di Fabrizio Casari

Il campionato ha ripreso la sua fisionomia classica, com’era inevitabile. Le grandi vincono, mentre le squadre rivelazione, che nelle prime giornate avevano illuso circa una possibile annata anomala e, per questo, entusiasmante, sono tornate nella parte bassa della classifica, rientrando nei ranghi e riproponendo nei numeri consueti il torneo. Dunque un campionato che si annuncia assolutamente normale, con i risultati prevedibili, i favori arbitrali consueti, le classifiche scontate.

Il Milan prova la fuga, ma senza Ibrahimovic e i favori arbitrali sarebbe nella parte bassa della classifica. La Juventus sta procedendo spedita e la vena di Aquilani (che ha liberato Felipe Melo dalla regia, che non gli appartiene, riportandolo a fare il mediano) e Krazic, alzano la qualità di una squadra comunque solida e da battaglia come tutte le squadre di Del Neri. Che ha la fortuna dalla sua: due pali diventati gol contro il Genoa, che ha anch’essa preso due pali divenuti nulla. Si vince anche così.

La Roma è tornata e, con un organico finalmente sazio di possibili ricambi in tutte le zone del campo, rimane una delle favorite per il titolo. Alla Lazio manca solo un goleador da doppia cifra; lo avesse, sarebbe in alto, solitaria. Il Palermo, che gioca forse il calcio più bello, avrebbe invece bisogno di un difensore di razza, giacché Pastore e il ritrovato Miccoli segnano, ma non impediscono di subire gol. Anche il Napoli sembra procedere speditamente, mentre la Fiorentina patisce eccessivamente l’assenza di Jovetic e Gilardino non fa miracoli.

In questo campionato così normale, l’unica eccezione dalla norma, roboante quanto inaspettata, è rappresentata dall’Inter di Benitez, ormai ufficialmente in crisi. La caduta di Verona ha confermato come ogni squadra che giochi contro i nerazzurri di questi tempi riesca a sfoderare un’ottima prestazione. La ricetta è semplice: aggressività fisica e velocità. L’Inter infatti è lenta e molle, arriva in ritardo su ogni pallone conteso e fatica a chiudere gli spazi. Protegge poco e male la difesa che, eccezion fatta per Lucio, di suo non brilla comunque. Infatti i nerazzurri prendono gol evitabilissimi a difesa schierata o a difesa superata in velocità.

Benitez ha molte colpe e alcune attenuanti. L’attenuante maggiore è quella degli infortunati. Su una rosa di 23 giocatori, l’Inter ha undici infortunati, dei quali sei (Julio Cesar, Maicon, Samuel, Chivu, Thiago Motta e Milito) titolari inamovibili. Tra le seconde linee sono infortunati Mariga, Obi, Coutinho e Suazo. Tutti insieme formerebbero una squadra di tutto rispetto e sono, comunque, la rappresentazione evidente di come alla squadra manchino titolari e rincalzi possibili. Nessuna squadra potrebbe risultare competitiva senza sei o sette titolari in campo e a Milan, Juve, Lazio e Roma basterebbe non averne due o tre per entrare in crisi.

La società, che conferma la fiducia nell’allenatore spagnolo (almeno per il momento) ha gravi responsabilità nella gestione della campagna acquisti: tenere ad ogni costo giocatori che avevano voglia di andarsene (Maicon e Milito su tutti) e lasciar partire Balotelli, non vendere pezzi inutili (Pandev) e acquistare altri giocatori non da Inter (Biabiany e Coutinho) non ha certo aiutato Benitez, che aveva chiesto due rinforzi e non li ha ottenuti.

Ma Benitez, da parte sua, ha dimostrato di non capire cosa fare, programmando una preparazione sbagliata e faticosa, per una squadra che oltre al Triplete - da cui era uscita stanchissima - aveva sul groppone i mondiali e rientrava in campo in anticipo per disputare la Supercoppa italiana ed europea. Oggi definisce i giocatori “spremuti”: e non poteva accorgersene prima? E non poteva evitare di sottoporli ad una preparazione pesante ed inutile, visti i risultati?

Il lavoro in palestra sulla muscolatura è stato un errore gravissimo: prova ne sia che 9 giocatori degli attuali ospiti dell’infermeria, più Cambiasso e Stankovic appena rientrati, si sono infortunati nello stesso punto, il bicipite femorale. Coincidenze? L’allenatore spagnolo farebbe bene ad assumersi le sue responsabilità e ad ammettere l’errore nella preparazione, invece che tentare di scaricare la colpa sulla passata stagione, anche perché se avesse lo stesso ruolino di marcia nessuno lo accuserebbe di nulla. E anche perché Obi e Coutinho l’anno scorso non giocavano con Mou.

Dulcis in fundo, Benitez non ha molte idee su come schierare la squadra, ma le poche che ha sono sbagliate. Chiedere ad una difesa di trentenni ed oltre, fortissimi ma poco portati alla velocità (se si eccettua Cordoba, non titolare però) di giocare alta, significa assumere un rischio notevole di subire ripartenze avversarie. E se s’insiste nel proporre un gioco fatto di passaggi brevi e laterali, oltre a togliere profondità all’attacco si aumentano i rischi proprio delle interdizioni e delle ripartenze avversarie con la squadra sbilanciata in avanti.

L’idea di giocare nella metà campo avversaria con una squadra alta, senza ali e con una velocità ridotta, è davvero ingenua. Ma soprattutto l’Inter, quando entra in possesso della palla, non sa cosa farci. Nessun movimento degli attaccanti a dettare il passaggio e, quindi, nessun gioco di prima, nessuna incisività offensiva. Non era per questo che Benitez è arrivato all’Inter, non sarà con questi risultati che continuerà ad occuparne la panchina. La sfida di Champions con il Twente rischia così di divenire la prova d’appello.

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