Il mercato invernale dovrebbe essere solo un mercato di riparazione, e va bene. Ma, nel caso dell’Inter, oltre a non aver riparato alcunché, ha aperto una crisi ben più pericolosa di quella che attraversa sul campo. Il saldo non è certo esaltante: usciti l’impalpabile Joao Mario e Nagatomo, bloccata da Spalletti all’ultimo momento la cessione dell’irritante Brozovic, che già si era accordato con il Siviglia, il mercato in entrata ha portato Rafinha, ex Barcellona, e Lisandro Lopez.

 

 

Insomma tutti profili, sia in entrata come in uscita, che pur corretti non disegnano assetti sostanzialmente diversi da quelli conosciuti. L’uscita di Nagatomo (che è comunque meglio di Santon) libera da pressioni eccessive Dalbert e quella di Joao Mario fa altrettanto con Brozovic, e i prestiti onerosi tornano buoni per le entrate. Ma era questo l’obiettivo? Oppure provare a riformare una squadra con alcune carenze strutturali?

 

L’aspetto più importante, purtroppo negativamente, è proprio l’atteggiamento di Suning, che ha rifiutato il prestito oneroso con obbligo di riscatto di Javier Pastore, trequartista argentino del PSG e conoscitore del calcio italiano. Giocatore di classe purissima, sebbene non attraversi il suo momento migliore, da trequartista avrebbe potuto almeno risolvere uno dei problemi più seri nell’impianto di gioco spallettiano. Che fino ad oggi, non volendo cambiare radicalmente assetto di gioco, ha dovuto adattare i vari Borja Valero, Brozovic e Vecino che con quel ruolo non hanno niente a che vedere.

 

L’Inter fa tremendamente fatica a portare palla dalla difesa all’attacco ed è palese che abbia bisogno di un regista davanti alla difesa e un trequartista dietro le punte, in grado di costruire funzionalità ed imprevedibilità del gioco, trasformando dei solisti in orchestra. L’assenza di queste due figure obbliga infatti i nerazzurri – che escono con estrema difficoltà e lentezza dalla loro metà campo - ad utilizzare solo le fasce, rendendosi così prevedibile, oltre che lenta ed alla mercè dello stato di forma di Perisic e Candreva (e per quest’ultimo c’è poco da stare allegri). Rafinha, se sta bene, può occupare una posizione dietro le punte, ma certo il regista non si vede.

 

La sensazione è che Spalletti abbia già tirato fuori il massimo dal suo organico e che in assenza di queste figure o si cambia rapidamente l’assetto della squadra, rendendola più funzionale ai suoi giocatori, oppure lo scivolamento verso il basso a questo punto sia più probabile che la riconquista della vetta.

 

Quello che emerge dal rifiuto dei proprietari dell’Inter di aprire i cordoni della borsa per rafforzare una squadra che anche quest’anno rischia di piazzarsi fuori dalla zona Champions, è una scarsa disponibilità ad operare e ad investire, nonostante i programmi pomposi, roboanti, con i quali era sbarcata in Italia.

 

I cinesi hanno impedito anche l’arrivo di Ramires, tesserato dello Jiangsu , proprietà di Suning, con ciò denunciano esplicitamente le loro priorità strategiche. Il che, pur volendo considerare la matrice ultranazionalista del dragone, appare, francamente, una fesseria.

 

In primo luogo perché mettere sullo stesso piano il campionato italiano con quello cinese non è umanamente possibile, non solo sotto il profilo tecnico o della notorietà, ma anche sotto quello del volume di ricavi. In secondo luogo perché la squadra cinese, affidata a Capello, non brilla certo per risultati, dunque il sacrificio sarebbe stato relativo.

 

Ora, per quanto le linee d’indirizzo del governo cinese abbiano imposto la riduzione degli investimenti esteri in vista di un rallentamento della crescita economica del paese, e pur tenendo conto della strategia governativa, che punta alla crescita costante della dimensione nazionale nel calcio, non si può pensare di acquistare uno dei club più prestigiosi del mondo gestendolo solo con logica ragioneristica.

 

Va bene il rispetto degli accordi con la Uefa in ordine al rispetto del fair play finanziario ma l’indisponibilità a spendere ora, con la prospettiva di aumentare le possibilità di piazzamento champions, è il peggiore degli errori in sede di programmazione. Arrivare tra le prime quattro, è bene ricordarlo, oltre che un risultato minimo per una squadra con il blasone dei nerazzurri, produce in automatico l’ingresso di 50 milioni di Euro e la possibilità d’incrementare ulteriormente le sponsorizzazioni e il merchandising.

 

Attraverso i social ha già cominciato ad emergere la delusione dei tifosi dell’Inter e sarà bene che Suning la tenga ben presente, visto che l’Inter è la squadra con il maggior numero di abbonati e pubblico pagante ogni domenica allo stadio. Un crescente malumore, oltre che un distacco dalla società, avrebbe inevitabilmente ripercussioni anche sotto questo aspetto, di assoluta importanza proprio per le casse di una società che, per citare il dt Ausilio, non ha bisogno di sogni ma di solide realtà. Il suo sbarco in Italia avrebbe potuto contare sui milioni di tifosi interisti quali amplificatori d’immagine, ma così non sarà e questo è già un ricavo importante al quale si rinuncia per incapacità prospettica.

 

Invece di auto magnificare la sua potenza economica per poi fermarsi agli spicci, Suning assuma un imperativo semplice: meno parole e più denari. Dica solo se le limitazioni del governo cinese impediscono la realizzazione del progetto originario di sviluppo. Se cioè una logica orizzontale di contenimento degli investimenti comporti l'autofinanziamento obbligatorio per un club come l'Inter.

 

Serve chiarezza adamantina e non enigmatici silenzi. Se si vuole riportare la squadra ai vertici del calcio, dove vince solo chi spende, la strada non è quella intrapresa. Ma se non è possibile invertire il senso di marcia, si lasci perdere quello che non si può comprare e, sembra, non si riesce nemmeno a comprendere.

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