di Roberta Folatti

Respiro di vita o di morte

Quello di Kim-Ki-Duk è un cinema che sfida lo spettatore, lo pungola, lo sollecita. Lo conduce in territori inusuali, sacrificando la parola a vantaggio di altri sensi. E delle emozioni.
Il regista sudcoreano afferma di ispirarsi alla pittura, in particolare a quella di Egon Schiele, e parla del suo cinema come di un “dialogo fatto di immagini”. Il suo ultimo film Soffio (breath in inglese, quindi respiro) è stato girato in tempi brevissimi e ha diviso i critici. Qualcuno lo accusa di aver capito cosa si aspetta da lui il pubblico europeo e di ripetersi in modo ormai artefatto, spacciando per creatività l’autopromozione del proprio stile. Un po’ di verità in questi appunti critici probabilmente c’è, ma “Soffio” è comunque un’esperienza diversa, straniante, che colpisce e ipnotizza. La consiglio soprattutto a chi solitamente sceglie film che stanno in piedi grazie agli effetti speciali e ai colpi di scena.
Kim-Ki-Duk non fa un cinema lento e noioiso come ci si potrebbe aspettare, si basa invece su una totale libertà dagli schemi narrativi classici e inventa. Situazioni, espedienti visivi, relazioni fra personaggi che a un primo sguardo non potrebbero nemmeno sfiorarsi. Ma forse è proprio questo che succede nella vita reale...

Lei è una donna intristita dai tradimenti del marito, che si sta spegnendo in una cupa solitudine malgrado abbia una figlia che ama e la passione per la scultura. Lui attende di essere giustiziato per un atroce delitto e, non sopportando lo stillicidio dei giorni lentissimi nel braccio della morte, tenta più volte il suicidio. Due persone così differenti, due universi così lontani riescono a trovare una folle maniera di comunicare. La donna tappezza la cella in cui incontra il tenebroso assassino di manifesti colorati e vividi e crea dei piccoli spettacoli in cui canta, danza, racconta delle storie.

Un alone di mistero grava su tutta la vicenda, sulle intenzioni della giovane donna, sui sentimenti del suo amante che non pronuncia alcuna parola perchè in uno dei tentativi di suicidio si è danneggiato le corde vocali, e soprattutto sulla figura del direttore del carcere, che attraverso una telecamera osserva la coppia, interrompendone gli incontri a sua discrezione, con un coinvolgimento che si avvicina molto all’ossessività. Non aspettatevi di capire tutto, ciascuno può trarre le sue conclusioni riguardo ad alcuni dei passaggi chiave del film.

La donna è entrata nel carcere perchè innamorata del giovane omicida (potrebbe essere addirittura vero che è stata una sua fidanzata) o solo per vendicarsi del tradimento del marito? O invece ha deciso, per compassione, di insegnargli a morire attraverso il racconto della sua esperienza infantile, accompagnandolo verso il suo inevitabile destino e rendendogli più tollerabile l’attesa della fine?

Ma quello strano comportamento susciterà la gelosia di suo marito e soprattutto di uno dei compagni di cella del condannato a morte, così la vicenda prenderà una piega tragica e al tempo stesso consolatoria. Una nevicata e il gioco per un attimo spensierato dei due coniugi con la propria figlia regalano al finale un’inaspettata leggerezza, anche se il destino del giovane senza voce si compie. Può darsi però che abbia imparato a non avere paura e a vivere la sensazione di soffocamento, che precede la morte, come un passaggio a un respiro più ampio.

Soffio (Corea del Sud, 2007)
Regia: Kim-Ki-Duk
Sceneggiatura: Kim-Ki-Duk
Cast: Chang Chen, Park Ji-a, Ha Jung-Woo
Distribuzione: Mikado


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