L’Unione Europea ha avuto sin dall’inizio dell’operazione destabilizzatrice in Ucraina un ruolo tutt’altro che marginale. Dalla fabbricazione mediatica della “pasionaria” Timoshenko al sostegno di Poroshenko, fino alla vittoria di Zelinsky, Bruxelles è stata un attore importante della vicenda politica ucraina. La frattura con la Russia ha inizio infatti quando la UE stimola Kiev ad un atteggiamento di aperto contrasto con Mosca, per poi proporre scambi commerciali ed integrazione economica alternativi a quelli con la Russia fino a proporgli l’ingresso nell’Unione Europea.

Le intenzioni di Bruxelles sono molteplici. In primo luogo assolve il compito che gli USA e la NATO gli assegnano, quello di costruire i presupposti politici e commerciali di scontro con la Russia. Ciò sia perché privare Mosca degli scambi con Kiev procurerebbe un problema per la Russia, sia perché l’Ucraina è parte fondamentale dell’ampliamento ad Est dell’Alleanza Atlantica, che sull’accerchiamento della Russia fonda la sua strategia. C’è infatti una cruciale posizione geostrategica, con uno sbocco sul Mar Nero e sul Mar d'Azov a Sud, il confine con la Russia a Est, con la Bielorussia a Nord, con Polonia, Slovacchia e Ungheria a Ovest e con Romania e Moldavia a Sud-Ovest.

Il ruolo della UE è quello di fare dell’Ucraina uno stato proxy, mettendo la prossimità europea in funzione di scudo degli interessi statunitensi. I quali si concentrano soprattutto nell’addestramento dell’esercito e delle milizie naziste portate nei ranghi ufficiali: in sette anni l’Ucraina diventa il 21 esercito del mondo, pronto per impensierire la Russia. Le operazioni di coinvolgimento nelle operazioni militari NATO sperano di intimorire Russia e Bielorussia facendo balenare la possibile entrata di Kiev nell’Alleanza Atlantica. Si deve del resto ricordare che il summit NATO del 2021 a Madrid, produce un documento nel quale, oltre ad assegnare all’alleanza militare un ruolo politico primario in rappresentanza dell’Occidente, non si esita a definire la Russia come “nemico strategico”. Dunque le richieste di Mosca di una architettura di sicurezza condivisa fra tutti hanno tutte le ragioni di esistere.

C’è da aggiungere che Bruxelles partecipa sia sul fronte Nato che Ue, dato che anche l’Europa ha ambizioni di penetrazioni verso Est, spinte soprattutto da Polonia e Paesi Baltici che vedono nella estensione della UE, oltre che nella presenza della Nato, la possibilità di aumentare la loro influenza nel blocco capitalistico occidentale e la possibilità di cogliere una sempre sognata vendetta contro quella che fu l’Unione Sovietica.

Questa convergenza di interessi USA-UE vede i paesi europei, GB e Francia innanzi a tutti (mentre la Germania viene apertamente minacciata da Biden per l’entrata in funzione del secondo gasdotto, dopo il Nord Stream, che stavolta non farebbe transitare il gas dall’Ucraina), chiamati a dirigere il progressivo coinvolgimento di tutta l’area UE nell’aggressività verso il Cremlino.

In aggiunta a questo vi sono poi gli interessi economici diretti: l’Ucraina è uno dei primi tre paesi al mondo per l’esportazione di grano (che da due anni vede la Russia superare gli USA e il Canada nella produzione), possiede ferro (il 10% delle riserve mondiali), legname e diversi minerali di valore strategico, tra i quali uranio, carbone e metano, litio, grafite (il 20% globale), cobalto, titanio (il 6% del pianeta) e terre rare come il gallio. Nel Donbass ci sono l' 80%delle riserve di petrolio e gas naturale del Paese e il 90% delle forniture di gas neon. Il bacino del Dnepr custodisce 2.26 miliardi di tonnellate di riserve di manganese, la più grande quantità in Europa e vi sono poi altri minerali strategici.

Sul piano degli alimenti l’Ucraina è ancor più ricca, si calcola sia in grado di sfamare 500 milioni di persone all’anno. Nella fascia settentrionale prevalgono la coltivazione della segale invernale, dell'avena, delle patate e del lino; nelle regioni centrali orzo, barbabietola da zucchero, frumento e mais. Girasole, uva, frutta e ortaggi prevalgono invece nel sud, dove il clima è più mite.

Quello che non è mite è l’approccio di Bruxelles, che non ha solo promosso insieme agli USA Euromaidan; ha eletto Zelensky a simbolo della democrazia, a elemento centrale dello scontro tra democrazia e autocrazia, volutamente ignorandone le nefandezze dittatoriali e l’istaurazione di un regime regime a livelli di corruzione altissimi, come denunciato da OnG statunitensi ed europee. Zelensky ha imposto un parametro legislativo discriminatorio verso la minoranza russofona con persino l’impedimento dell’uso del russo nel linguaggio pubblico, la beatificazione del bandolero nazista Stephen Bandera, lo scioglimento forzoso di partiti politici e deputati, la chiusura di radio e tv, la proibizione del culto ortodosso, il proseguimento illegittimo della sua presidenza a mandato scaduto. Insomma assiste Zelensky che è tutto ciò che giura e spergiura di voler combattere.

