di Roberta Folatti

Il Festival del cinema di Locarno è stato sicuramente un successo di pubblico. Quasi 200.000 persone hanno affollato le sale delle proiezioni e soprattutto la suggestiva piazza Grande, in cui ogni sera, come in un rito, ci si riunisce attorno all'enorme schermo posto nel centro della cittadina svizzera. Un esempio di quanto la cultura possa rappresentare anche un'attrazione turistica, oltre che una fonte di guadagno.
Dal punto di vista artistico, il Festival ha offerto una buona qualità, lavori provenienti da tutto il mondo di forte impronta civile, firmati in molti casi da donne. Una donna, Andrea Staka, ha vinto il concorso internazionale con una storia tutta al femminile di produzione svizzero-tedesca. Das Fraulein è un film duro e delicato al tempo stesso, che narra di sentimenti intimi, protetti da pudori irti come spine. Siamo in Svizzera ma le protagoniste vengono dalla ex Jugoslavia, ciascuna con un bagaglio doloroso di ricordi. Ruza crede di essersi ambientata perfettamente: è proprietaria di una tavola calda, ha una vita regolata al millesimo in cui l'emotività è tenuta sotto stretto controllo. Ma l'arrivo di Ana, ventenne inquieta e misteriosa, che sembra affrontare la vita senza timori, bevendo con passione ogni suo singolo istante, tocca delle corde segrete e determina in Ruza un cambiamento sempre più evidente. Accanto alle due protagoniste, tra le quali nascerà un'intesa inaspettata, c'è anche Mila, sessantenne combattuta tra la nostalgia per la sua terra natia e la voglia di mettere radici nel paese che l'ha accolta e dove vivono i suoi figli.

La regista, cresciuta a Lucerna con genitori originari della Bosnia e della Croazia, è al suo primo lungometraggio dopo una serie di apprezzati documentari. A commento di "Das Fraulein" dice: "Ognuna di queste donne si porta dentro un dolore indicibile. Con il mio film ho voluto esplorare il fenomeno della migrazione ai nostri giorni: sempre più persone si spostano tra culture diverse, come i rifugiati, i viaggiatori o più semplicemente i senzatetto. La Jugoslavia e la guerra non sono in primo piano in "Das Fraulein", benché la storia e i suoi effetti siano centrali nelle vite e nella sensibilità di queste donne".

La ragazza arrivata da Sarajevo e piombata nelle vite di Ruza e Milla è una specie di angelo, che porta serenità e armonia, insegnando loro ad apprezzare di nuovo la musica, l'intimità con un uomo, una semplice gita in montagna che termina a palle di neve. Ma anche lei nasconde un'oscura paura, un doloroso segreto che non può rimanere nascosto a lungo, e quando lo confesserà sarà di nuovo in fuga.
Film apprezzatissimo dal pubblico per il suo brio e la vena commovente lo spagnolo Un franco, 14 pesetas, diretto e interpretato da Carlos Iglesias, attore molto noto in Spagna, alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa. La pellicola è autobiografica e racconta di quando suo padre fu costretto a emigrare in un paesino della Svizzera a causa della drammatica crisi economica che attraversava la Spagna di Franco. Tra sorriso e riflessione si assiste al processo di ambientamento degli emigrati spagnoli in un paese con la fama di scarsa ospitalità. Le cose vanno molto meglio del previsto e presto l'intera famiglia vi si trasferirà, senza eccessive angosce. Lo strappo più lacerante sarà, a sorpresa, il rientro in patria.
Iglesias ammette di avere da sempre un debole per la Svizzera, la terra che accolse lui e la sua famiglia, facendolo sentire davvero a casa a dispetto dei luoghi comuni.

"Il progetto del film è nato cinque anni fa - spiega il regista - quando la Spagna si stava riempiendo di immigrati. Mi sono reso conto che il mio paese aveva perso la memoria storica, rimuovendo il fatto che negli anni '60 quattro milioni di spagnoli emigrarono a loro volta. La Spagna è ritenuta un paese di gente simpatica, accogliente ma è un luogo comune. In realtà stiamo trattando male le persone che arrivano da noi alla ricerca di un lavoro e di un futuro più sereno. Queste persone vengono sfruttate, pagate un terzo dei salari spagnoli se clandestine, e solo la metà se regolarizzate. In Svizzera questo non succedeva, le paghe erano le stesse per tutti, lavoratori del luogo o immigrati." "Un franco, 14 pesetas" dà un'immagine forse troppo idilliaca della Svizzera, per molti lo sradicamento e le difficoltà di inserimento devono essere state ben più gravi di quelle descritte nel film, ma Iglesias ha scelto di rendere omaggio a una terra che gli è rimasta nel cuore.

Premiato come miglior attore l'intenso Burghart Klaussner per il film L'uomo dell'ambasciata diretto dal regista georgiano Dito Tsintsadze. La pellicola è una sofferta parabola sulla solitudine e sull'impossibilità, a livello sociale, di far comprendere e accettare un legame considerato disdicevole. Due esseri umani, una bambina e un uomo che ha passato i cinquant'anni, si frequentano, si riconoscono, condividono momenti di delicata intimità. Ma questa amicizia è mal vista da chi li circonda, che non considerano l'idea che possa essere del tutto innocente.

L'ultima sera, nella bella atmosfera della piazza Grande, è stato proiettato il docu-film italiano L'orchestra di piazza Vittorio di Agostino Ferrente, che racconta la nascita della multietnica banda musicale in un quartiere di Roma dove gli italiani sono una minoranza. Sul palco i musicisti in carne ossa, protagonisti di questa avventura e provenienti da quindici paesi diversi, hanno coinvolto il pubblico con ritmi indiavolati e suadenti.


 

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