Nell’incontro tra Trump e Netanyahu di martedì a Washington, i temi al centro della discussione sono non soltanto la seconda fase della tregua a Gaza, la situazione in Siria, l’Iran o la normalizzazione dei rapporti tra lo stato ebraico e i regimi sunniti del Golfo, ma molto probabilmente anche la violenta operazione militare delle forze di occupazione in corso in Cisgiordania. I militari israeliani hanno da un paio di settimane sostituito l’Autorità Palestinese (AP) in una campagna di repressione contro i gruppi armati della resistenza, causando già decine di morti, inclusi molti civili. L’offensiva israeliana sta facendo registrare sempre più anche la demolizione di interi isolati in alcune città e campi profughi palestinesi, tanto da far pensare a una replica dei metodi impiegati a Gaza, probabilmente in base a un accordo proprio con la nuova amministrazione americana con l’obiettivo finale di annettere l’intera Cisgiordania.

Denominata “Operazione Muro di Ferro”, l’offensiva di Israele nella sola Jenin avrebbe già ucciso 25 palestinesi. Per Tel Aviv, il bilancio sarebbe addirittura di 50 “terroristi” eliminati, oltre a un centinaio di arresti. Tra i “terroristi” liquidati dalle forze sioniste c’è la bambina di due anni, Leila al-Khatib, finita sotto il fuoco dei militari durante un raid nella stessa località della Cisgiordania, e il 73enne Waleed Lahlouh, colpito domenica da un cecchino israeliano mentre stava tornando nel campo profughi di Jenin per controllare le condizioni della sua abitazione.

I residenti delle aree interessate dalle operazioni hanno riferito di una drastica escalation delle detonazioni nel fine settimana, quando, sempre nel solo campo di Jenin, almeno 20 edifici che ospitano appartamenti sono stati demoliti dai soldati israeliani. Le operazioni si sono da qualche giorno allargate ad altre località della Cisgiordania settentrionale, come Tulkarem e Tubas. In entrambe si continuano a registrare demolizioni di case, arresti e ordini di evacuazione, oltre che vittime. Nella vicina città di Tammoun, ad esempio, un bombardamento aereo condotto giovedì scorso ha ucciso dieci palestinesi, in quello che è stato il singolo episodio più cruento in Cisgiordania dall’inizio dell’anno.

Distruzione di abitazioni e infrastrutture, assieme all’allontanamento forzato dei residenti palestinesi, sembrano indicare un piano ben preciso, confermato in qualche modo da una dichiarazione del ministro della Difesa, Israel Katz, il quale ha avvertito che le forze di occupazione non lasceranno Jenin nemmeno dopo la fine dell’offensiva. Nel campo profughi di quest’ultima città quasi il 90% dei 17 mila residenti è stato evacuato in queste settimane, mentre in quello di Tulkarem (poco meno di 10 mila residenti) la quota arriva al 75%.

Questi drammatici sviluppi vanno di pari passo con il moltiplicarsi dei segnali del compiersi di un piano che permetta a Israele finalmente di annettere tutta la Cisgiordania. Più di un osservatore aveva ipotizzato uno scambio tra Trump e Netanyahu quando il presidente americano entrante, alla vigilia del suo insediamento, era intervenuto nelle trattative con Hamas tramite il suo inviato in Medio Oriente per convincere il premier israeliano ad accettare la sospensione delle operazioni a Gaza.

In seguito, si sono succedute dichiarazioni e prese di posizione che hanno convalidato questa ipotesi, a cominciare dalle parole di Trump sulla necessità di “ripulire” la striscia e dalle pressioni su Egitto e Giordania per convincere i rispettivi regimi ad accettare gli oltre due milioni di palestinesi che verrebbero espulsi dalla loro terra. L’uscita di Trump riguardava appunto Gaza, ma il piano sarebbe un modello da replicare evidentemente in Cisgiordania. Circolano d’altra parte voci molto insistenti che Netanyahu potrebbe chiedere o avrebbe già chiesto alla Casa Bianca di avere mano libera in Cisgiordania in cambio del via libera di Israele alla fase due della tregua con Hamas.

I più espliciti nel promuovere questo obiettivo sono i partner di ultra-destra del gabinetto Netanyahu, come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che in più di un’occasione ha prospettato l’annessione della Cisgiordania in tempi brevi. Per Netanyahu non si tratta solo dell’avanzamento del progetto della “Grande Israele”, ma nell’immediato anche di calcoli per la sua sopravvivenza politica, vista l’opposizione di Smotrich e Ben-Gvir alla tregua a Gaza, con quest’ultimo peraltro già uscito dal governo dopo la firma dell’accordo con Hamas.

Resta comunque da verificare la reale attitudine dell’amministrazione Trump, la cui priorità sembra restare la normalizzazione dei rapporti tra Israele e le monarchie del Golfo, in primo luogo l’Arabia Saudita, nel quadro del possibile rilancio dei cosiddetti “Accordi di Abramo”. È possibile cioè che il raggiungimento di questo obiettivo spinga Trump a far digerire a Netanyahu una qualche concessione ai palestinesi, rendendo quindi molto complicata un’annessione dell’intera Cisgiordania.

L’operazione in corso a Jenin, Tulkarem e in altre località ha portato comunque nuovamente alla luce il ruolo dell’Autorità Palestinese come esecutore delle direttive per la “sicurezza” di Israele. A inizio dicembre, l’AP aveva infatti inaugurato essa stessa una campagna di repressione contro la resistenza a Jenin con l’assistenza esterna del regime di Netanyahu, principalmente per auto-promuoversi come forza in grado di governare Gaza in una fase post-bellica nella striscia. A metà gennaio era poi arrivata la notizia di un accordo tra l’AP e i gruppi armati palestinesi affiliati a Hamas e altre organizzazioni attive in Cisgiordania. Ma questa mossa potrebbe essere stata una trappola che ha aperto la strada alla successiva aggressione delle forze di occupazione israeliane. D’altronde, fonti palestinesi sostengono che gli uomini dell’AP continuano a collaborare con Israele nella caccia ai militanti palestinesi.

Se, dunque, la tregua a Gaza sta entrando nella delicatissima fase dei negoziati per mandare in porto la seconda parte dell’accordo, gli eventi in Cisgiordania potrebbero riaccendere il conflitto tornando a interessare anche la stessa striscia. Resterà da vedere quali sono le reali intenzioni di Washington e, eventualmente, fino a che punto Donald Trump sarà disposto a esercitare pressioni su Netanyahu per stabilizzare la situazione ed evitare una riesplosione della crisi.

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