negli angoli più remoti del pianeta superiori a quelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ospita all’Avana la più grande scuola di medicina del mondo, riservata a tutti coloro che, privi di mezzi, possono laurearsi gratuitamente, con l’unica clausola di tornare ad operare gratuitamente nei loro paesi e rifiutare l’attività privata.

Tra i suoi indiscutibili meriti nella liberazione di Cuba dalla tirannide di Batista prima e poi nel processo rivoluzionario che ha portato l’isola a raggiungere vette di equità e sviluppo impensabili per tutti i paesi latinoamericani, c’è stato anche quello di sapere, da vivo, organizzare la sua successione. Sono pochi i leader che riescono in questa che è forse l’opera paradossalmente più difficile. Lui ne è stato capace. Ed è per questo che per quanto il popolo cubano sia oggi costernato ed affranto, la stabilità del Paese non è in discussione.

Ma oggi, per quanto l’obbligo del cronista sia quello d’informare, di chiarire ciò che può apparire oscuro, il sentimento che prevale è quello di una immensa tristezza. Mi si consenta di dire che averlo conosciuto e in più occasioni conversato lungamente con lui è servito a capire com’era possibile che fosse così amato dal suo popolo, così ammirato in ogni dove del continente e così odiato dall’impero statunitense. Una lucidità politica ed una lungimiranza impressionante s’inserivano in una passione debordante, una ironia sottile ed acuta ne caratterizzavano l’eloquio che lo rese famoso.

Se n’è andato il migliore di tutta la storia della sinistra internazionale. Se n’è andato senza mai esser stato sconfitto, avendo vinto ogni battaglia che ha ingaggiato ed anche quelle che lo hanno obbligato ad ingaggiare. Perché, come soleva affermare, “tutto si può negoziare ma non i principi”. Persino nella sua morte fisica ha mantenuto la sua promessa: “Morti magari, ma mai in ginocchio”.

Cuba celebrerà con 9 giorni di lutto nazionale il tributo al migliore dei suoi uomini. Ma non sarà solo cubana l'eredità della sua vita. Nella storia di Cuba, come in quella di ogni luogo, l’eredità di Fidel Castro continuerà ad avvolgere, ovunque si trovino, le speranze e le battaglie degli ultimi che proveranno a vivere per diventare i primi.

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