Le prime conseguenze elettorali del secondo mandato presidenziale di Donald Trump si sono potute osservare nella giornata di lunedì, anche se non negli Stati Uniti e con risultati che hanno evidenziato un’influenza indiscutibilmente negativa. L’inquilino della Casa Bianca è stato infatti un fattore decisivo nel voto anticipato in Canada che ha fatto registrare uno dei recuperi più clamorosi della storia di questo paese e non solo. Il Partito Liberale di centro(-sinistra) del neo-primo ministro, Mark Carney, ha ottenuto la quarta vittoria consecutiva alle urne, relegando i conservatori nuovamente all’opposizione al termine di una campagna elettorale che ha visto il loro leader, Pierre Poilievre, riproporre molti dei temi e delle strategie trumpiane.

Lo scorso gennaio, l’allora premier Justin Trudeau era stato spinto alle dimissioni da un partito che sperava di limitare i danni in previsione elettorale attraverso un cambio al vertice. Singolarmente, l’apice dell’impopolarità di Trudeau era stato raggiunto dopo l’elezione di Trump e i riflessi, questa volta positivi, che aveva avuto sulle prospettive del Partito Conservatore canadese. La nomina di Carney, ex governatore delle banche centrali di Canada e Regno Unito, a segretario dei liberali e primo ministro ad interim nel mese di marzo aveva però avuto subito un riscontro positivo dagli ambienti del business canadesi, interessati a una leadership socialmente meno “divisiva” per favorire l’implementazione di un’agenda economica a loro favorevole.

Assieme alla fiducia in Carney dei poteri forti canadesi, il fattore determinante nel ribaltamento degli equilibri elettorali è stato appunto Donald Trump. La guerra commerciale scatenata anche contro il Canada e le ripetute provocazioni con cui incoraggiava questo paese a diventare il 51esimo stato americano hanno offerto a Carney e ai liberali un assist imprevisto per lanciare una campagna elettorale vincente, basata sulla ferma opposizione alle iniziative del presidente americano. Un Trump inoltre che, come già anticipato, era stato da ispirazione a Poilievre e ai conservatori, ritrovatisi così spiazzati e senza altre carte politiche da giocare a poche settimane dal voto.

Il Partito Conservatore, secondo i sondaggi, era arrivato ad avere anche più di venti punti percentuali di vantaggio sui liberali, alla fine dilapidati nonostante una prestazione nettamente migliore rispetto alle ultime elezioni del 2021. Il partito di Poilievre è passato dal 33,7% di quattro anni fa al 41,4% odierno (da 119 a 144 seggi), ma la crescita dei liberali è stata addirittura superiore ai 10 punti percentuali (dal 32,6% al 43,5%). Per via del sistema elettorale maggioritario canadese, con questo risultato Carney e il suo partito hanno sfiorato la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei Comuni, ottenendo 168 seggi sui 343 totali.

Il Partito Liberale darà vita, come nella legislatura uscente, a un governo di minoranza, che non dovrebbe avere comunque troppi problemi a trovare una sponda almeno nel Nuovo Partito Democratico (NDP), considerato più a sinistra dei liberali. Quest’ultimo è stato letteralmente decimato dal voto di lunedì, crollando dal 17,8% dei consensi del 2021 al 6,3% (da 25 a 7 seggi). Il dato del NDP, a cui non ha giovato il ruolo di stampella dei liberali in questi quattro anni, è la conseguenza di uno spostamento di voti dai partiti minori a quelli principali, dovuto probabilmente anch’esso alle scosse prodotte dalla presidenza Trump e alla polarizzazione politica che ne è seguita. Anche il Blocco del Quebec, presente solo nella provincia francofona canadese, e i Verdi sono stati penalizzati da questa dinamica, perdendo complessivamente 11 seggi.

Il premier Carney ha potuto dunque impostare la sua campagna elettorale sugli attacchi contro Donald Trump e la promessa di contrastare sia l’imposizione dei dazi sull’export canadese diretto verso sud sia le mire espansionistiche della Casa Bianca. Sempre in relazione al cambiato clima a Washington, il leader liberale ha delineato un futuro meno vincolato agli Stati Uniti in ambito economico e della sicurezza, prospettando invece un maggiore allineamento agli alleati europei, inclusa l’insistenza sulle fallimentari politiche russofobe e di totale appoggio al regime ucraino.