E non è un caso che oggi insista con le sue ridicole, innocue sanzioni contro la Russia e regali ulteriori miliardi di Euro alle tasche del guitto di Kiev, che sequestra i giovani che non sentono questa guerra come loro e li manda a morire per poter continuare ad incassare i dividendi dell’imbecillità europea. Già dopo due mesi dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale russa la UE esercitò pressioni fortissime su Zelensky affinché non firmasse nemmeno la bozza dell’accordo di cessate il fuoco e apertura del negoziato elaborato ad Istambul con il patrocinio di Erdogan. Ad ogni tornante della vicenda russo-ucraina l’Unione Europea si è distinta per il discorso bellicoso, l’invio di armi e denaro, il sostegno politico e la censura di ogni voce discordante, perno sul quale ha girato l’organizzazione della più potente macchina di disinformazione al servizio di Kiev.

Ed oggi inventa fantasmagorici intenti imperiali russi, che vengono diffusi con una campagna di menzogne. Il cuore di questa campagna è l’affermazione di una presunta volontà di espansione della Russia verso il centro Europa. Una falsità semplice da sbugiardare per due fondatissime ragioni: la prima è che un paese ricchissimo già alle prese con un gravissimo problema di natalità, con 150 milioni di persone che abitano il territorio più grande del mondo, di tutto ha necessità fuorché conquistare nuovi territori, peraltro da un punto di vista delle risorse poveri di tutto. La seconda è che la storia insegna come la Russia non abbia mai invaso paesi europei, mentre Germania, Francia e Italia hanno invaso la Russia; e racconta anche che la Russia non è mai andata ad Ovest, ma è l’Europa che ha sempre tentato di andare ad Est.

Aveva creduto al messianismo di Biden, che cercava risorse e territori come soluzione alla crisi del modello americano, ai BRICS e alla de-dollarizzazione crescente. Ma di fronte al cambio di indirizzo di Washington, Bruxelles è rimasta impietrita e tenta con operazioni di facciata, sulle spalle fragili e ridicole di leader oltretutto prossimi a lasciare, una narrazione di dignità politica invero mai posseduta. In preda ad un isterismo in reazione alla figuraccia in eurovisione, mascherata da ennesima strategia, prende spazio nella UE il cosiddetto Piano Draghi, il sopravvalutato banchiere già capace di figure barbine sull’Ucraina che sono divenute dei meme favolosi che spopolano in Rete. Si tenta di riconvertire quel che resta dell’industria europea in chiave bellica e di proporre la UE come dispositivo politico-militare in grado di affrontare la Russia e chiunque altro.

Ovviamente non è possibile, non sussistono nemmeno le più minime condizioni (ammesso che sia sensato attaccare una potenza nucleare stretta alleata di un’altra potenza nucleare) ma sotto questo racconto per gonzi si vuole imporre all’intera popolazione europea, già provata da trent’anni di turbo liberismo criminale che ha ridotto le classi lavoratrici alla fame e che ha proletarizzato il ceto medio, una nuova, definitiva compressione dei diritti sociali destinata alla definitiva privatizzazione di tutti i servizi alla persona quale nuova frontiera degli affari di un centinaio di multinazionali europee ancora non sazie ma che, alle prese con un modello fallito, non trovano di meglio che replicarlo.

Non c’è più nemmeno l’idea di un Occidente Collettivo a salvaguardia e da salvaguardare allo stesso tempo. Proprio con il divorzio dagli interessi strategici statunitensi, completamente in via di ridisegno da parte della nuova amministrazione Trump, vaneggiando di soldati che non ha da finanziare con denaro che non ha, di forza politica che non ha, per una vittoria che non avrà, Bruxelles espone senza pudore la sua inconcludenza, il valore pari a zero della sua classe dirigente. L’investimento europeo sull’Ucraina viene oggi esposto in tutto il suo fallimento. Un clamoroso errore di strategia e tattica, figlio di una lettura ideologica, irrealistica, velleitaria, senza alcuna aggancio alla fattibilità di una operazione che priva di ogni ragionamento minimo sulle forze in campo ed esente da ogni possibile analisi dello scenario sul terreno, nata con le stimmate dell’odio russofobico, finiva con quelle della fine della UE come entità politica affidabile e credibile.

Alla fine, la UE non è stata nemmeno in grado di abbandonare gli USA in un afflato di interessi divergenti, di indipendenza e sovranità, ma è solo spettatrice isterica e capricciosa di un abbandono da parte USA. Una disfatta politica, militare, economica, finanziaria, commerciale e diplomatica che offre al mondo l’inutilità della banda dei 27 inutili. Di 27 pupi che non fanno un puparo.

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