di Fabrizio Casari

L’Inter la pazzia ce l’ha nell’inno e nella storia, Pazzini nel suo soprannome. Potevano non trovarsi? L’ultimo acquisto di Moratti ha cambiato la partita e, forse, la storia della rincorsa al Milan capolista. Tra Inter e Palermo si è disputata forse la più bella partita finora vista in questo campionato. L’Inter ha letteralmente assediato la porta di Sirigu, il migliore in campo dei rosanero, ma il Palermo non ha certo demeritato e ad ogni affondo ha sempre procurato mal di testa ai nerazzurri. Un’impresa quella dei nerazzurri, perché battere un ottimo Palermo dopo essere stata sotto di due gol alla fine del primo tempo non è roba da tutti.

E meno che mai per chi deve comunque rinunciare a Samuel e Snejider (infortunati) e a Stankovic, Chivu e Cordoba (squalificati). Decisivi, per Leonardo, tre elementi: l’ingresso del neoacquisto Pazzini, che ha siglato una doppietta straordinaria (il secondo gol - incornata su cross di Maicon - è splendido) e si è procurato il rigore; il rientro di Julio Cesar, che ha parato un rigore a Pastore tenendo così aperta la strada della rimonta e ha compiuto almeno altre due parate eccezionali; un Eto’o che ha attaccato, coperto, suggerito e segnato: un giocatore semplicemente universale. Ottima la partita di Thiago Motta, Maicon e Zanetti, ma Leonardo deve necessariamente intervenire sulla fase difensiva.

Ranocchia e Lucio non sbagliano quasi nulla, ma troppe volte il pallone si trova nella trequarti dell’Inter senza il dovuto contrasto: uno dei due centrali deve uscire e o si scopre il centro della difesa oppure i laterali stringono per coprire ma aprono le fasce da dove arrivano molti dei gol che l’Inter subisce. Dieci gol in sei partite sono troppi e se anche la sua squadra continua a segnare mediamente tre gol a partita, qualcosa deve fare per evitare di prenderne. Per cominciare, invertire i ruoli di Cambiasso e Thiago Motta: l’argentino rende molto di più davanti alla difesa e l’italo-brasiliano è più letale dietro le punte, a maggior ragione in assenza di Snejider.

Tra le note dolenti si registra Milito che sembra non riuscire ad invertire una stagione opaca e un’incidenza relativa di Coutinho, che sembra nascondersi e non trovare il suo spazio in campo. E poi Santon: impacciato, in difficoltà evidente nella fase difensiva e limitato a soli due movimenti nella spinta. Un’involuzione, quella del ragazzo interista, che va affrontata sia per il bene dell’Inter che della Nazionale.

Il Palermo ha pagato la scarsa vena di Pastore, che però se l’è vista con Ranocchia e Lucio, non certo due qualunque. Buona la prova di Miccoli e della difesa, Sirigu sopra tutti. Ma la squadra di Delio Rossi appare sbilanciata in avanti: Miccoli, Pastore ed Ilicic sono tre giocatori di tecnica raffinata, veloci e pericolosissimi, ma il Palermo non dispone di un centrocampo di qualità, capace d’impostare come d’interdire: manca un regista arretrato di spessore tecnico. Le due fasi disegnano quindi un Palermo micidiale quando spinge e in difficoltà quando viene attaccato. I centrali difensivi sono forti di testa, ma non basta arroccarsi. La sensazione è che la squadra vada sempre in affanno quando subisce l’iniziativa degli attaccanti avversari. Rinviata per neve la partita tra Bologna e Roma: meglio per i rossoblu, che erano impazziti per mettere insieme 11 giocatori tra infortunati e squalificati. Ma si doveva attendere il quarto d'ora del primo tempo per capire quello cghe era già chiaro a tutti dal mattino, e cioé che il campo sarebbe stato impraticabile?

Oltre all’Inter e al Palermo, ad impreziosire ulteriormente la 22 giornata ci hanno pensato i partenopei, che hanno rifilato un poker alla Samp, con una tripletta dello straordinario Cavani. Archiviata l’uscita dalla Coppa Italia, il Napoli ha schiantato la Sampdoria. Di Carlo non può farci molto: quando ad una squadra, per buona che sia, togli i due campioni decisivi (Cassano e Pazzini) difficile che si possa recitare un ruolo diverso da quello della vittima sacrificale. Peraltro, il Napoli gioca un ottimo calcio e serve davvero un altro livello di compagine di quella doriana per metterlo alle corde. Ma a Genova dovranno fare attenzione: con altre due partite perse ci si troverebbe in una zona antipatica della classifica.

Chi stà in testa, invece, se la gode: il Milan, infatti, riesce a superare anche il Catania, confermando così le facili previsioni della vigilia. Van Bommel timbra il suo primo cartellino rosso, ma Robinho e Ibra timbrano i tre punti e i rossoneri macinano punti come fossero acquisti: vincono e proseguono la corsa nel ruolo della lepre.

La Lazio è a meno uno dal Milan e questo, comunque sia, è un dato che nemmeno il più tenace supporter biancazzurro avrebbe mai immaginato all’apertura del torneo. La partita con la Fiorentina non ha offerto spunti interessanti, ma riflessioni sì. La Fiorentina è apparsa depressa, come fosse svogliata, come avesse già messo in cantiere l’ennesima sconfitta fuori casa. Se la Viola pensa di proseguire il suo cammino in campionato con la verve dimostrata all’Olimpico, non sarà semplice rimanere nel lato sinistro della classifica.