La mobilitazione contro i conservatori degli elettori canadesi orientati verso il centro-sinistra ha dimostrato come la popolarità della destra estrema e del modello trumpiano siano in larga misura una fantasia mediatica. Poilievre aveva nelle ultime settimane abbandonato almeno in parte i toni combattivi che richiamavano alla galassia “MAGA” negli Stati Uniti, ma il legame del leader conservatore con la fazione del Partito Repubblicano al potere a Washington è stata riconosciuta e valutata correttamente dai canadesi.

Alcune proposte lanciate in campagna elettorale da Poilievre ricalcavano anche nel dettaglio le misure più anti-democratiche già osservate a sud del confine. Il leader conservatore aveva minacciato ad esempio, esattamente come Trump, di tagliare i finanziamenti alle università e alle agenzie pubbliche canadesi che promuovono l’ideologia “woke”, così come di espellere dal paese studenti e lavoratori stranieri coinvolti in manifestazioni di protesta contro il genocidio palestinese. Stesso discorso per la feroce lotta contro i migranti, che Poilievre intendeva replicare in Canada non appena eletto e insediato.

Per contro, la leadership di Mark Carney si prospetta, a parte gli elementi più estremi, generalmente in linea con l’agenda conservatrice ed è proprio per questa ragione che i grandi interessi economici e finanziari canadesi hanno dimostrato di preferire l’ex banchiere per guidare il paese in questa fase storica tumultuosa. Un recente editoriale del più influente giornale “ufficiale” del Canada, il Globe and Mail, ha spiegato come il premier liberale si sia “appropriato della parte migliore” del programma del Partito Conservatore.

Laddove la “parte migliore” corrisponde alla liberalizzazione dell’economia, all’allentamento delle regolamentazioni ambientali nel settore estrattivo, ai limiti ai flussi migratori e all’aumento delle spese militari in linea con gli obiettivi NATO. Nonostante la retorica, peraltro, Ottawa nelle scorse settimane aveva già assecondato alcune delle richieste di Trump collegate alla minaccia dei dazi. Per evitare o limitare le iniziative americane in questo ambito, il governo canadese aveva tra l’altro aumentato la militarizzazione del confine meridionale con la scusa di combattere il traffico di droga. È quindi probabile che il nuovo governo Carney cercherà altre intese con la Casa Bianca per fare in modo che i due paesi restino allineati il più possibile sulle questioni strategiche fondamentali.

L’esito del voto anticipato in Canada e le vicende politiche di questi mesi evidenziano in ogni caso un processo tutt’altro che incoraggiante e riscontrabile anche in altre “democrazie” occidentali. L’ascesa al potere un decennio fa di Trudeau era stata salutata come un trionfo e l’inizio di un periodo d’oro per la sinistra, salvo poi dimostrarsi per quello che era realmente. Ovvero, come nel caso di Obama in America, uno strumento della classe dirigente “liberal” per proiettare un’immagine progressista, limitata rigorosamente alle questioni “culturali” e di genere, mentre venivano implementate politiche reazionarie in ambito economico e militare.

L’inevitabile declino di politici come Trudeau ha aperto la strada a “fenomeni” fascistoidi come quello di Trump o dello stesso Poilievre, in grado di prendere il potere – vedi negli USA – o, nel caso del Canada, solo avvicinatisi ma sconfitti da nuovi leader che nemmeno a livello esteriore mantengono ormai un qualche richiamo alla sinistra. Questa dinamica risulta appunto chiarissima con Mark Carney, che, oltre a essere stato governatore di ben due banche centrali, ha ricoperto a lungo cariche dirigenziali di altissimo livello per il colosso bancario Goldman Sachs, mentre non è mai stato nemmeno membro di quel Partito Liberale canadese di cui ha assunto la leadership appena sette settimane prima delle elezioni di lunedì.

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