di Roberta Folatti

Un’Italia in chiaro-scuro Sono passati quasi cinquant’anni da quando Joris Ivens, documentarista olandese fra i più stimati al mondo, realizzò “L’Italia non è un paese povero” in cui raccontava arretratezze e potenzialità di uno stato alle soglie del boom economico ma con sacche di miseria impressionanti, soprattutto nelle regioni del sud.
Quel lavoro in bianco e nero, di grande suggestione, fu censurato pesantemente dalla Rai che lo mandò in onda in tarda serata, smembrato, con il forte dissenso del suo autore.
A distanza di quasi cinquant’anni Daniele Vicari riscopre le immagini di Ivens e inserisce alcune delle più significative nel suo documentario, compiendo lo stesso viaggio con le medesime tappe, solo che percorse in senso contrario. Parte da Gela Il mio paese, dove l’industrializzazione ha portato benefici economici ma anche uno sviluppo disordinato e iniquo, che viola il paesaggio con un abusivismo sfacciato. Visita Termini Imerese, in cui la crisi ha cominciato a farsi sentire in modo grave e la gente è costretta di nuovo ad emigrare al nord per mantenere famiglie numerose.

Un fenomeno che sembrava esaurito, quello dell’emigrazione, torna a manifestarsi, anche se in modi differenti: una volta erano i più poveri a partire, oggi emigrano soprattutto le persone con alti livelli di istruzione, in prevalenza giovani. A testimonianza di ciò, il film segue il viaggio di uno dei tanti pulman che da Palermo e dal sud Italia salgono verso la Germania, con a bordo famiglie intere che affrontano – come in passato - lo sradicamento e la difficoltà ad ambientarsi in contesti molto diversi. Parallelamente Vicari mostra i tragici arrivi per mare di clandestini che sembrano tutti uguali, privi come sono di documenti, con lo stesso sguardo vuoto e un’angoscia inesprimibile a parole. Sulle spiagge siciliane non è raro imbattersi in abiti e scarpe appartenuti a qualcuno a cui probabilmente non si potrà mai dare né un nome, né una sepoltura.

Vicari risale per tappe l’Italia e si ferma in alcune regioni in cui crisi e nuove opportunità sembrano bilanciarsi, tra un’industria ormai in fase di recessione e stimoli che chiedono di essere colti nel settore agricolo e in quello culturale. Così conosciamo produttori di olio e vino lucani che hanno deciso di puntare sulla riscoperta delle tradizioni, industriali pratesi che scacciano la crisi collegando la produzione dei tessuti alla promozione dell’arte contemporanea. L’autore dl film ci mostra una serie di realtà che disegnano il quadro di un’Italia in bilico tra fermento e rassegnazione, creatività e disincanto.

Le immagini di oggi sono intervallate da spezzoni in bianco e nero tratti dal documentario di Ivens: oltre alla loro struggente bellezza, salta agli occhi l’ingenuità di allora, di un popolo ancora pronto a stupirsi e a commuoversi davanti alle “conquiste del progresso”. Il giovane regista ritiene che ultimamente manchi un cinema come quello di Ivens, in grado di raccontare come una società ripensa se stessa. Ha voluto provarci lui, sulle orme dello stimatissimo maestro del genere, e i risultati sono apprezzabili, anche se “Il mio paese” è a tratti un po’ ostico, un po’ frammentato, con passaggi fin troppo bruschi da una realtà all’altra. Ma ben vengano i giovani registi coraggiosi (e i produttori altrettanto intrepidi) disposti a riflettere, attraverso le immagini, sui temi del lavoro e dei cambiamenti causati dalla globalizzazione...

Il mio paese (Italia, 2007)
Regia: Daniele Vicari
Sceneggiatura: Daniele Vicari, Antonio Medici
Montaggio: Benni Atria
Fotografia: Gherardo Gossi
Musiche: Massimo Zamboni, Nada





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