Difesa molle con Gamberini inadeguato e centrocampo lento, dove D’Agostino non appare nemmeno lontano parente del giocatore ammirato nell’Udinese alcuni anni fa e Montolivo sembra incapace di far cambiare passo alla squadra. Se Brocchi, giocatore da polmoni d’acciaio e piedi di marmo, diventa il centrocampista più molesto per Donadel, D’Agostino e Montolivo (terzetto irriconoscibile) allora c’è poco da fare. E se il centrocampo è questo, normale che Gilardino non prenda mai una palla (tra le pochissime che gli arrivano): non è certo Gilardino il classico centravanti che fa reparto da solo.

La Lazio, dal canto suo, non ha dovuto sfoderare la sua migliore prestazione per battere la Fiorentina, ma alcuni giocatori hanno saputo interpretare bene la partita. Tra tutti un attaccante come  Kozac, che non avrà magari la tecnica pura tra le sue doti principali, ma ha il merito straordinario di vedere la porta e cambiare i risultati per la squadra di Reja.

Un buon centrocampo, quello biancazzurro, con Mauri in spolvero e Ledesma e Brocchi che hanno regolarmente surclassato quello toscano. Ma il test non era particolarmente difficile; sarà dunque necessario vedere le prossime due partite dei biancazzurri per capire se le polemiche interne saranno divenute roba passata per lasciar parlare il campo.

E se la partita di Milano è stata la più bella, quella di Torino è stata la più brutta. La Juventus, in vantaggio con un fantastico gol di Marchisio, si è prima fatta raggiungere e poi superare, nonostante la squadra di Guidolin non abbia disputato certo la sua miglior partita. Ennesima sconfitta e in casa: per la Juventus si fa davvero notte. Già alla vigilia la partita era vista come uno snodo decisivo, con il giovin signore Agnelli che però ribadiva la giustezza delle scelte fin qui operate. Quello della Juventus contro l’Udinese era uno di quei classici match dove una rischia di buttare una stagione, l’altra proprio nulla. L’Udinese gioca un calcio eccellente, sia perché Guidolin fa correre e i giocatori hanno grande confidenza con il pallone, sia perché l’ambiente di Udine è perfetto per chi vuole giocare senza stress.

Sì, certo, gli infortuni; ma l’Inter e il Milan ne hanno di più: e allora? Si dice che il modulo sia il disegno dell’identità della squadra, ma il 4-4-2 maniacale di del Neri corrisponde, per paradosso, proprio all’assenza d’identità. La Juventus gioca male, sbaglia le posizioni in campo, è tutto furore agonistico e scarsa tecnica, individuale e di squadra. Cinque anni dopo calciopoli, la Juve sembra dimostrare l’incapacità cronica della sua proprietà e del suo gruppo dirigente di uscire dal ridimensionamento patito a seguito degli imbrogli perpetrati. Alla società si può dare la colpa di non saper scegliere i dirigenti, ma non di aver lesinato sul portafogli.

Quasi 140 milioni di euro in cinque anni sono una cifra importante, ma i suoi dirigenti l’hanno buttata dalla finestra. Giocatori bolliti o franche schiappe trasformati in campioni da dirigenti incapaci. E Deschamps, Ranieri (con Lippi sullo sfondo a togliergli autorità), Ferrara, Zaccheroni e Del Neri non sono riusciti a venire a capo di una squadra e di un ambiente che vivono ormai in preda alla nostalgia del passato truffaldino e all’odio verso il presente dei vincenti. Ma la crisi è nera e alibi non ce ne sono: in cinque anni si formano squadre vincenti e si ammirano titoli in bacheca, non figuracce ripetute ed ogni anno peggiorate.

Il Genoa batte 3 a 1 il Parma, che sembra giù di tono non tanto sul piano fisico, quanto sulla capacità di concludere bene a rete, nonostante il mai finito Hernan Crespo. Avendo solo cinque punti di distanza dalla zona dove si lotta per non retrocedere, il Parma non potrà permettersi altre sconfitte con le squadre di metà classifica, dovendo già preventivare i punti da lasciare a terra nei confronti diretti con le grandi. Bene anche il Chievo compie una scorribanda a Brescia, dove mette sotto le rondinelle, gli rifila tre gol e una montagna d’interrogativi, visto che i bresciani sono alla non invidiabile cifra di cinque sconfitte nelle ultime sei vittorie.

I tifosi contestano, ma Corioni non ha molto di cui scusarsi: quelli sono i giocatori che ha, quelli sono i soldi che ha. Le ambizioni vanno concepite su questi due semplici, maledetti elementi. Magari sostituire Beretta sulla panchina potrà contribuire alla salvezza, si vedrà. Ma se il Bari continua a perdere (ieri 2 a 1 a Cagliari) e il Brescia pure, Lecce e Cesena (che chiudono sul pari il confronto diretto) non approfittano per prendere ulteriori distanze. Eppure sarebbero occasioni d’oro. In pochi punti si trovano sia la via della salvezza che quella della discesa negli inferi

 

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