Diciamoci la verità: visto che non andremo ai Mondiali e che ancora dobbiamo iniziare a raccogliere le macerie dopo il cataclisma, di queste due amichevoli avremmo fatto volentieri a meno. Purtroppo però servivano ai nostri avversari - che in Russia ci andranno - così come agli sponsor e alle televisioni. Insomma, non si potevano annullare tipo calcetto del giovedì.

 

Dopo la sconfitta per 2-0 rimediata la settimana scorsa dall’Argentina (che ieri è stata massacrata 6-1 a Madrid dalla Spagna) siamo riusciti in qualche modo a limitare i danni sfangando un pareggio nel finale fra gli 80mila di Wembley. In altri tempi avremmo battuto un’Inghilterra così operaia, esaltata solo dalla velocità delle sue punte, Sterling e Vardy. Oggi invece dobbiamo ringraziare il Var, che a pochi minuti dalla conclusione dell’incontro ci ha concesso un rigore poi trasformato da Insigne.

 

 

La soddisfazione per l’1-1 contro gli inglesi la dice lunga sul livello a cui siamo scesi. L’unica persona che ha motivo per rallegrarsi è Gigi Di Biagio, prescelto dalla Lega come traghettatore (o vittima sacrificale) nella fase di burrasca. La sua carriera sulla panchina della Nazionale è nata per durare due partite: lo sanno tutti, anche i commentatori Rai che fingono di considerarlo fra i papabili per la rifondazione. Ipocrisia da servizio pubblico.

 

Il nome del nuovo commissario tecnico ancora non c’è (Conte? Ancelotti? Mancini? Ranieri?). Lo scopriremo a maggio. Fin d’ora però sappiamo che chiunque si sobbarcherà l’incarico dovrà lavorare di clava e cazzuola per demolire tutto e ricostruire. Perché qualcosa non va nella testa dei giocatori, prima ancora che nei loro piedi e nel loro posizionamento sul campo.

 

Non è normale che Rugani, centrale della Juventus, si dimentichi di coprire il pallone su una punizione dal limite per l’Inghilterra, consentendo ai nostri avversari di battere senza il fischio dell’arbitro e di sorprendere Donnarumma per l’1-0 (rete di Vardy).

 

Non è normale che una nazionale con Immobile, Belotti e Insigne riesca a segnare un solo gol, per giunta su rigore, in quattro partite. Non è possibile straziarci ancora con le sgroppate pentite di Candreva, i suoi dribbling a tornare indietro, i suoi cross immancabilmente destinati ai raccattapalle o alle terga del terzino avversario.

 

Non ha senso mettere in campo Jorginho senza dargli una collocazione precisa, un ruolo nella costruzione delle geometrie, e accontentarsi di fargli sparacchiare aperture più o meno sbilenche verso le fasce.

 

Purtroppo, la Nazionale sconta il declino finanziario della Serie A. L’eclissi prolungata delle squadre italiane dal calcio che conta fa sì che 8-9 giocatori su 11 della nostra formazione siano privi di esperienza internazionale ad alti livelli. Un deficit visibile in vari aspetti del gioco, dal modo di portare i contrasti  alla lucidità sotto porta, per non parlare di autostima, fiducia e determinazione.

 

Non illudiamoci, non c’è alcun miracolo alle porte: Cannavaro e Pirlo non torneranno. Ma un margine di miglioramento c’è. E negli ultimi 12 anni l’unico uomo ad averci restituito la sensazione di tifare per una Nazionale capace di superare i propri limiti tecnici è stato Antonio Conte. Tra i vari nomi in lizza, inevitabilmente, viene da tifare per lui.

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