di Roberta Folatti


Reduci, portatori sani di violenza

Jim e Mike sono due ragazzi come tanti. Almeno a un primo sguardo. Cazzeggiano, si prendono gioco delle proprie donne – a cui in realtà tengono – si stordiscono di birra e fumo in uno sballo non particolarmente “strong”. Stanno entrambi cercando lavoro, con Mike incalzato da una fidanzata in carriera che gli stampa i curricula e la sera controlla se ha ottenuto colloqui.
Ben presto è Jim a delinearsi come la figura più inquietante, capace di esercitare sull’amico un’influenza decisamente distruttiva.
Jim è stato in Iraq, ha combattuto eseguendo con terrificante diligenza gli ordini, anche i più estremi, e col progredire della storia diverrà chiaro che quell’esperienza violenta l’ha segnato in profondità. Gli amici gli ripetono che non lo riconoscono più, la sua donna lo teme malgrado sia disposta a tutto per lui. Così un film sulle bravate di due ragazzotti americani – tra droghe leggere, affari loschi e weekend in Messico – si trasforma in una drammatica denuncia contro la guerra, o almeno contro un certo tipo di guerra. Quella praticata dai servizi segreti americani o dai corpi speciali, che reclutano il personale in base a criteri tutti particolari.

Nel caso di Jim, ciò che convince il reclutatore ad accoglierlo nel suo gruppo è la visione di alcune foto scattate in Iraq. Il ragazzo è ritratto mentre tortura e finisce in modo crudele i prigionieri, presunti terroristi, ai quali è negato qualunque diritto. E’ la mancanza di scrupoli morali e la sottomissione agli ordini quel che piace ai capi dei reparti speciali dell’esercito e per queste ragioni Jim viene ritenuto adatto a una “delicata” missione in Colombia.
Il fatto di vestire di nuovo una divisa scatena in Jim sentimenti contrastanti, da un lato un euforico orgoglio, dall’altra una profonda delusione perchè la cosa gli impedirà di realizzare il suo sogno: sposare la sua ragazza messicana, l’unica persona che riesca a calmare i suoi incubi e a trasmettergli un briciolo di serenità.
Questo dualismo, acuito dai commenti degli amici che lo sconsigliano con forza di accettare l’incarico in Colombia, causa nell’animo già provato di Jim un’irreparabile, violentissima catena di reazioni.

Il trentanovenne David Ayer, regista di Harsh times – I giorni dell’odio è abile nel tessere una trama che parte da situazioni quotidiane, quasi banali, per arrivare a dire cose importanti. Un piccolo film indipendente con un interprete davvero in parte, Christian Bale, che ha voluto coprodurre la pellicola. Il titolo in italiano non è particolarmente appropriato, destino che accomuna una buona metà dei film stranieri con titoli italianizzati.
Harsh times non fa prediche, sfugge a qualsiasi intento moralistico ma ti rimane dentro, con la sua carica di amarezza e di morbosa vitalità.

Harsh times (Usa, 2005)
Regia: David Ayer
Musiche: Graeme Revell
Fotografia: Steve Mason
Cast: Christian Bale, Freddy Rodriguez, Eva Longoria
Distribuzione: Mikado


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