di Roberta Folatti

Il suo film l'ha voluto, l'ha scritto, l'ha difeso da qualsiasi intromissione. L'ha finanziato quasi tutto da solo, chiedendo un prestito in banca. Ma questo desiderio di indipendenza alla fine gli è costato molto caro.
Onde, malgrado abbia avuto ottime recensioni, ha trovato scarsissimi sbocchi nelle sale e Francesco Fei si è dovuto scontrare con una specie di muro di gomma, creato dalle case di distribuzione che controllano il mercato italiano.
Lui si sente un po' un Don Chisciotte, ma ora ha deciso di sacrificare una parte della sua libertà <<per provare a confrontarsi con il potere. Perché in Italia un regista deve anche sapersi vendere, deve imparare i meccanismi, trovare dei canali per far arrivare il proprio lavoro al pubblico>>.
Quel che segue è il sunto di una chiacchierata di un paio d'ore. Oltre alle difficoltà e ai debiti, l'avventura di Onde ti ha dato qualche soddisfazione?
La prima soddisfazione è essere riuscito a farlo. E poi la stima delle persone che l'hanno visto e il fatto che abbia girato il mondo. E' stato in dodici festival, da Rotterdam a Rio de Janeiro a Montpellier. La cosa più frustrante è che girava il mondo ma non usciva in Italia. Ora voglio trovargli una buona distribuzione in homevideo e un passaggio su Sky. Insomma è triste aver fatto un film che molti giudicano bello ma che non riesce a raggiungere il pubblico.

Tutto questo è sintomo di un grave malessere del cinema italiano?
La legge sul cinema, che attribuiva finanziamenti pubblici in modo indiscriminato, è stata una vera catastrofe. Lavorava solo chi aveva dei riferimenti politici, chi sapeva muoversi bene nei salotti del potere. Ora le cose stanno cambiando, trovo giusto che lo Stato non conceda più di 800mila euro per fare un film, il resto dei soldi è bene che si cerchino da altre parti. Il problema è che il concetto di rischiare in proprio non esiste più, per anni i produttori hanno puntato esclusivamente sui finanziamenti pubblici.

Cosa dovrebbe fare il ministro Rutelli per il cinema?
Stare ad ascoltare anche i giovani, compresa la generazione dai trenta ai quaranta che è quella più emarginata dai luoghi del potere. Dovrebbe ascoltarli perché sono proprio i giovani che stanno portando il cinema italiano in giro per il mondo, dandogli nuovamente lustro, vincendo premi. Penso a Saverio Costanzo, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Vincenzo Marra, Daniele Gaglianone ed Emanuele Crialese.

Tu hai un passato di regista pubblicitario e soprattutto di videoclip, come ti sei trovato nel passaggio al lungometraggio?
Sono laureato in storia del cinema, penso da sempre a questa come alla mia strada e mi è venuto naturalissimo il passaggio dai video al lungometraggio. Ho esordito nel 1988 con un corto, che venne selezionato per il Festival di Torino. Poi mi sono avvicinato alla musica, che da passione è diventata un mestiere, ho realizzato molti videoclip e sono considerato tra i più esperti in questo campo. Da poco ho girato il video di Carmen Consoli, "Tutto su Eva", tratto dal suo nuovo album. Lei ha voluto che si respirasse aria di Sicilia, così mi sono fermato una settimana sull'isola. Ma ho fatto anche tante "marchette" in musica e in pubblicità, invece il cinema deve rimanere una passione pura. O lo faccio come voglio io, senza compromessi, o sono disposto anche a rinunciarvi.

Onde è un film che non dà tutte le risposte, che richiede un sforzo da parte dello spettatore.
Il cinema che amo è quello che spiega poco, che lascia spazi anche allo spettatore. C'è un film che lo rappresenta al meglio ed è "Il coltello nell'acqua" di Roman Polanski. Onde prende spunto dal romanzo breve "Amore cieco" di V. S. Pritchett, ma la storia è attualizzata. Il film è freddo sul piano emotivo, la protagonista femminile è antipatica, scostante. Allo spettatore è richiesto lo sforzo di capire che il suo problema non sta nella voglia che ha sul viso, ma nella sua testa.

 

 

 
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