di Sara Michelucci

Leonardo Di Caprio continua a stupire per la bravura e chi lo voleva lontano dal fisique du role dell’attore puro - alla De Niro per intenderci - si è dovuto presto ricredere. Stessa bravura la si può sicuramente attribuire al nodoso Clint Eastwood, che dietro la macchina da presa, stavolta non delude. J. Edgar è un film ben fatto. Forse un po’ lungo e lento in alcuni passaggi, ma sicuramente curato nella costruzione dei personaggi come nella trama. Non è facile raccontare la biografia di personaggi complessi e che hanno avuto una vita piuttosto “piena” di successi come di insuccessi. Ma stavolta si riesce a non scendere nel retorico e a dare spessore al personaggio, tentando un racconto che lo faccia emergere a tutto tondo.

John Edgar Hoover è uno dei più famosi uomini dei servizi investigativi del mondo. Ha infatti lavorato per l’Fbi per oltre mezzo secolo, la maggior parte dei quali trascorsi come suo direttore (1924-1972) sotto otto presidenti statunitensi, da Calvin Coolidge a Richard Nixon. La sua personalità controversa è stata raccontata nelle pagine dei romanzi di James Ellroy, affascinando da un lato e facendolo detestare dall’altro per la rigidità, il razzismo e l’anticomunismo.

Eastwood racconta la vita pubblica e privata di questo agente. La rivoluzione all’interno dell’Fbi con la creazione dell’accademia nazionale per l’addestramento degli agenti, l’immenso archivio per le impronte digitali, i laboratori scientifici. Tutte creazioni di Hoover che non si è fatto nessuno scrupolo nel perseguire minacce, sia vere che immaginarie, spesso infrangendo le regole per proteggere i cittadini americani.

Al centro del racconto il rapimento di un bambino e la scoperta del suo assassinio. Oggetto stesso per l’ascesa di Hoover, ma anche elemento catartico per chiedersi dove l’America stesse sprofondando. I suoi metodi spietati, ma anche eroici (seppure spesso Hoover si fregiasse dei successi altrui per farsi onore di fronte ai media e alla nazione) lo resero grande agli occhi degli americani. La sua più grande ambizione era quella di essere ammirato, ma anche di essere ricordato dopo la morte.

Il dossieraggio, di cui oggi si parla molto anche in Italia, possiamo dire che ha avuto con Hoover il suo momento di gloria, consapevole che la conoscenza è potere e che la paura crea le opportunità adatte al comando. È così che il direttore dell’Fbi ha tenuto a bada la politica, creando su di essa un’influenza senza precedenti e costruendosi al tempo stesso una reputazione intoccabile.

Sicuramente Hoover va ricordato - e il film ci punta molto - per aver combattuto il gangsterismo, eliminando John Dillinger detto il pericolo pubblico numero uno, e George R. Kelly detto machine gun. Inoltre, scoprì dopo quattro anni di indagini il rapitore ed uccisore di Baby Lindbergh. In un paese con una criminalità così estesa e fenomeni di violenza così gravi come gli Stati Uniti, Hoover diventò per alcuni una specie di eroe nazionale. Dall’altro lato, però, venne accusato di violazione dei diritti civili per aver disposto indagini segrete volte a identificare cittadini americani ritenuti, per le loro idee politiche, simpatizzanti con il comunismo. Tra questi Charlie Chaplin, ma anche Martin Luther King.

Hoover, in fondo, rappresenta bene le contraddizioni di un’America che punta a essere leader indiscussa di forza, perbenismo e efficienza, ma che ha al suo interno grandissime crepe. La vita privata di J. Edgar ne è stata un esempio. La sua sessualità ambigua, il fatto che non si sia mai sposato, l’amore dato per certo nel film con Clyde Anderson Tolson, direttore Associato del Federal Bureau of Investigation, ma mai confermato nella realtà. L’attaccamento ossessivo a una madre ingombrante (la bravissima Judi Dench) che ha cercato il proprio riscatto personale e familiare nei successi del figlio. Sono tutti esempi di un’esistenza votata al solo lavoro e sacrificio personale.

Alla morte di Hoover, Tolson ne ha ereditato i beni e la casa, dove si trasferì e vi trascorse i suoi ultimi anni di vita. Nelle didascalie finali si capisce bene come Eastwood scelga il privato, più che il pubblico, dell’agente Hoover, scavando nella sua psicologia. Forse ci si dimentica un po’ troppo della dimensione pubblica, anche se, in fondo, sono gli uomini che fanno una Nazione.

J. Edgar (Usa 2012)
regia: Clint Eastwood
sceneggiatura: Dustin Lance Black
attori: Leonardo Di Caprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Judi Dench, Josh Hamilton, Geoff Pierson, Ken Howard, Dermot Mulroney, Josh Lucas, Cheryl Lawson, Kaitlyn Dever, Gunner Wright, David A. Cooper, Ed Westwick, Kelly Lester, Jack Donner, Dylan Burns, Jordan Bridges, Brady Matthews, Jack Axelrod
fotografia: Tom Stern
montaggio: Joel Cox, Gary Roach
musiche: Clint Eastwood
produzione: Imagine Entertainment, Malpaso Productions, Wintergreen Productions
distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy