Simone Inzaghi aveva le idee chiare: "Si dice che tutto può succedere - aveva affermato l'allenatore della Lazio in un'intervista alla Repubblica - non sempre si aggiunge che succede solo se gli sfavoriti giocano una grande partita". Così è stato. Dopo aver perso 13 delle ultime 14 sfide contro la Juventus, di cui le ultime 10 consecutive - comprese due delle ultime 3 finali di Coppa Italia e la Supercoppa di due anni fa - dopo aver subito un parziale di 31 gol a 3 ed essere rimasti per ben 746 minuti di fila senza segnare contro i campioni d'Italia, i biancocelesti ce l'hanno fatta. Domenica sera all'Olimpico hanno battuto la Juventus, conquistando la quarta Supercoppa Italiana della loro storia.



Finisce 3-2, nel modo più incredibile. Immobile va a segno due volte - la prima trasformando un rigore da lui stesso procurato nel primo tempo, la seconda nella ripresa con un colpo di testa in sospensione sul palo lungo. Sembra fatta, ma negli ultimi 7 minuti la Juve trova un insperato pareggio grazie al talento del suo più grande campione. Si tratta naturalmente di Paulo Dybala, che prima accorcia le distanze con una punizione sensazionale, poi riaggancia i padroni di casa trasformando un rigore al 90esimo. A quel punto viene da pensare che per i bianconeri sia in discesa: gli avversari sono stremati e il pallino della partita è nelle loro mani. Invece no. Al 93esimo Lukaku trova un grande spunto sulla fascia sinistra: brucia uno spaesato De Sciglio, corre sulla linea di fondo e rimette il pallone indietro. All'appuntamento arriva il protagonista più inatteso, Alessandro Murgia - romano, 21 anni, figlio delle giovanili laziali di Inzaghi - che insacca di piatto il pallone del trofeo.

Quello della Lazio è un successo inatteso, contrario a ogni pronostico, eppure si spiega in diversi modi. La ragione più importante ha a che vedere con la preparazione precampionato. I biancocelesti hanno optato per un ritiro tradizionale, prima ad Auronzo di Cadore poi a Marienfeld, in Germania, puntando tutto sulla condizione fisica. La Juve invece ha seguito le ragioni del fatturato, con una tournée negli Stati Uniti che ha senz'altro favorito le casse della società, ma non la forma della squadra. Che infatti domenica ha subito sul piano atletico in mezzo al campo: Pjanic e Khedira hanno perso nettamente la battaglia fisica con gli avversari e l’unica nota positiva è stata Douglas Costa, che, entrato nella ripresa, ha dato la scossa ai bianconeri. La difesa però, orfana del tanto vituperato Bonucci, non è più la corazzata impenetrabile di un tempo (Benatia disastroso in marcatura su Immobile) e in attacco Higuaìn inizierà a carburare fra qualche mese (ieri De Vrij lo ha cancellato dal campo).

Il secondo motivo ha un nome: Lucas Leiva. Il brasiliano è arrivato alla Lazio in sordina, come un rimpiazzo improvvisato all'ormai ex capitano Biglia, passato al Milan e già infortunato. Sennonché, l'ex giocatore del Liverpool si è inserito da subito come un leader nei meccanismi del centrocampo laziale, rivelandosi fin dal precampionato perfino superiore al Lucas argentino, soprattutto per la capacità di recuperare palloni e di non perderne, oltre che di impostare geometrie e di vedere i tagli in profondità degli attaccanti. 

Il terzo fattore ad aver favorito la Lazio è stato Simone Inzaghi. Nonostante una società che sembra remargli contro - aveva chiesto un'ala veloce, gli hanno comprato un colosso da area piccola come il colombiano Caicedo - l'allenatore biancoceleste si sta rivelando sempre più l'uomo dei miracoli. Con Felipe Anderson in panchina per infortunio, ha avuto il coraggio di tenere fuori dalla lista dei convocati Keita, che presumibilmente si trasferirà a breve proprio alla corte di Allegri. Sembrava una resa, invece Inzaghi ha rilanciato con un colpo di genio tattico: Milinkovic Savic attaccante dietro Immobile. Il serbo, pur non avendo la velocità dei due compagni rimasti fuori, ha messo in capo il fisico, la tecnica e soprattutto il carisma del grande giocatore. Allegri, è evidente, non lo aveva previsto.

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